Cercando una pace giusta
articoli di Domenico Gallo, Mauro Biani, Clare Daly, Mike Whitney, Archivio Disarmo, Fabio Marcelli, Fabio Bonciani, Warren Mosler, Mao Valpiana, Accademia dei Lincei, Alastair Crooke, Pepe Escobar, Michael Hudson, Stefano Orsi, Enrico Euli, Thierry Meyssan, Giacomo Gabellini, Pierluigi Fagan, Gaetano Colonna, Nicolai Lilin, Caitlin Johnstone, Roberto Roscani, Oreste Pivetta, Europe for Peace, Giulio Marcon, Angelo Baracca, Ican, Roberto Musacchio, Fabio Mini, Marinella Correggia, Sara Reginella. Fulvio Scaglione, Tonio Dell’Olio, Bruna Bianchi, Raniero La Valle, Antonia Sani, Franco Cardini. Con 4 video.
Riconquista della Crimea e del Donbass sono diventati obiettivi della guerra – Domenico Gallo
Per il Parlamento Europeo, la guerra non si deve limitare a respingere l’aggressione russa, ma deve consentire all’Ucraina di riprendere quei territori (come la Crimea e le autoproclamate repubbliche del Donbass) sui quali non esercita più la sua sovranità dal
“…invita gli Stati membri e gli altri paesi che sostengono l’Ucraina a rafforzare massicciamente la loro assistenza militare, in particolare negli ambiti in cui è richiesta dal governo ucraino, al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale e di difendersi efficacemente da qualsiasi ulteriore aggressione da parte della Russia; chiede che sia presa in considerazione la possibilità di istituire uno strumento di assistenza militare a lungo termine del tipo “lend-lease” (affitto e prestito) per l’Ucraina; invita in particolare gli Stati membri esitanti a fornire la loro giusta parte di assistenza militare necessaria per contribuire a una conclusione più rapida della guerra”.
Non è il Summit di Madrid della NATO che ha partorito questo invito; incredibile a dirsi, si tratta di un documento ufficiale del Parlamento europeo, la Risoluzione del 6 ottobre 2022 sull’escalation della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
Con questa Risoluzione il Parlamento Europeo non si è limitato a confermare la scontata condanna della Russia per l’aggressione condotta contro l’Ucraina e a constatare l’illegalità dell’annessione dei territori occupati a seguito di referendum farlocchi, ma ha praticamente dichiarato guerra alla Russia impegnando tutti i paesi UE a diventare attivamente cobelligeranti, sia incrementando il flusso di armi e finanziamenti a favore del Governo Ucraino, con l’indicazione persino del tipo di sistemi d’arma fornire (carri armati Leopard), sia attivando immediatamente l’addestramento dei soldati ucraini all’uso dei sofisticati armamenti occidentali.
Quel che è peggio la risoluzione istiga l’Ucraina a portare la guerra sino alle sue estreme conseguenze “al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”.
Insomma per il Parlamento Europeo, la guerra non si deve limitare a respingere l’aggressione russa, ma deve consentire all’Ucraina di riprendere quei territori (come la Crimea e le autoproclamate repubbliche del Donbass) sui quali non esercita più la sua sovranità dal 2014. Orbene i territori delle autoproclamate repubbliche di Donetsk, Lugansk si sono distaccati dall’Ucraina nel 2014 in virtù di una sanguinosa guerra civile che ha causato, secondo varie fonti, oltre 14.000 morti. Il loro status è stato oggetto di negoziati e, con l’accordo di Minsk II, fu stabilito che dovessero tornare sotto la sovranità Ucraina, previo riconoscimento di un loro status speciale di autonomia (tipo l’Alto Adige in Italia). Kiev non ha mai dato seguito a questi accordi per cui questi territori non sono stati più
sottoposti alla sovranità dell’Ucraina. Diverso è il discorso per la Crimea, regione che solo amministrativamente fu unificata all’Ucraina nel 1954. Nel 2014 il Parlamento della Crimea votò la secessione da Kiev e l’annessione alla Federazione russa. La decisione fu confermata da un referendum popolare e la Crimea fu annessa alla Russia con lo status di Repubblica autonoma.
Dal 2014 la Crimea è una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa. La NATO e la UE non hanno riconosciuto la separazione della Crimea dall’Ucraina, ritenendola contraria al principio dell’inviolabilità delle frontiere, così come la Russia non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, che la NATO ha violentemente distaccato dalla Serbia, a seguito di una guerra aerea durata 78 giorni. Tuttavia per la Crimea, come per il Kosovo, si è ormai consolidato uno stato di fatto per cui questi territori sono diventate entità indipendenti, non più soggette alla originaria sovranità. Una eventuale azione militare per rovesciare questo stato di fatto costituirebbe una palese violazione del
divieto dell’uso della forza di cui all’art. 2, comma 4 della Carta dell’ONU. La pretesa dell’Ucraina di distaccare manu militari la Repubblica autonoma di Crimea dalla Federazione russa costituirebbe un’aggressione, al pari di quella perpetrata dalla Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio. Eppure incredibilmente il Parlamento Europeo ha legittimato l’ambizione del Governo ucraino di proseguire la guerra fino al punto di recuperare il pieno controllo della Crimea e di tutto il Donbass.
Non a caso il documento parla di escalation della guerra, perché è proprio l’escalation della guerra l’obiettivo a cui punta la Risoluzione, assegnando i compiti agli Stati membri perché forniscano all’Ucraina l’assistenza militare necessaria per sconfiggere e umiliare il nemico.
Se si considera che il territorio della Crimea ha per la Russia una valenza strategica insuperabile perché è la sede della sua flotta principale, è evidente che sostenere la pretesa del Governo ucraino di “riacquisire il pieno controllo su questo territorio incide su interessi vitali della Federazione, che non potrebbe mai accettare di essere estromessa dall’Ucraina. Così come gli abitanti delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, non potrebbero mai accettare di ritornare sotto il controllo dell’Ucraina, dopo essersi ribellati a prezzo di una durissima guerra civile.
Legittimare queste pretese significa boicottare la volontà di trovare una soluzione pacifica al conflitto.
Del resto l’intenzione dell’Ucraina di alzare il livello dello scontro proprio sulla Crimea è testimoniata dall’attacco che ha parzialmente distrutto il ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia attraversando il Mar d’Azov.
Se si progetta di mettere la Russia con le spalle al muro e di privarla di territori che hanno un alto valore strategico e da molti anni sono stati inclusi nella Federazione, è evidente che si sta spingendo per un’escalation della violenza militare.
Il Parlamento europeo ne è perfettamente consapevole prendendo atto:
“che il 21 settembre 2022 Vladimir Putin ha annunciato la prima mobilitazione della Russia dalla seconda guerra mondiale; che, secondo quanto riportato dai media, la mobilitazione riguarda tra i 300 mila e gli 1,2 milioni di riservisti che saranno chiamati alle armi”; che, in un discorso televisivo tenuto il 21 settembre 2022, Vladimir Putin ha avvertito che se fosse minacciata l’integrità territoriale della Russia, ossia i territori ucraini illegalmente annessi, utilizzerebbe certamente “tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo”; che l’espressione “tutti i mezzi a nostra disposizione” sottende una minaccia nucleare neppure tanto velata.
Però dalla consapevolezza di questa svolta nella guerra non ne trae la logica conseguenza di indicare una strada per la pace. Non a caso nel lunghissimo testo della Risoluzione non compaiono mai le parole “pace”, “cessate il fuoco”, “trattative”, “negoziato”, “conferenza internazionale”. Anzi si arriva al punto di banalizzare il rischio del ricorso alle armi nucleari, minacciando serie ritorsioni in caso del loro uso e dichiarando spavaldamente che la minaccia nucleare non dissuaderà l’UE dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina.
Testualmente il Parlamento Europeo:
“condanna le recenti minacce russe circa l’utilizzo di armi nucleari, ritenendole irresponsabili e pericolose; invita gli Stati membri e i partner internazionali a preparare una risposta rapida e decisa qualora la Russia compia un attacco nucleare contro l’Ucraina; invita la Russia a porre immediatamente fine alle minacce di un’escalation nucleare, date le ripercussioni globali che un’eventuale catastrofe nucleare avrebbe sulla vita umana e l’ambiente per decenni a venire; ricorda che qualsiasi tentativo da parte della Russia di far passare gli attacchi ai territori occupati come un’aggressione contro la Russia e quindi come un pretesto per un’offensiva nucleare è illegale e privo di fondamento e non dissuaderà l’Unione europea dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina ai fini della sua autodifesa”.
In pratica è stato votato un programma di guerra totale alla Russia, dando per scontato anche la possibilità che si usino armi nucleari, nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile, costi quel che costi.
L’appello rivolto dal Papa “in nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco”, non solo è rimasto inascoltato, ma è stato ripudiato con una scelta politica diametralmente opposta. Evidentemente nessun senso di umanità alberga nel cuore dei parlamentari europei, che hanno approvato la Risoluzione quasi all’unanimità. In particolare per quanto riguarda l’Italia hanno votato a favore tutti i gruppi politici, di destra, di centro e di sinistra (escluso il Movimento 5 Stelle).
Ma noi sappiamo che quando la politica ripudia il senso di umanità che alberga nel cuore di ogni uomo si apre la strada verso l’abisso, la guerra è una sconfitta per l’Umanità. Anche ai parlamentari europei, come ai politici nazionali, occorre rammentare il monito di Bertrand Russel ed Albert Einstein: “Ci appelliamo in quanto esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”.
