Cercando porte magiche. E trovandole
Come passare in un baleno da Bologna a Venezia, dalla Cornovaglia a Mandas, da un aeroporto ad «altri piani» (*)
Chi arriva a Bologna e chiede «cos’altro c’è da vedere?» ogni tanto si sente rispondere, con aria sorniona, «vuoi scoprire un luogo magico?» oppure, con una frase da cartografo ubriaco, «ti sembrerà strano ma c’è un punto a Bologna da cui di botto si passa a Venezia… pochi lo sanno, ti ci porto?». Ovvio che si risponde di sì. Ed è vero che pochi, anche bolognesi veraci, conoscono questa misteriosa porticina Bologna-Venezia. Ecco la magia. In due piccole strade che incrociano la centralissima via Indipendenza all’improvviso ci si può affacciare su un bel canale: non si capisce da dove sbuchi (i fiumi bolognesi furono tutti dirottati o spediti sottoterra). A moltiplicare l’effetto scenico, c’è un punto in cui «Venezia» si vede solo attraverso un piccolo sportello di legno, poverello e brutt’assai, quasi sempre chiuso. Appena aperto lo sportellino … si piomba a sorpresa nei canali veneziani o almeno codesta è l’impressione: il piacevole spaesamento è tanto maggiore quanto più è bravo il “cicerone” e/o quanto più ha voglia di farsi stupire il visitatore. Chi ama le favole o le geografie segrete dell’anima è convinto che di porte misteriose ne esistano molte, tanto più invisibili quanto più sotto i nostri occhi. Per viaggiare alla grande conviene dare un’occhiata alle storie raccolte da Ursula Le Guin in «Su altri piani» (Nord editrice: 316 pagine per 17,50 euri).
Se invece state andando in Sardegna, fuori dalle rotte santificate, potete trovare spesso queste porte “magiche”. Alla fine di una discesa verso la Costa Verde non ancora smeraldizzata (nei pressi di Arbus, dal villaggio minerario di Ingurtosu, che significa inghiottitoio) per esempio si crede di arrivare a Piscinas e invece ci si ritrova nel Sahara (e l’hotel ricavato dalla vecchia lavanderia si chiama Le dune). Vicino a Oristano – a San Salvatore di Sinis – c’è un piccolo villaggio “messicano” utilizzato dagli epigoni di Sergio Leone per i film western: lì si entra in un pozzo sacro (o magico?) e…. si viaggia nel tempo con strati di preghiere di tutti i tempi, con una scritta, in punico antico, che significa “guariscimi”, ma anche simboli fallici a ricordare che la confusione fra sacro e profano è antica anzichenò. Invece a Jerzu la magia passa per le pietre “di/segnate” da Maria Lai: poi visitare il suo museo – nell’ex stazione ferroviaria di Ulàssai – è d’obbligo, se siete fortunati vi racconteranno la storia del “nastro che legò la montagna” o vi mostreranno il film. Se andate ad abbronzarvi all’isola di Carloforte o San Pietro noterete che parlano il genovese (“puro”, aveva detto Enzo Tortora) ma se andate al di là – oltre il mare, le scogliere, il tonno, il pesto… – forse c’è chi vi racconterà storie di schiavi e Madonne nere, rivolte proletarie (avvenne qui il primo sciopero in Sardegna e tra i primissimi in Italia) e scandali sessuali: le isole più piccole di notte vanno in giro, vedono un sacco di posti e conoscono quasi tutto.
Se invece gradite «consigli per viaggiare in tempi di crisi» mettete nello zaino «Sardegna a piedi» ovvero «10 itinerari spettacolari lungo la costa» scritto da Riccardo Carnovalini e Roberta Ferrarsi per Terre di mezzo. Dalla Gallura a Cala Gonone, da Capo Spartivento all’isola di Caprera, propone il giro a piedi dell’isola in 80 giorni. Fra promontori rocciosi a picco sul mare, ginepri secolari e dune di sabbia bianca, la guida “scheda” escursioni di un giorno, un week-end o veri e propri percorsi a tappe: sentieri alla portata di tutti, alla scoperta di una Sardegna che resta quasi sconosciuta.