Per una pace giusta in Ucraina
La diplomazia può essere un’arte al servizio della pace e della democrazia. Pubblichiamo di seguito l’appello di un gruppo di diplomatici non più in servizio attivo. –
La guerra in Ucraina prodotta dall’aggressione russa sta degenerando verso scenari devastanti, che potrebbero mettere in pericolo la vita di milioni di persone e sfociare in un “inverno nucleare”. A fronte dell’annessione illegale del Donbass e di due altre regioni ucraine, approvata dalla Duma dopo il recente referendum farsa, il governo di Kiev ha firmato un decreto che vieta qualsiasi trattativa con Mosca e ha chiesto ufficialmente l’adesione alla NATO, pur consapevole che la richiesta è irricevibile.
Putin ha già dichiarato che se la sicurezza nazionale russa fosse messa in pericolo dall’avanzata ucraina sostenuta dalla NATO, il ricorso all’arma atomica diverrebbe plausibile, in accordo con la dottrina strategica militare russa. La reazione della NATO, di fronte all’impiego dell’arma nucleare tattica, sarebbe devastante ed esporrebbe la Russia a gravi rappresaglie, che sfocerebbero in uno scontro nucleare simmetrico.
Dopo mesi di guerra e di perdite umane le posizioni di entrambe le parti si sono irrigidite. I falchi russi chiedono un utilizzo della forza senza remore, fino all’uso dell’arma nucleare tattica; ma anche nel campo occidentale molteplici sono le pulsioni per una continuazione del conflitto fino alla resa totale di Mosca.
Un tale scenario apocalittico fa orrore. È necessario per tutte le donne e gli uomini di buona volontà contrastarlo. Le armi devono tacere e cedere il passo alla diplomazia. Neutralità dell’Ucraina e status dei territori contesi sono parti essenziali di una mediazione che possa stabilizzare la regione.
Come diplomatici, abituati da anni di esperienza all’analisi oggettiva delle relazioni internazionali, denunciamo i crimini atroci commessi contro l’umanità. Esprimiamo la nostra solidarietà alle vittime della guerra che ha provocato migliaia di morti e feriti, milioni di profughi e senza tetto, la repressione dei dissidenti e dei coscritti in fuga. Inoltre, ricordiamo che i costi economici causati dalla guerra sono pagati dagli strati sociali più deboli dell’Europa e dell’Africa, in cui stanno crescendo disuguaglianza, povertà e sofferenza di tanti innocenti.
Sentiamo pertanto il dovere di rivolgere un appello al governo italiano affinché si faccia promotore in sede europea di una forte iniziativa diplomatica mirante all’immediato cessate il fuoco e all’avvio di negoziati tra le parti. Italia, Francia e Germania – a cui si unirebbero auspicabilmente altri Paesi dell’Unione – possono influire, assieme alle Istituzioni europee, sulla strategia della NATO con una postura di fermezza, nell’ambito della solidarietà atlantica, come è accaduto altre volte in passato. Tale iniziativa contribuirebbe altresì al rafforzamento e allo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune: presupposto imprescindibile per la realizzazione di una Unione politica e federale europea.
È vitale delineare una proposta di mediazione credibile che, partendo dagli accordi di Minsk, tracci un percorso per giungere a un negoziato globale guidato dai principi della sicurezza in Europa. Devono essere ribadite le linee ispiratrici della coesistenza e della legalità internazionale: ossia l’inaccettabilità dell’uso della forza per l’acquisizione di territori, l’autodeterminazione dei popoli, la protezione delle minoranze linguistiche europee.
Primo obiettivo è il cessate il fuoco e l’avvio immediato di negoziati tra le parti al fine di pervenire:
- al simmetrico ritiro delle truppe e delle sanzioni;
- alla definizione della neutralità dell’Ucraina sotto tutela dell’ONU;
- allo svolgimento di referendum gestiti da Autorità internazionali nei territori contesi.
La convocazione di una Conferenza sulla Sicurezza in Europa sarà, infine, lo strumento del ritorno allo spirito di Helsinki e alla convivenza pacifica tra i popoli europei…
ALCUNI DI NOI NON PENSANO CHE L’INVASIONE RUSSA SIA STATA “UN’AGGRESSIONE”. ECCO PERCHÉ – Mike Whitney
“Non stiamo minacciando nessuno… Abbiamo chiarito che qualsiasi ulteriore spostamento della NATO verso Est è inaccettabile. Non c’è nulla di poco chiaro in questo. Non stiamo schierando i nostri missili al confine con gli Stati Uniti, ma gli Stati Uniti stanno schierando i loro missili davanti casa nostra. Chiediamo troppo? Chiediamo solo che non dispieghino i loro sistemi di attacco a casa nostra…. Cosa c’è di così difficile da capire?”. Presidente russo Vladimir Putin, YouTube, inizio al secondo 48.
Immaginate se l’esercito messicano iniziasse a bombardare con colpi di artiglieria pesante gli emigrati americani che vivono in Messico, uccidendone migliaia e lasciandone altre migliaia feriti. Cosa pensate che farebbe Joe Biden?
Scrollerebbe le spalle come se fosse una cosa da niente e passerebbe oltre o minaccerebbe il governo messicano con un’invasione militare che annienterebbe l’esercito messicano, raderebbe al suolo le città più grandi e farebbe correre il governo al riparo?
Quale di queste due opzioni pensate che Biden sceglierebbe?
Non c’è alcun dubbio su cosa farebbe Biden, né su cosa farebbero i 45 presidenti che lo hanno preceduto. Nessun leader degli Stati Uniti starebbe a guardare senza fare nulla mentre migliaia di americani vengono selvaggiamente massacrati da un governo straniero. Non accadrebbe mai. Risponderebbero tutti rapidamente e con forza.
Ma se questo è vero, perché lo stesso standard non viene applicato alla Russia? La situazione in Ucraina non è forse quasi identica?
È quasi identica, solo che la situazione in Ucraina è peggiore, molto peggiore. E se allunghiamo un po’ l’analogia, capirete perché:
Supponiamo che le agenzie di intelligence statunitensi abbiano scoperto che il governo messicano non agiva da solo, ma aveva ricevuto istruzioni di uccidere e mutilare gli ex-patrioti americani dal governo comunista cinese di Pechino. Ve lo immaginate?
E il motivo per cui il governo cinese vuole uccidere gli americani in Messico è che vuole attirare gli Stati Uniti in una guerra lunga e costosa che “indebolirà” gli Stati Uniti e aprirà la strada alla loro definitiva frammentazione in tanti pezzi che la Cina potrà controllare e sfruttare. Tutto questo vi suona familiare? (Consultate la Strategia Rand per indebolire la Russia).
Quindi, diciamo che i cinesi sono in realtà la forza trainante della guerra in Messico. Diciamo che hanno rovesciato il governo messicano anni prima e hanno installato un proprio regime fantoccio per eseguire i loro ordini. Poi hanno armato e addestrato un gran numero di truppe per combattere gli americani. Hanno fornito a questi combattenti armi e tecnologie all’avanguardia, supporto logistico, assistenza satellitare e per le comunicazioni, carri armati, veicoli blindati, missili antinave e unità di artiglieria all’avanguardia, il tutto con un unico obiettivo: schiacciare l’America in una guerra per procura architettata, controllata e microgestita dalla capitale cinese Pechino.
È possibile un simile scenario?
È possibile e infatti questo stesso scenario si sta sviluppando proprio ora in Ucraina, solo che l’autore delle ostilità sono gli Stati Uniti e non la Cina, e l’obiettivo di questa strategia maligna è la Russia e non gli Stati Uniti. Sorprendentemente, l’amministrazione Biden non sta nemmeno cercando di nascondere ciò che sta facendo. Sta apertamente armando, addestrando, finanziando ed istruendo le truppe ucraine per portare avanti una guerra volta a uccidere i soldati russi e a rimuovere Putin dal potere. Questo è l’obiettivo e tutti lo sanno.
E l’intera campagna si basa sull’affermazione sommaria che la Russia è colpevole di “aggressione non provocata”. Questo è l’intero accordo in poche parole. La giustificazione morale della guerra si basa sull’ipotesi non verificata che la Russia abbia commesso un reato e abbia violato il diritto internazionale invadendo l’Ucraina. Ma è veramente così?
Vediamo se questa ipotesi è corretta o se si tratta solo di un’altra affermazione falsa da parte di media taroccatori che non smettono mai di modificare la narrazione per costruire il “casus belli”.
Prima di tutto, rispondete a questa domanda legata all’analogia di cui sopra: se gli Stati Uniti dispiegassero truppe in Messico per proteggere gli emigrati americani dai bombardamenti dell’esercito messicano, considerereste tale dispiegamento come una “aggressione non provocata” o come una missione di soccorso?
Una missione di soccorso, giusto? Perché l’intenzione principale era quella di salvare vite umane, non di impadronirsi del territorio di un altro Paese sovrano.
Beh, questo è ciò che Putin stava facendo quando ha inviato i suoi carri armati in Ucraina. Stava cercando di fermare l’uccisione di civili che vivevano nel Donbas, la cui unica colpa era quella di essere russi etnici che vivevano la propria cultura e praticavano le proprie tradizioni. È un crimine?…
UNA GUERRA NUCLERE “LIMITATA”? I DANNI E LE VITTIME PER L’ITALIA
Uno studio di scenario
(a cura di archiviodisarmo)
Che cosa accadrebbe se, incalzati dall’avanzata dell’esercito ucraino, i russi lanciassero una”piccola” bomba nucleare, una di quelle testate miniaturizzate di pochi chilotoni, con un raggio distruttivo limitato a poche centinaia di metri ma incontrastabile da parte di qualsiasi forza convenzionale?
A parte il disastro a livello locale, i russi infrangerebbero il patto non scritto che trattiene le potenze nucleari dal “primo uso”. Difficilmente gli americani tollererebbero tale violazione e con tutta probabilità punirebbero la postazione da cui è partito l’attacco con la sua distruzione. Con armi convenzionali o nucleari? “L’interrogativo ‒ osserva Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo ‒ è drammaticamente attuale perché da esso dipende l’interruzione o al contrario l’intensificazione di un’escalation nucleare”. In quest’ultimo caso si passerebbe dalle testate tattiche a quelle a medio raggio (oltre 500 km.) dirette alla regione europea e da queste a quelle strategiche, dirette ai territori delle due maggiori potenze nucleari, gli Stati Uniti e la Russia.
Aggiunge il vice-presidente di Archivio Disarmo, Maurizio Simoncelli: “Non si tratta di un’idea di pacifisti radicali, né di pessimisti per partito preso. Si tratta di scenari che presso gli stati maggiori delle superpotenze sono allo studio da sempre e che da quando i russi hanno invaso l’Ucraina vengono aggiornati a Mosca e a Washington giorno per giorno, se non ora per ora”.
A questo punto all’Archivio Disarmo hanno deciso di utilizzare il modello di scenario elaborato da Alex Wallerstein e applicato dall’università di Princeton per stimare le vittime di un conflitto nucleare generalizzato che, in quel tragico caso, ammonterebbero a una cifra di circa 34 milioni soltanto nelle prime ore.
Anche prima di arrivare a quel livello e limitandosi all’intervento di armi nucleari “tattiche”, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Le bombe russe potrebbero attaccare obiettivi in Italia “paganti” dal punto di vista militare, quali basi aeree e navali e comandi Nato. Prime nel mirino sarebbero le basi Nato di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone) che ospitano insieme circa 40 testate nucleari. Ulteriori bersagli potrebbero essere rappresentati da altre basi e comandi militari Nato quali Vicenza (Caserma del Din e Caserma Ederle), Livorno (Camp Darby), Gaeta, Napoli (Naval Support Activity), Taranto, Sigonella (Naval Air Station). Secondo la simulazione, pubblicata oggi sulla rivista on line di Archivio Disarmo “Iriad review. Studi sulla pace e sui conflitti”, il bombardamento russo degli obiettivi sopracitati provocherebbe almeno 55 mila morti e oltre 190 mila feriti. La gran parte delle vittime deriverebbe dai bombardamenti degli obiettivi in prossimità delle città: Napoli (circa 21 mila morti e 109 mila feriti), Vicenza (12 mila morti e 45 mila feriti), Gaeta (12 mila morti e 5 mila feriti) e Taranto (7500 morti e quasi 27 mila feriti). Al danno umano va aggiunto quello economico che il blocco di infrastrutture e di centri nevralgici provocherebbe sull’intera Penisola e quello ambientale provocato dal fall out nucleare e dalla persistenza delle radiazioni.
“Prevedere lo scenario peggiore non significa contribuire a determinarlo ma, al contrario, contribuire a prevenirlo”, sottolinea Francesca Farruggia, Segretario Generale di Archivio Disarmo. Aderendo a un ragionamento che riprende il pensiero strategico classico, basato sul worst case, l’obiettivo di Archivio Disarmo è mettere in guardia nei confronti di una minaccia altamente improbabile, ma terrificante. Come noi e con molti più mezzi di noi, confidiamo che allo stesso obiettivo stiano lavorando i governi, le organizzazioni internazionali di cui fa parte l’Italia e le Nazioni Unite.
Fermare la guerra in Ucraina: rifiutare di movimentare carichi militari. Lettera dei lavoratori del sindacato portuali della costa occidentale (USA)
Lettera degli iscritti e pensionati ILWU (sindacato portuali costa occidentale USA) contro il comunicato del 3 marzo dei presidenti del sindacato, che indice il boicottaggio delle navi russe. Tornare alla tradizione ILWU di opposizione alle guerre dell’imperialismo USA, mentre è in corso guerra di classe in USA.
L’ILWU deve opporsi alla guerra provocata dagli Stati Uniti e dalla NATO!
Noi, iscritti e pensionati dell’ILWU, siamo molto preoccupati per la dichiarazione pubblica del Comitato Costiero del 3 marzo 2022 sulla guerra in Ucraina. Essa si discosta dalle numerose posizioni contrarie alla guerra che il nostro sindacato ha assunto anche quando era impopolare farlo. L’ILWU ha sempre criticato le azioni di guerra della NATO. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ci siamo opposti alle guerre e ai colpi di stato statunitensi in Corea, Vietnam, Angola, Serbia (ex Jugoslavia), Cuba (invasione della Baia dei Porci), Cile (colpo di stato), El Salvador e Nicaragua.
Il Primo Maggio 2008, l’ILWU ha chiuso tutti i porti della costa occidentale per opporsi alle “guerre imperialiste in Iraq e Afghanistan” (come recitava la risoluzione del Caucus). Abbiamo agito nei punti di produzione contro le guerre statunitensi e il governo dell’apartheid in Sudafrica. Ci siamo rifiutati di caricare carichi militari alle giunte militari anticomuniste in Cile e in El Salvador. Siamo orgogliosi di questa eredità. A febbraio, il Consiglio internazionale dei lavoratori portuali (sezione europea) ha rilasciato una dichiarazione in cui chiede la fine della guerra in Ucraina. Lo stesso deve fare l’ILWU.
Siamo di fronte a una guerra di classe in patria e a una guerra all’estero tra due governi capitalisti. I sindacati si stanno organizzando per combattere capitalisti miliardari come Jeff Bezos, proprietario di Amazon, e John Fisher, proprietario degli Oakland A’s, che sta progettando di costruire uno stadio nel trafficato porto di Oakland. Mentre l’ILWU si confronta con la PMA sull’automazione e l’inflazione nelle trattative contrattuali, la gente di Jackson, Mississippi, e di Flint, Michigan, non riesce ad avere acqua potabile pulita. Peggio ancora, le comunità nere e brune affrontano quotidianamente il terrore mortale della polizia e dell’ICE. Nel 2003, la polizia ha attaccato i manifestanti contro la guerra nel porto di Oakland al grido di “Le guerre sono a scopo di lucro, i lavoratori possono fermarle!”.
In piazza per la pace, contro cretini e guerrafondai. Basta appoggiare l’escalation – Fabio Marcelli
Al di là di ogni altra considerazione, l’impressione netta è che il governo di Kiev e la Nato ci prendano per scemi. Si veda ciò che è successo coll’attentato al ponte che collega la Crimea colla Russia. Dopo aver rivendicato il camion bomba con tanto di auguri ironici a Putin per il suo compleanno ed aver affermato che era solo l’inizio, il governo di Kiev si è inventato che responsabili sarebbero stati gli stessi russi, a causa di faide non meglio precisate tra vari settori dei servizi. Lo stesso era del resto accaduto coll’esplosione che ha messo fuori uso il gasdotto Nord Stream, auspicata dagli statunitensi e rivendicata apertamente da un ex ministro polacco e poi addebitata ai russi, che non si capisce quale giovamento avrebbero potuto trarne.
La verità è che i media sono pronti a trangugiare ogni bugia e ogni fake news purché provenga dalle fonti privilegiate, che sono poi quelle occidentali. Si veda anche il caso dei denti d’oro che secondo la stampa sarebbero stati strappati ai prigionieri ucraini, salvo poi scoprire, grazie al giornale tedesco Bild che erano stati rubati a uno studio dentistico. Non è solo solo un problema di qualità dell’informazione, ma anche di orientamento politico della stessa. E qui l’Italia paga ovviamente uno dei prezzi maggiori date le pessime tradizioni dei suoi giornaloni e delle sue televisioni. Le conseguenze di questa mancanza di obiettività sono estremamente negative pregiudicando tra l’altro la possibilità di un’inchiesta obiettiva sui crimini di guerra.
Ma la responsabilità dei media va oltre, traducendosi in un appoggio esplicito all’escalation che continua inarrestabile. C’era davvero da restare sconcertati di fronte allo giubilo col quale la Rai, prima del contrordine di Kiev, ha dato la notizia dell’attentato al ponte. Sembra che Zelensky e l’Ucraina siano legittimati a ogni dichiarazione e a ogni comportamento e ad esempio ad auspicare il first strike nucleare. In Italia media e partiti, se non chiaramente schierati coll’escalation, la subiscono passivamente senza riuscire ad articolare alcuna proposta di negoziato. La decisione di Zelensky di vietare per legge quest’ultimo è stata accettata come del tutto normale, mentre il Parlamento europeo, con un voto ignominioso ha bocciato ogni proposta volta a rilanciare la soluzione pacifica di un conflitto che si aggrava ogni giorno di più.
La premessa implicita di questo atteggiamento demenziale è che, dato che Putin e la Russia hanno violato il diritto internazionale invadendo l’Ucraina, occorre ora punirli costi quel che costi e mettendo a rischio l’esistenza stessa dell’umanità. Si tratta con ogni evidenza di un ragionamento primitivo che ignora il contesto nel quale si è prodotta l’aggressione, privandosi in tal modo della possibilità di capire le cause della situazione e quindi di intervenire efficacemente in merito avanzando proposte di soluzione pacifica.
L’arroganza dei guerrafondai giunge al punto di insultare coloro che non si rassegnano all’escalation, definendoli spregiativamente “putiniani” e “pacifinti” solo perché non disposti a rinunciare al loro senso critico e a trangugiare senza discutere le versioni di comodo confezionate dalla Nato. Una furia distruttiva e autodistruttiva che pregiudica il funzionamento degli apparati cerebrali. Del resto le guerre sono in genere precedute da epidemie di imbecillità, ma stavolta può essere davvero l’ultima, data la portata devastante degli armamenti in campo.