Se non un «miracolone» almeno «un miracolino» (dixit Troisi nel film «Ricomincio da tre») si può operare con l’aiuto del mistico anti-vittoriano D. H. Lawrence. Ricordate? E’ il grande scrittore inglese di inizio ‘900 cui molti adolescenti di 40-50 anni fa sono debitori anche per le trasgressioni onanistiche che spesso accompagnavano la lettura de L’amante di Lady Chatterlay”. Con l‘aiuto di Lawrence si passa rapidamente dall’interno della Sardegna alla Cornovaglia. Occorre però prendere il suo stesso trenino – c’è ancora – e arrivare a Mandas. Scendendo alla stazioncina infatti si legge: «Guardando fuori non riuscivo a credere ai miei occhi: Mandas era così simile all’Inghilterra, alla Cornovaglia nelle sue parti più brulle o agli altipiani del Derbyshire». Così scrisse Lawrence il 6 gennaio del 1921. E se nel breve-lungo viaggio vi siete guardati in giro non potete che dargli ragione… se avetre visto (magari nei film) la Cornovaglia. Quando lo prese Lawrence, da poco – dal 15 febbraio 1888 – quella linea a scartamento ridotto, molto zigzagata (così gli appaltatori inglesi ci guadagnarono assai più della base d’asta) e con un solo binario, neanche a dirlo, collegava Cagliari e Mandas: tre ore di viaggio. Il trenino ora ribattezzato «verde» è rimasto così, anche se funziona solo nella bella stagione: a disposizione di chi sa viaggiare leggero senza cioè il doppio bagaglio di fretta e banalità. Della stazione di Mandas, con l’annessa «locanda Lawrence», si vuole fare una sorta di museo: i lavori sono quasi ultimati, grazie a finanziamenti dell’Unione europea, della Regione Sarda e del piccolo – ma vitale – Comune di Mandas. Usciti dalla stazioncina, se l’arsura estiva ha rinsecchito la gola ci si può rinfrescare nel parco di Aquabona: bere “a bruncu”, cioè garganellando, l’acqua della fonte fa bene alla mente e al corpo. Intanto, a volersi dissetare di cultura, c’è un premio «per la letteratura di viaggio» (dedicato, appunto, a D. H. Lawrence). Giustificate così le quattro bandiere che sventolano dall’edificio comunale di stile liberty. Nell’ordine, da destra a sinistra – come prescrive la legge – quella italiana, quella europea, la sarda e lo stemma municipale: un modo esagerato o spericolato per dire «orgogliosi d’essere sardi ma pure cittadini del mondo»
Passeggiando un poco per il Paese – se ci passate l’11 e 12 ottobre c’è la festa di Santa Vitalia, una discendente dei Bizantini, molto venerata in Sardegna – è facile restare incantati. In piazza Deledda c’è una scultura dal sapore antico (ma è del 2000, di Paolo Pusceddu), più avanti la chiesa di san Giacomo (patrono di Mandas): romanico-aragonese, può vantare altari lignei dal Rinascimento al Settecento e simulacri sempre in legno e colorati, preziose espressioni di arte locale (tra cui Lonis, il più famoso degli scultori sardi). Di rimpetto, il complesso quattrocentesco del Convento dei Cappuccini, di recente restaurato, splendido lascito dei secoli (molto bui) passati sotto il dominio spagnolo e ottimo sito per eventi culturali e letterari.
Dalla piccola stazione lawrenciana si può partire per un bel «tour dei Nuraghi», non molto distanti fra loro. Notevoli la “reggia nuragica” di Barumini, il villaggio prenuragico con pozzo e recinto sacro posto sulla giara di Serri e il gigantesco nuraghe Arrubiu di Orroli, uno dei paesi con più donne e uomini longevi al mondo (è “arrubiu”, cioè rosso, per i licheni che da più di tremila anni nessuno ha mai scrostato). Molte le bellissime case dei ricchi borghesi e dei nobili, ora abbandonate, che l’amministrazione comunale intende acquistare e restaurare per offrirle alla comunità, turisti compresi, in una delle quali (casa Gessa) sarà stabilita la sede della fondazione che – anche attraverso gli strumenti della multimedialità e in collaborazione con l’Università – sarà il soggetto istituzionale preposto a tramandare la grande cultura e umanità del più importante amico dei sardi dell’Ottocento, il generale piemontese Alberto Della Marmora (fratello di quello dei bersaglieri) che girò in lungo e in largo, centimetro per centimetro, l’isola rendendo magici anche i villaggi o i siti più insignificanti, infatti la punta più alta del Gennargentu si chiama Punta Lamarmora. Confesso che senza l’aiuto e i consigli di lettura di Enrico Pili (è di Sestu ma lavora a Mandas) non avrei mai scoperto che persino i piemontesi hanno fatto in Sardegna qualcosina di buono.