Deve quindi essere chiaro che la battaglia contro i cretini è oggi una battaglia per la sopravvivenza del genere umano. Certamente la situazione è grave anche e soprattutto perché costoro oggi infestano, specie nel nostro Paese, il sistema politico e quello della comunicazione sociale. Il tempo non è molto perché, con alla guida coloro che non hanno remore a trasformarci tutti in immondizia radioattiva, stiamo inesorabilmente slittando verso l’abisso.
Occorre quindi che si levi forte e determinata la voce di coloro che non accettano questo esito e non vogliono sacrificare le loro vite e quelle delle generazioni future ai diktat strategici della Nato e alla retorica del nazionalismo, sia esso russo o ucraino. Occorre pertanto raccogliere l’appello di Papa Francesco e scendere in piazza con determinazione per la pace, bene inestimabile che le corrotte e incompetenti élite politiche italiane ed europee non sono oggi in grado di garantire. E pertanto occorre rendere evidente che non ci rappresentano e mandarle via il più presto possibile, si chiamino Letta, Calenda, Meloni o in altro modo ancora. L’Italia riprenda in mano il suo destino prima che sia troppo tardi.
L’ECONOMISTA MOSLER: “LE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA NON HANNO SENSO E CON GAZPROMBANK LIBERA È COME SE NON CI FOSSERO”
Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Nella struttura del mondo moderno occidentale, le guerre ormai non servono più al regolamento di conti fra due paesi, mosso dal principio dell’autodeterminazione dei popoli, ma sono la scusa per giustificare eventi geopolitici finalizzati all’espansione del potere di quelle lobbies finanziarie che, ormai da tempo incontrastate, comandano e decidono sulle vite di buona parte del pianeta.
E’ nota a tutti, la risposta dell’Ovest allo scoppio del conflitto in Ucraina, che non è giunta certo attraverso l’auspicata diplomazia richiesta per dirimere pacificamente e nell’interesse di tutti, un conflitto tra una Superpotenza ed un piccolo Stato.
Al contrario, è stato fatto in modo di assicurarsi che la guerra non fosse breve, non curanti del fatto, che la strada intrapresa, potesse concretamente espandere il conflitto stesso su scala planetaria.
Cosa che nella realtà sta avvenendo! Le ultime forti dichiarazioni di Biden e Putin, oltre al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nel mar Baltico, lasciano poco spazio alle interpretazioni.
Tutto questo ci fa tornare alla prima considerazione, ovvero che la contesa dell’Ucraina, possa nascondere finalità che vanno oltre quelle del garantire il legittimo desiderio e diritto dei popoli di appartenere alla nazione che per storia e cultura sentono propria.
Per questo motivo e per capire dove sta la verità, è fondamentale fare un’accurata autopsia a quella che è stata la decisione che il duo Mario Draghi e Janet Yellen ha preso per conto dei governi europei e statunitensi, all’indomani dell’avvio dell’Operazione Militare Speciale che Putin ha mosso in territorio ucraino.
Mi riferisco a tutte quelle sanzioni che Stati Uniti ed Unione Europea hanno stabilito contro la Russia, in particolare il blocco di tutte le riserve in valuta estera che la Banca Centrale di Mosca detiene presso la FED e la BCE e la sua conseguente estromissione dal sistema dei pagamenti delle banche centrali.
Tali misure, come sappiamo, sono state rivendute, in senso metaforico, al popolo ignaro (dagli stessi ideatori e dalla stampa di regime), come la “bomba atomica” che avrebbe fatto capitolare in breve tempo tutto il sistema economico russo, costringendo Putin ad una ritirata immediata dai territori occupati. Nel contempo, mentre si continuava ad inviare armi per alimentare morti e distruzione, in attesa della prospettata e sicura resa del Cremlino, abbiamo dovuto prendere atto della cruda realtà: le sanzioni finanziarie, a tutt’oggi, sembrano non intaccare minimamente l’economia ed i piani russi, anzi, al contrario hanno acuito in maniera devastante il problema energetico per il continente europeo che, come sappiamo, dipende più di ogni altro dal gas proveniente dal gigante eurasiatico.
Ho usato il termine “acuito”, proprio perché, al contrario di quello che vogliono farci credere, la miccia al caro-prezzi sull’energia era già stata innescata quasi un anno prima, per mano dei diavoli della speculazione finanziaria, come sempre lasciati liberi di operare indisturbati dai governi: talvolta inerti, più spesso corrotti.
Fatta questa premessa e considerato quanto di distorto avevamo intuito ci fosse in merito al tema delle sanzioni finanziarie, siamo andati a chiedere lumi al Prof. Warren Mosler (economista padre fondatore della Modern Monetary Theory – la teoria che spiega da anni il corretto funzionamento della moneta fiat e dei sistemi monetari moderni ed in particolare le prerogative di uno Stato monopolista della valuta), soprattutto in considerazione del fatto che l’Istituto creditizio russo Gazprombank, è stato lasciato completamente fuori dalle limitazioni imposte e libero di operare sul sistema dei pagamenti.
Nel colloquio con l’economista (da ora in poi WM, ndr.), abbiamo anche sfiorato il tema “dollaro digitale”, oggetto di un nostro recente articolo:
CDC: Prof. Mosler, ha senso sanzionare un paese come la Russia che ci fornisce una merce vitale per la nostra economia come il gas naturale?
WM: “Per me tutto questo non ha senso: la cosa giusta da fare – per uno Stato importatore <esportatore> – sarebbe la conservazione del bene (in questo caso il gas), mentre uno stato importatore dovrebbe impegnarsi nella sostituzione attraverso soluzioni più convenienti”.
CDC: Cosa comporta per una banca centrale il blocco delle riserve in valuta estera?
WM: “Significa che il titolare del conto non può trasferire fondi all’estero. Se la Fed lo blocca, il conto della Russia (Banca Centrale, ndr) è congelato, niente di più. Il problema per la Russia è che non può trasferire quei fondi per effettuare i pagamenti”.
CDC: Con l’introduzione delle sanzioni, per fornire il gas, Vladimir Putin ha richiesto esplicitamente di essere pagato in rubli, quali sono, secondo lei, le ragioni per cui il presidente russo ha posto questa condizione per non interrompere le forniture?
WM : “Non so cosa stesse pensando, il risultato finale non cambia: chiedendo rubli, l’acquirente del petrolio o gas russo deve prima comprare rubli e pagarli con euro o dollari.
Se i conti russi in dollari ed euro sono bloccati, non può comprare rubli, quindi non cambia nulla.
Se l’Occidente permette lo sblocco di questi conti per poter acquistare rubli, tanto vale che li lasci sbloccati anche per la
vendita del petrolio o del gas. Quindi per me tutto questo non ha senso”.
CDC: Abbiamo visto che nonostante le sanzioni, le forniture di gas continuano ad essere effettuate, questo perché Gazprombank è stata mantenuta dentro al circuito per effettuare e ricevere pagamenti internazionali. La Banca Centrale di Russia, può eventualmente liquidare e/o movimentare le proprie riserve (attualmente bloccate) tramite Gazprombank?
WM: “Se i conti sono presso la Fed, la Russia non può trasferire questi fondi”.
CDC: Non le pare che tenendo fuori dalle sanzioni Gazprombank, di fatto è come se le sanzioni stesse non esistessero?
WM: “In pratica è così”.
CDC: Quindi a cosa servono realmente le sanzioni?
WM: “Presumibilmente per rendere le cose difficili alla Russia, limitando ciò che la Russia può importare”.
CDC: Secondo lei, le sanzioni avranno sulla Russia gli effetti sperati da coloro che le hanno ideate?
WM: “Sicuramente no!”
CDC: Janet Yellen, in un documento del Tesoro, ha specificato nel concreto cosa sarà la valuta digitale di Banca Centrale. Un dollaro digitale emesso dalla FED che potrà essere detenuto in conti aperti direttamente presso la FED stessa e convertibile “uno a uno” con l’attuale dollaro cartaceo o con saldi di riserva. Di fatto cosa sarebbe?
WM: “Un sistema di pagamenti”.
CDC: Quali sarebbero, secondo lei, le finalità per cui verrebbe introdotta la CBDC (Central Bank Digital Currency). Potrebbe essere un modo per eliminare il contante e quindi i pagamenti in “nero” e poter bloccare i fondi, più facilmente, attraverso un sistema centralizzato?
WM: “Parrebbe di sì. Semmai credo che siano più preoccupati per l’evasione fiscale”.
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Come avete potuto leggere dalle risposte del Prof. Mosler, sanzionare un paese, impedendogli tecnicamente di fornirci un bene per noi essenziale, non ha nessun senso logico. Anzi dovremmo seriamente preoccuparci, qualora il suddetto paese, dovesse intraprendere scelte conservative (in questo caso riguardo al gas). Ovvero se decidesse di non vendercelo più per un preciso intento di riservarlo ad un uso interno, nell’ottica di un possibile esaurimento futuro.
Ed è quello che di fatto stiamo vivendo!
Una scarsità di gas, follemente provocata, non da un precisa volontà del paese produttore ma da coloro che invece ne sono i beneficiari utilizzatori. Un’azione, totalmente sconsiderata, che soprattutto colpisce i paesi europei ed i loro sistemi economici, che sono privi di alternative credibili a costi compatibili…
ininfluenza assoluta – Enrico Euli
Quando gli Stati Uniti facevano quel che ora fanno i russi (contro Serbia o Iraq o Afghanistan o…) toccava a noi organizzare marce e cortei per la pace.
Solo noi andavamo in strada (con risultati sinceramente scarsi) e venivamo definiti anti-americani.
Ora è in discussione la legittimità stessa di manifestare per la pace: chi è pacifista è filo-russo ed anti-europeo (oltre che, come sempre, anti-americano).
La pace stessa è diventata inevitabilmente una parolaccia: perché può essere pronunciata soltanto da chi la invoca mentre fa la guerra e perché è finita in mano a quegli stessi partiti che hanno votato per la guerra (incluse le verginelle di Giuseppe Conte).
Ma, d’altronde, di cosa stiamo parlando?
Di fare o non fare un corteo per la pace e contro l’Armageddon nucleare.
Qualcosa oggi di totalmente inutile, di assolutamente ininfluente.
Se i potenti decidono di fare la guerra, la fanno (la stanno facendo).
Se decidessero di usare il nucleare tattico, lo faranno.
E da lì l’escalation verso la guerra nucleare globale sarebbe irreversibile.
Non c’è nulla che si possa fare ora.
Neppure da parte degli stessi governanti: il processo della guerra si alimenta da sé e non si può fermare.
Lo vediamo ogni giorno: ogni atto ne chiama un altro, ogni atto dell’uno è provocato dall’altro, ed ogni altra possibilità è esclusa.
É giunto il momento di pagare il conto.
Quel che andava fatto non è stato fatto, ed anzi abbiamo fatto esattamente quel che non andava fatto (produrre e vendere armi, fra l’altro…).
A cosa ci vogliamo attaccare ancora ?
Come dice la pubblicità di un surgelato: ‘Siamo onesti!’.
Onestamente parlando, si dovrebbe ammettere che l’opinione pubblica non può più pesare perché molto semplicemente ‘non c’è più’.
É solo una creazione dei media e dei social che, così come la fanno, la disfano.
Oggi infatti abbiamo e siamo soltanto un pubblico: ed il pubblico applaude o fischia, chiede il bis, urla o piange commosso, ma non può fare niente di meglio o di più.
Quando lo spettacolo finirà, questo stesso pubblico resterà stupito ed attonito e farà finta -ancora una volta- che tutto sia accaduto all’improvviso, imprevedibilmente, irrazionalmente e in un attimo.
Parleremo (se ci sarà ancora tempo e modo) di follia, di azzardo, di assurdità.
Diremo che quel che sta per accadere era inconcepibile.
Ed invece saremo noi, specie umana sapiens sapiens, ad averlo concepito, preparato e realizzato (o, perlomeno, permesso).
L’anestesia è totale: il pubblico vuole solo distrarsi, divertirsi, gozzovigliare tanto più proprio quanto più sale l’angoscia di sottofondo, la difficoltà (anche materiale) a vivere, la sensazione pervasiva di essere soltanto degli ostaggi in mano a dei criminali di professione.
Appare come un nuovo fato, infatti, quello a cui siamo sottoposti e a cui non riusciamo a sottrarci.
Non ci resta che una possibilità, se vogliamo restare umani: quella di deprimerci con coraggio.
Manifestare per la pace: dove, quando, come. Perché oggi non andrò al sit-in contro Mosca – Mao Valpiana
“Perché non partecipi alla manifestazione davanti all’ambasciata russa?”. Me lo sono sentito domandare più volte in questi giorni. Risposta numero uno: perché la condanna dell’aggressore l’ho già espressa dal 24 febbraio (anzi, dal 2014 in poi quando altri rifornivano di armi la Russia di Putin e noi denunciavamo la violazione dell’embargo da parte del governo italiano: andate a vedere chi c’era a Palazzo Chigi). Risposta numero due: perché ora è il momento della parte propositiva, cioè parlare a tutti i soggetti da coinvolgere nella realizzazione della Conferenza internazionale di pace.
Risposta numero tre: dovrei andare anche davanti all’ambasciata dell’Iran, della Turchia, dell’Egitto, dell’Afghanistan, e i compagni di manifestazione me li scelgo io: ai partiti che hanno votato tutti i bilanci dell’export militare, preferisco i movimenti e le associazioni che si sono battuti per la pace e per il rispetto dei diritti umani.
Ogni manifestazione è utile, se a favore della pace e contro la guerra; è sacrosanto condannare l’aggressore, ma oggi siamo in una fase politica più avanzata, che richiede proposte di soluzioni utili a fermare il massacro in atto per non vedere altri missili sui civili.
Detto questo, non voglio però esulare dalle domande di fondo che editorialisti e opinionisti stanno rivolgendo in questi giorni al movimento pacifista.
La nonviolenza è compatibile con la partecipazione alla guerra? Certamente no.
L’utilizzo delle armi per difendersi è lecito? Può esserlo, ma a determinate condizioni. Sta tutta qui la problematica sulla legittimità della difesa di fronte ad un’aggressione. Che la vittima (Ucraina) abbia diritto alla difesa contro il carnefice (Russia) è fuori discussione.
Il punto è quale tipo di difesa, con quali mezzi, con quale efficacia.
Partiamo dal fatto che ci sono diverse possibilità di difesa; non esiste solo la difesa armata, vi sono anche altre possibilità di resistenza civile, di difesa nonviolenta, di strategie non armate.
La difesa civile, non armata e nonviolenta (storicamente utilizzata in India da Gandhi contro il colonialismo inglese; in Sudafrica da Mandela contro l’apartheid; in Danimarca contro l’occupazione nazista e per la salvezza degli ebrei; in Cile contro la dittatura di Pinochet; in Polonia contro il regime di Jaruzelski; negli Stati Uniti da Martin Luther King per i diritti e contro la guerra in Vietnam) è efficace se adeguatamente preparata e preventivamente organizzata. Come la difesa armata, anche la difesa nonviolenta non si può improvvisare.
I movimenti nonviolenti, in tutto il mondo, lavorano a questo obiettivo comune: diminuire la capacità distruttiva della preparazione alla guerra, ed aumentare la capacità costruttiva della difesa nonviolenta. Questa è la strategia del transarmo: ridurre i flussi di denaro verso l’industria bellica a vantaggio di investimenti nella preparazione di una difesa non militare e nel rafforzamento delle istituzioni democratiche. Meno soldi per le armi, più soldi per la pace.
Ma se questo lavoro preventivo non è stato fatto, e anzi si è puntato tutto sulla difesa armata (come avvenuto in Ucraina che ora vuole entrare nell’alleanza militare della Nato), cosa si può fare quando arrivano i carriarmati dell’invasore? Resta davvero poco spazio per iniziative concrete di difesa civile. Ma se c’è anche un minimo spiraglio, questo va perseguito perché è l’unica possibilità per innescare un processo diverso da quello che prevede la guerra: colpo su colpo, in una spirale che si ferma solo quando una delle due parti viene annientata. E non è detto che a vincere sia sempre chi sta dalla parte giusta, perché la guerra solitamente la vincono i più forti che a volte sono quelli dalla parte sbagliata della storia.
E torno alle due domande iniziali. La nonviolenza gandhiana ci insegna che se l’alternativa è tra violenza e ignavia, è meglio scegliere la prima. Ma chiarisce anche che l’opzione preferibile, sempre possibile e prioritaria, è quella della nonviolenza del forte. Non usa mezzi termini il Mahatma: “Il valore assoluto è la nonviolenza, ma se devi peccare di ignavia di fronte al nemico, allora io ti dico che è meglio che tu prenda un fucile e gli spari in volto”. Il significato è chiarissimo: devi assumerti la responsabilità in prima persona. Non vuoi fare la scelta nonviolenta? Allora vai tu a combattere personalmente: fornire armi perché altri lo facciano al posto tuo è da vigliacchi. Pieno rispetto, dunque, per chi fa la scelta di difendersi con le armi, non spetta a noi giudicare.
Ma da nonviolenti dobbiamo considerare la compatibilità dei mezzi (le armi, la guerra), con il fine (la difesa, la pace). Per questo in Ucraina abbiamo portato mezzi e sostegno a chi, pur sotto i missili gettati su Kiev, ha scelto e sta attuando la resistenza passiva, la difesa nonviolenta, come strategia concreta sulla quale costruire la pace giusta di domani.
L’Accademia dei Lincei contro le armi nucleari tattiche
Putin fa riferimento al possibile utilizzo di armi nucleari e Biden ammette che il rischio di apocalisse è tornato. Gli scienziati del gruppo di lavoro sul controllo degli armamenti dell’Accademia dei Lincei insieme al presidente Antonelli e al Nobel Parisi chiedono in una nota immediati negoziati di disarmo nucleare.
Il presidente statunitense Joe Biden giovedì 6 ottobre, perla prima volta dalla fine della guerra fredda, ha messo in guardia dalla possibilità di un apocalisse nucleare. Durante un discorso a New York per la campagna di raccolta fondi per le elezioni di Midterm Biden ha dichiarato che il presidente russo Vladimir Putin “non scherza quando parla del potenziale uso di armi nucleari tattiche o di armi biologiche o chimiche, perché il suo esercito, si potrebbe dire, è molto scadente”. In effetti Putin ha fatto un allusione alla bomba atomica nel suo discorso del 21 settembre scorso. L’inquilino del Cremlino ha dichiarato di essere pronto a utilizzare “qualsiasi mezzo” di cui dispone nel suo arsenale contro l’Occidente accusato di voler distruggere la Russia. “Non è un bluff”, ha assicurato aggiungendo che gli Stati Uniti hanno creato un precedente a questo proposito quando hanno bombardato Hiroshima e Nagasaki nel 1945. “Non ci siamo più confrontati con la prospettiva di una apocalisse dopo Kennedy e la crisi dei missili a Cuba”, ha ribattuto di nuovo Biden giovedì 6 ottobre ricordando l’episodio di fortissima tensione tra i due blocchi del 1962. Parlando di come Putin possa uscire dall’angolo nel quale la resistenza ucraina lo sta mettendo nella sua controffensiva lo stesso Biden ha detto: “Come può uscirne? Come può posizionarsi in modo da non perdere la faccia o una parte significativa del suo potere in Russia?”. Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelenski soltanto giovedì in una intervista ha precisato di non aver fatto riferimento ad “attacchi nucleari preventivi” necessari per arrivare alla vittoria sui russi, ma che il suo messaggio si riferiva invece alle sanzioni (l’ottava tranche di sanzioni europee del valore di 7 miliardi di euro è stata per altro approvata proprio giovedì).