Alla fine del vostro viaggio (non immaginario ma reale, mi auguro) e attraverso le molte porte magiche della Sardegna, dove andrete? Nei più recenti e popolari – almeno rispetto all’aristocratico Lawrence – reportages di un viaggiatore e giornalista (cioè Tiziano Terzani in «Un indovino mi disse») si spiega come gli aeroporti siano tutti uguali (e noiosi) mentre le vecchie stazioni sono affascinanti, vive e cariche di differenti storie. Buon consiglio ma forse Ursula Le Guin ne dà uno migliore soprattutto se non avete modo di evitare gli aeroporti. «Su altri piani» vi insegna «il metodo Sita Dulip». Immaginate di essere in aeroporto: file estenuanti ai check-in, squallidi pranzi al sapore della plastica, timori per terroristi residui o per aerei dall’aria malandata. Ma anche se tutto va bene «gli aeroplani sono claustrofobici, stipati, rumorosi, infettivi, sospetti e noiosi». Sita Dulip se ne libera con una sorta di vertigine: attraversa «due piani di volo» e si porta istantaneamente in luoghi mai visti. Volete provare? Lei è andata nel silenzio degli Asonu; tra i Frinth che sognano «in comune»; fra gli iracondi ma affascinanti Veksi; su Islac dove i gatti giocano a scacchi e gli umani son fatti di granturco; nell’Isola dove una sola mosca può «infettare di immortalità»; ad assaggiare i frutti-bistecca o l’uva di Hegn che fermenta sui rami. «Il metodo Sita Dulip» si basa sulla certezza che esistano «altri piani di esistenza»: impararlo «è più facile a farsi che a dirsi», in sostanza niente più di «una semplice torsione e un leggero scivolamento» con il non indifferente vantaggio che si viaggia in qualche Altrove a lungo per ritrovarsi nel luogo di partenza pochi attimi dopo.
Ovviamente potete prendere il metodo di Sita Dulip come un sogno ma forse è meglio considerarlo un filo da tessere: la trama è il vostro vecchio-nuovo progetto di abbandonare i viaggi commerciali, stereotipati, senza persone vere – il turismo «irresponsabile insomma» – per tornare al viaggiare vero, per buttare uno sguardo sull’inatteso, per conoscere storie e persone che qui ancora non sono arrivate. Per tornare un attimo a Mandas…. Persone come “zio Gino” che fa visitare gratis piccoli gioielli come “Sa lolla de is aiaius” (la loggia dei nonni) dove si può vedere in funzione un’antica casa sarda del Settecento: funzionano anche “sa tziminera” e “is forreddus” (il caminetto e i fornelli a carbone) che zio Gino metterà a punto per servire zuppe, ravioli e malloreddus, biologici come l’ottimo vino, davvero“altri piani di esistenza”.
(*) Buffe coincidenze. Mentre cercavo qualcosa di narrativo per sostituire l’abituale (nel senso di calendario non di routinario) Sergio Mambrini e una parte del mio cervello rifletteva sui consigli di viaggio da dare a una coppia di amici che andrà in Sardegna… il mouse (che non ho più) mi ha pizzicato un braccio e si è fermato su questo vecchio file: era un mio pezzullo, uscì su «Come solidarietà», scritto anni fa quando ero fresco di una visita a Mandas, con Enrico Pili, e della lettura di «Su altri piani» della mia zia preferita, Ursula Le Guin. Mi pare che sia un post adatto alla bisogna; forse nel frattempo qualcosina è cambiato ma l’essenziale no. E magari fatemi sapere se Sita Dulip diventerà il vostro prossimo tour-leader. (db)