In questo clima nel quale gli attori del conflitto rifiutano di sedersi intorno ad un tavolo per avviare una de-escalation e parlano di ordigni nucleari tattici come se fossero una possibilità da prendere in considerazione, arriva il monito degli scienziati. In Italia l’Accademia dei Lincei interviene sull’argomento con una nota di grande preoccupazione.
“Una funzione riconosciuta degli attuali arsenali nucleari è di dissuadere gli avversari dotati di tali armi dall’usarle, mediante la minaccia di una ritorsione catastrofica. È la Mutua Distruzione Garantita che ha improntato gli anni della Guerra Fredda”, inizia la dichiarazione del Gruppo di Lavoro dell’Accademia per la Sicurezza internazionale e il controllo degli armamenti (in sigla, il Sica) al quale si associano Il presidente dell’Accademia dei Lincei Roberto Antonelli e il vicepresidente Giorgio Parisi.
“L’impiego di armi nucleari “tattiche” è stato ventilato nell’ambito del conflitto tra Russia e Ucraina – continua la nota – da parte di dirigenti del Paese aggressore, per arrestare un conflitto che sembra ora volgersi a loro sfavore. Tuttavia, la sola menzione del possibile impiego di armi nucleari “tattiche” è pericolosa e solleva scenari altamente inquietanti…
IL CURIOSO SILENZIO SULLE BOLLE DI GAS NEL BALTICO – Alastair Crooke
Molti sono confusi. L’Europa ha appena perso una fonte indispensabile di energia a basso costo, necessaria per il funzionamento di qualsiasi società ed economia moderna. Inoltre, arriva proprio nel momento in cui la Gran Bretagna e la zona euro sono entrate in una crisi finanziaria inflazionistica.
Che cosa è successo? Una gigantesca bolla di gas è esplosa sulla superficie del Mar Baltico, segnando la fine di ogni ipotetica fornitura dal Nord Stream alla Germania, “facilitando” così quella che il Segretario di Stato Blinken ha definito una “tremenda opportunità” per gli Stati Uniti. Curiosamente, il sabotaggio ha coinciso con le notizie che suggerivano l’esistenza di colloqui segreti tra Germania e Russia per risolvere i problemi del Nord Stream e far ripartire le forniture.
E cosa abbiamo sentito dall’Europa? Silenzio, solo condanne formali e sommarie nei confronti della Russia.
Certo, lo sanno. Sanno chi è stato, ma l’euro-élite non lo dice.
Per capire il paradosso del silenzio europeo dobbiamo guardare all’interazione tra le tre principali dinamiche che operano in Europa. Ognuna di esse pensa di essere la “mano vincente,” il “tutto e per tutto” del futuro. Ma, in realtà, due di esse non sono che semplici “strumenti utili” agli occhi di coloro che “tirano le leve” e “suonano la musica” (cioè controllano le psyops) da “dietro il sipario.”
Inoltre, c’è una forte disparità di motivazioni: Gli “Straussiani” dietro il sipario, si ritengono in guerra, una guerra esistenziale per mantenere il loro primato. Le seconde due correnti sono progetti utopici che hanno dimostrato di essere facilmente manipolabili.
Gli “Straussiani” sono i seguaci di Leo Strauss, il principale teorico neoconservatore. Molti sono ex Trotzkisti passati da sinistra a destra (se preferite, chiamateli “falchi” neoconservatori). Il loro messaggio è una dottrina molto semplice sul mantenimento del potere: “non lasciarselo mai sfuggire,” bloccare l’emergere di qualsiasi rivale, fare tutto il necessario.
Lo Sraussiano più famoso, Paul Wolfowitz, aveva scritto questa semplice dottrina – “bisogna distruggere qualsiasi rivale emergente, prima che sia lui a distruggere voi” – nel documento ufficiale di pianificazione della difesa degli Stati Uniti del 1992, aggiungendo che l’Europa e il Giappone, in particolare, dovevano essere “scoraggiati” dal mettere in discussione la supremazia globale degli Stati Uniti. Questa scheletrica dottrina, anche se poi era stata rielaborata nelle successive amministrazioni Clinton, Bush e Obama, è rimasta invariata nella sua essenza.
E, poiché il messaggio “bloccare qualsiasi rivale” è così diretto e convincente, negli Stati Uniti gli Straussiani passano facilmente da un partito politico all’altro. Hanno anche i loro “utili” ausiliari profondamente radicati nell’élite statunitense e nelle istituzioni del potere statale. La più antica e fidata di queste forze ausiliarie è tuttavia l’alleanza anglo-americana di intelligence e sicurezza…
COL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM GLI USA HANNO DICHIARATO GUERRA A RUSSIA, GERMANIA, OLANDA E FRANCIA – Thierry Meyssan
La stampa internazionale affronta il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream come fatto di cronaca, noi invece lo analizziamo come atto di guerra contro Germania, Olanda, e Francia. Le tre vie di approvvigionamento di gas dell’Europa Occidentale sono state interrotte simultaneamente ed è stato contemporaneamente inaugurato un nuovo gasdotto con terminali in Polonia.
Come già Mikhail Gorbaciov vide nella catastrofe di Cernobyl l’inevitabile smembramento dell’Unione Sovietica, noi riteniamo che il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream segni l’inizio della rovina economica dell’Unione Europea.
La lotta degli Stati Uniti per conservare l’egemonia mondiale è entrata nella terza fase.
– L’allargamento della Nato a est, in violazione degli impegni occidentali di non installazione di armi statunitensi in Europa centrale, è una minaccia diretta alla Russia, che non può difendere i suoi immensi confini.
– Violando gli impegni assunti dopo la seconda guerra mondiale, Washington ha portato al potere a Kiev i nazionalisti integralisti («nazisti» secondo la terminologia del Cremlino), che hanno vietato ai compatrioti russofoni di parlare la loro lingua madre, li hanno privati di servizi pubblici e infine hanno bombardato i compatrioti del Donbass. La Russia non ha avuto scelta ed è intervenuta militarmente per mettere fine al loro calvario.
– La terza fase è il cambiamento autoritario dell’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale e centrale. Il giorno stesso in cui il gasdotto del Baltico, Baltic Pipe, è diventato operativo, i due gasdotti Nord Stream sono stati messi fuori uso, nonché interrotta la manutenzione del Turkish Stream.
È il più importante sabotaggio della storia. Un atto di guerra contro Russia (51%) e Germania (30%), comproprietarie di questi colossali investimenti, ma anche contro Olanda (9%) e Francia (9%). Al momento nessuna delle vittime ha reagito pubblicamente.
Per compiere distruzioni di tale portata occorreva disporre di sottomarini in zona, che le potenze della regione hanno identificato. Ufficialmente non ci sono indizi, nel senso poliziesco del termine, ma le “telecamere di sorveglianza” (i sonar) hanno parlato. Gli Stati interessati sanno con certezza chi è il colpevole, ma, o non intendono reagire, nel qual caso saranno radiati dalla mappa politica, o stanno segretamente preparando una replica a quest’operazione clandestina, sicché quando la realizzassero diventerebbero veri protagonisti politici.
Rammentiamoci del colpo di Stato di Algeri del 1961 e degli attentati alla vita del presidente della Repubblica francese Charles De Gaulle che seguirono. De Gaulle finse di credere che fossero opera dell’Organizzazione dell’Armata Segreta (OAS), formata dai francesi che si opponevano all’indipendenza dell’Algeria. Ma il ministro degli Esteri dell’epoca, Maurice Couve de Murville, menzionò pubblicamente il ruolo dell’Opus Dei spagnola e della CIA nell’organizzazione e nel finanziamento degli attentati. De Gaulle cercò e identificò i traditori, riorganizzò la polizia e le forze armate e cinque anni dopo improvvisamente annunciò il ritiro della Francia dal comando integrato della Nato, cui diede due settimane per chiudere la sede di Parigi-Dauphine e migrare in Belgio; concesse un po’ più di tempo per chiudere le 29 basi militari dell’Alleanza. Iniziò in seguito a viaggiare all’estero per denunciare l’ipocrisia statunitense, soprattutto la guerra del Vietnam. La Francia riprese all’istante il ruolo di potenza di riferimento nelle relazioni internazionali. Sono fatti mai pubblicamente spiegati, ma che tutti i dirigenti politici dell’epoca possono confermare [1].
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno progettato una mappa che sconvolge le relazioni internazionali e li ha indotti a rovesciare governi e muovere guerre, al fine di realizzare vie di trasporto delle fonti di energia. Questa è stata per otto anni la principale attività del vicepresidente Al Gore, nonché ora quella del consigliere speciale Amos Hochstein. Rammentiamoci della guerra di Transnistria, finalizzata a mettere le mani su un hub di gasdotti [2], nonché della guerra del Kosovo, per costruire una via di comunicazione attraverso i Balcani, l’“VIII corridoio”. Ora si palesano i restanti tasselli del puzzle.
È particolarmente difficoltoso capire il danno che l’Unione Europea ha appena subito e che, molto probabilmente, ne provocherà il crollo economico, perché l’UE stessa ha preso decisioni essenziali per il proprio fallimento…
Una tabella di marcia per sfuggire alla morsa dell’Occidente – Pepe Escobar
Il percorso geoeconomico di allontanamento dall’ordine neoliberale è irto di pericoli, ma le ricompense per l’instaurazione di un sistema alternativo sono tanto promettenti quanto urgenti
È impossibile seguire le turbolenze geoeconomiche inerenti alle “doglie del parto” del mondo multipolare senza le intuizioni del professor Michael Hudson dell’Università del Missouri, autore del già seminale Il destino della civiltà.
Nel suo ultimo saggio, [qui tradotto su CDC] il professor Hudson approfondisce le politiche economiche e finanziarie suicide della Germania, il loro effetto sull’euro, già in caduta, e accenna ad alcune possibilità per una rapida integrazione dell’Eurasia e di tutto Sud globale per cercare di spezzare la morsa dell’Egemone.
Ne è nata una serie di scambi di e-mail, in particolare sul ruolo futuro dello yuan, riguardo al quale Hudson ha osservato:
“I Cinesi con cui ho parlato per anni e anni non si aspettavano un indebolimento del dollaro. Non stanno piangendo per il suo aumento, ma sono preoccupati per la fuga di capitali dalla Cina, poiché penso che, dopo il Congresso del Partito [che inizierà il 16 ottobre], ci sarà un giro di vite nei confronti dei fautori del libero mercato di Shanghai.” La pressione per i prossimi cambiamenti si sta accumulando da tempo. Lo spirito di riforma per il controllo del ‘libero mercato’ aveva iniziato a diffondersi già più di dieci anni fa tra gli studenti [cinesi], e molti loro sono saliti in alto nella gerarchia del Partito.”
Sulla questione chiave dell’accettazione da parte della Russia del pagamento dell’energia in rubli, Hudson ha toccato un punto raramente esaminato al di fuori della Russia: “Non vogliono essere pagati solo in rubli. È l’unica cosa di cui la Russia non ha bisogno, perché può semplicemente stamparli. Ha bisogno di rubli solo per bilanciare i pagamenti internazionali e stabilizzare il tasso di cambio, non per farlo salire.”
Il che ci porta ai pagamenti in yuan: “Effettuare pagamenti in yuan è come effettuare pagamenti in oro – un bene internazionale che ogni Paese desidera, in quanto valuta non fittizia e che ha un valore se la si vende (a differenza del dollaro attuale, che può essere semplicemente confiscato, o, alla fine, abbandonato). Ciò di cui la Russia ha veramente bisogno sono alcuni prodotti industriali chiave come i chip per computer. Potrebbe chiedere alla Cina di importarli con gli yuan forniti dalla Russia.”
Keynes è tornato
In seguito ai nostri scambi di e-mail, il professor Hudson ha gentilmente accettato di rispondere in dettaglio ad alcune domande sui processi geoeconomici estremamente complessi in atto in Eurasia..
* * * *
The Cradle: I BRICS e, crediamo, anche i BRICS+ [allargati] stanno studiando l’adozione di una moneta comune. Come potrebbe essere attuata in pratica? È difficile immaginare che la Banca Centrale brasiliana si armonizzi con quella russa e con la Banca Popolare Cinese. Si tratterebbe solo di investimenti, attraverso la banca di sviluppo dei BRICS? Si baserebbe su materie prime + oro? Come si inserisce lo yuan? L’approccio dei BRICS si basa sulle attuali discussioni dell’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) con i Cinesi, guidate da Sergey Glazyev? [Qui tradotto su CDC] Il vertice di Samarcanda ha fatto avanzare, in pratica, l’interconnessione dei BRICS e della SCO?
Hudson: “Qualsiasi idea di una moneta comune deve iniziare con un accordo di scambio di valute tra gli attuali Paesi membri. La maggior parte degli scambi commerciali dovrà avvenire nelle rispettive valute. Ma, per risolvere gli inevitabili squilibri (eccedenze e deficit della bilancia dei pagamenti), la nuova Banca Centrale dovrà creare una valuta artificiale.
In apparenza potrebbe assomigliare ai Diritti Speciali di Prelievo (DSP) creati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), in gran parte per finanziare il deficit degli Stati Uniti per le spese militari e i sempre più onerosi interessi che i debitori del Sud del mondo devono ai prestatori statunitensi. Ma questa valuta artificiale sarà molto più simile al “bancor” proposto da John Maynard Keynes nel 1944. I Paesi in deficit potrebbero attingere ad una quota specifica di bancor, il cui valore sarebbe stabilito da una selezione comune di prezzi e tassi di cambio. I bancor (insieme alle valute nazionali) verrebbero così utilizzati per pagare i Paesi in surplus.
Ma, a differenza del sistema di DSP del FMI, l’obiettivo di questa nuova Banca Centrale alternativa non sarà semplicemente quello di sovvenzionare la polarizzazione economica e l’indebitamento. Keynes aveva proposto un principio secondo il quale se un Paese (all’epoca pensava agli Stati Uniti) avesse accumulato eccedenze croniche, sarebbe stato un segno del suo protezionismo o del suo rifiuto di sostenere un’economia reciprocamente stabile, e i suoi crediti avrebbero dovuto essere estinti, insieme ai debiti in bancor dei Paesi le cui economie impedivano la capacità di bilanciare i pagamenti internazionali e di sostenere la propria valuta.
Gli accordi proposti oggi sosterrebbero sì i prestiti tra le banche partecipanti, ma non allo scopo di sostenere la fuga di capitali (il destino principale dei prestiti del FMI, quando sembra probabile l’elezione di governi “di sinistra”), e il FMI e la sua alternativa associata alla Banca Mondiale non imporrebbero piani di austerità e politiche anti-lavoro ai debitori. La dottrina economica promuoverebbe l’autosufficienza alimentare e i beni di prima necessità, così come la formazione di capitale agricolo e industriale tangibile, non la finanziarizzazione.
È probabile che anche l’oro costituisca un elemento delle riserve monetarie internazionali di questi Paesi, semplicemente perché l’oro è un bene che centinaia di anni di pratica mondiale hanno già riconosciuto come accettabile e politicamente neutrale. Ma l’oro sarebbe un mezzo per regolare i saldi dei pagamenti, non per definire la valuta nazionale. Questi saldi si estenderebbero ovviamente al commercio e agli investimenti con i Paesi occidentali che non fanno parte di questa banca. L’oro sarebbe un mezzo accettabile per regolare i saldi del debito occidentale verso la nuova banca centrata sull’Eurasia. Si tratterebbe di un mezzo di pagamento che i Paesi occidentali non potrebbero semplicemente ripudiare, a condizione che l’oro sia conservato nelle mani dei membri della nuova banca e non più a New York o a Londra, come è stata la pericolosa prassi fin dal 1945.
Nella creazione di tale banca, la Cina si troverebbe in una posizione dominante, simile a quella degli Stati Uniti nel 1944 a Bretton Woods. Ma la sua filosofia operativa sarebbe molto diversa. L’obiettivo sarebbe quello di sviluppare le economie dei membri della banca, con una pianificazione a lungo termine o con i modelli commerciali più appropriati per le loro economie, per evitare il tipo di relazioni di dipendenza, le acquisizioni e le privatizzazioni che hanno caratterizzato la politica del FMI e della Banca Mondiale.
Questi obiettivi di sviluppo comporterebbero la riforma fondiaria, la ristrutturazione industriale e finanziaria, la riforma fiscale e le riforme bancarie e creditizie nazionali. I dibattiti degli incontri della SCO sembrano aver preparato il terreno per stabilire una generale armonia di interessi nella creazione di riforme in tal senso.”…
L’ipotesi di pace (provvisoria) – Ragionamento ipotetico – Pierluigi Fagan
…La variabile territori, non del tutto ma in parte, potrebbe esser mediata da US-NATO-EU direttamente con i russi muovendo la leva de-sanzionatoria, in senso parziale ovvio. Sulla protezione militare o meglio garanzia di protezione dissuasiva una ripresa del conflitto, l’accordo è più semplice, si era già quasi trovato ai primi tentativi di colloquio tra le parti. Il “referendum legale” proposto da Musk (ovviamente Musk ripeteva ipotesi che girano in certo ambienti americani, sappiamo come i destini personali di Musk siano collegati alla macchina militar-aerospaziale di Washington, certo Musk non ha tutti i miliardi che spende e spande in missili e satelliti perché ha venduto un sacco di automobiline elettriche) è una possibilità. Nei fatti, soprattutto nel Donetsk e Lugansk, sono rimasti solo coloro che vedono con favore o non con sfavore l’annessione russa, far tornare indietro quelli scappati la vedo molto complicata. Un “referendum legale” è ciò che serve a tutti per mettersi al riparo da critiche interne ed esterne. I russi dovrebbero rivedere un punto della loro Costituzione per rimettere in giudicata l’annessione, ma anche qui dipende da cosa otterrebbero in cambio. Sulla Crimea si può accettare il dato di fatto al di là dei proclami.
Ma, ripeto, il nucleo delicato e decisivo della questione, dopo i territori, è nei soldi. Come ogni altro caso nelle crisi di società moderne, pioggia di soldi o meno lenisce molte ferite. C’è qualche altra decina di punti da quadrare, dagli equilibri sul Mar Nero alla interposizione di forze terze ai confini reciproci, dalla relativa normalizzazione o meno delle relazioni dirette tra russi ed ucraini alla revisione interna di leggi e costituzioni. Ma paradossalmente, più punti ci sono meglio è in quanto una trattativa con molti punti permette più flessibilità nel gioco “ti do, mi dai”.
I soldi da dare all’Ucraina andrebbero sostanzialmente considerati come “a fondo perduto”. Molto improbabile riceverne il saldo, l’Ucraina era una economia ai minimi termini prima della guerra e la perdita di buona parte delle industrie nelle zone occupate ed annesse da Mosca certo non ha migliorato le cose. Ricordo un discorso fatto da Zelensky un paio di mesi dopo l’inizio del conflitto, il quale citava il “modello Israele” ovvero un paese pronto al conflitto permanente e perciò votato alla ricerca avanzata soprattutto in ambito digital-tecnologico. Forse un sogno dell’élite più giovane ed liberal-cosmopolita di Kiev che circonda il soggetto Z, non so come questo potrebbe far quadrare i conti per un Paese che comunque ha tra 30-40 milioni di persone, in media, povere. A riguardo, “amici dell’est europeo” ed anglosassoni sarebbero senz’altro disponibili anche per ampliare influenza e delocalizzare a basso costo. Qualcosa si può scaricare su casseforti int’li come IMF-WB, inclusi cinesi ed indiani chiamati a fare meno gli “indiani”. Temo però che la richiesta di soldi e riconoscimento sarà per lo più scaricata sull’Europa e non so dire quanto l’Europa potrà credibilmente farsene carico.
Semmai così andasse, US e Russia avrebbero ognuna preso il proprio come si conviene tra potenze, la prima più dei secondi ma, ripeto, credo sia stato previsto date le condizioni di partenza o meglio quelle questioni invisibili ai più che stavano per stritolare geo-militarmente la Russia ed a cui la Russia non ha potuto che reagire. Il saldo eventuale per l’Ucraina o forse solo per l’attuale élite ucraina, sarà da calcolare a bocce ferme. Sicuramente chi alla fine avrà il bilancio più negativo sarà l’Europa.
Dal che il mio sconcerto nel vedere tanti prodi tifosi per guelfi e gabellini visto che nei fatti siamo tutti iscritti di dovere nel sistema che pagherà il prezzo più alto. Del resto, se mediamente ci fosse stata -non dico tanto ma- almeno un minimo livello di comprensione di ciò che stava succedendo, non certo quello che hanno raccontato stava succedendo, le cose sarebbe andate diversamente sin dall’applicazione degli accordi di Minsk.
La stupidità costa, costa morti, migranti, sofferenze, distruzione materiale, ferite materiali ed immateriali ed un sacco di soldi, di restrizione delle condizioni di possibilità per lo sviluppo delle nostre forme di vita associata. Ma tanto tutto ciò lo stupido non lo sa altrimenti non sarebbe stupido.
Una guerra contro l’Europa – Gaetano Colonna
La terza, o forse la quarta guerra mondiale è già cominciata da tempo, ne siamo consapevoli. La quarta, se si considera come una vera guerra la cosiddetta Guerra Fredda, ovviamente. Il fatto è che di questa guerra, terza o quarta che sia, l’obiettivo non è, come ci si vuol fare credere, la Russia del cosiddetto autocrate Vladimir Putin — ma una possibile Europa unita ed indipendente. Sappiamo bene che formulare queste ipotesi oggi significa essere prontamente confinati nel ghetto dei complottisti, ma i fatti parlano chiaro.
Plan Arcadia
Partiamo da lontano, dal poco noto ma fondamentale e assai ben documentato Plan Arcadia, vale a dire il documento strategico, per lo più frutto di un’elaborazione che gli Inglesi non per nulla definirono allora “British Most Secret”, il massimo segreto inglese.
Nel corso della conferenza alleata anglo-americana, svoltasi a Washington tra il 24 dicembre 1941 ed il 14 gennaio 1942 (quindi poco dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour e l’entrata degli Usa nel conflitto mondiale), denominata in codice appunto Arcadia, i Britannici presentarono infatti il 5 gennaio un fondamentale documento, intitolato American-British Grand Strategy, nel quale, delineando i punti principali della strategia nel conflitto, si definiva operativamente la cosiddetta “quarta dimensione della guerra”, cioè l’insieme delle misure rivolte a colpire le coscienze, comprendenti guerra psicologica, propaganda, disinformazione, intossicazione, sovversione e terrorismo.
Non possiamo dunque dimenticare che questa dimensione è stata in realtà fondamentale per il raggiungimento della vittoria Alleata nella Seconda Guerra mondiale. Ne abbiamo spesso parlato sulle colonne di clarissa.it, soprattutto quando ci siamo dovuti occupare della storia della strategia della tensione in Italia. Riteniamo che questa impostazione sia connaturata allo stile anglo-sassone di condotta nei conflitti, nell’oramai lunga storia della loro politica di potenza a livello mondiale.
La crisi strutturale degli Usa
Un dato di fatto è che gli Stati Uniti d’America sono da almeno due decenni in una grave crisi strutturale: i loro interventi militari in Medio Oriente non hanno risolto, ma semmai aggravato, i problemi di quell’area, e la recente pesantissima sconfitta in Afghanistan ha rappresentato una decisiva conferma, per la classe dirigente statunitense (che si è infatti affrettata a farla cancellare dai media mondiali), della loro incapacità di affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche mondiali.
Dal punto di vista industriale, la crescente affermazione della Cina mette in forse, per la prima volta dalla fine del XIX secolo, il predominio del capitalismo delle grandi multinazionali statunitensi, affermando un modello di capital-comunismo nel quale la centralizzazione del potere politico si accompagna ad un’eccezionale concentrazione di forza finanziaria, produttiva e ancor più commerciale.
Il debito pubblico Usa ha raggiunto, secondo Trading Economics, a settembre 2021, 28.428,919 milioni di dollari, tra le cifre più alte della storia del paese. Il rapporto debito/Pil, ora di poco superiore al 100%, sta lentamente raggiungendo i valori caratteristici del secondo conflitto mondiale, quando ha sfiorato il 120%. Gli Usa hanno evitato il default nel 2021 semplicemente innalzando per legge il tetto del loro debito pubblico di ben 480 milioni di dollari.
Il deficit della bilancia commerciale Usa, secondo i dati del Bureau of Economic Analysis (BEA) del Dipartimento del Commercio americano, si è attestato, a giugno, a 79,6 miliardi di dollari rispetto agli 84,9 miliardi di maggio: esportazioni per un valore di 260,8 miliardi, importazioni per 340 miliardi. Siamo dunque in presenza di un Paese la cui gigantesca economia acquista più di quanto vende all’estero.
Si aggiunga a questo la crisi di fondo della democrazia americana, dimenticata anche questa dai media italiani, causata dal deficit di rappresentatività di un sistema che è sempre più in mano a ristretti gruppi di pressione finanziari che hanno di fatto oramai completamente sottratto al controllo ed alla sovranità popolare la direzione del Paese. Sta tutto qui il nocciolo delle travagliate vicende della presidenza Trump, come bene si comprende leggendo testimonianze come quella, onesta e critica, del suo Attorney General, William Barr 1.
Stati Uniti ed Europa
In un siffatto contesto, la guerra scoppiata in Europa rappresenta un’occasione straordinariamente positiva per gli Stati Uniti.
In primo luogo, questa guerra ha oggettivamente condotto la Russia “revisionista” di Putin in un pantano politico-militare dal quale non sembra possibile riesca ad uscire in tempi brevi: se infatti questo conflitto non troverà una soluzione rapida, in una prospettiva di “quarta dimensione della guerra” esso potrebbe portare addirittura ad una destabilizzazione della Russia, obiettivo assai rilevante almeno per i settori del cosiddetto “interventismo democratico” degli Usa, di cui Jo Biden è un esponente fin dagli anni Ottanta del XX secolo.
In secondo luogo, lo stesso conflitto è andato ad impattare in maniera a quanto pare decisiva su di una questione di importanza strategica essenziale: la dipendenza energetica dell’Europa dall’estero, prima dal Medio Oriente, ora dalla Russia. Basta osservare infatti che, fino al 26 settembre 2022, i rifornimenti di gas dell’Unione arrivavano principalmente dalla Russia, tramite il gasdotto Brotherhood, che attraversa l’Ucraina, tramite il gasdotto Nord Stream, nonché mediante il Turkish Stream. Il gasdotto Brotherhood è ancora parzialmente funzionante, ma può essere tagliato definitivamente per volontà di Kiev, o magari a seguito di opportuni atti di sabotaggio; i condotti Nord Stream sono stati resi inutilizzabili, almeno momentaneamente; quanto al superstite Turkish Stream, non ne può essere effettuata la manutenzione a causa delle sanzioni adottate dalla Unione Europea, imposte dagli Stati Uniti.
Ridicolo quindi sostenere la paternità russa degli attentati ai Nord Stream 1 e 2, in quanto non solo gli stessi sono posseduti per almeno il 51% da un’azienda russa, ma il loro sabotaggio presuppone vicine basi d’appoggio, cioè l’ombrello protettivo della Nato. Sono dati di fatto ben noti alle cancellerie europee, per tacere del fatto che, con ogni probabilità, molte di esse sono in possesso di informazioni dettagliate sugli attacchi, trattandosi di strutture prevedibilmente monitorate h24: qualcuno quindi sa, ma preferisce tacere.
Infine, ma è questo il punto davvero fondamentale, questo secondo conflitto in Europa, dopo quello nella ex-Jugoslavia, cancella qualsiasi possibilità di formazione di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, che è da sempre il maggiore timore delle classi dirigenti anglo-americane. La contrapposizione fra Russia ed Unione Europea, con l’autolesionistica applicazione di sanzioni indiscriminate, è da questo punto di vista un successo fondamentale per gli Usa, aumentando la dipendenza europea sul piano energetico, economico, militare e spingendo la Russia nelle braccia, assai poco accoglienti in verità, della Cina…
LA NARRAZIONE SECONDO CUI QUESTA GUERRA È STATA “NON PROVOCATA” IMPEDISCE LA PACE – Caitlin Johnstone
…cosa significa che la guerra è “non provocata”? Significa che Putin non ha invaso l’Ucraina a causa di qualcosa che l’impero occidentale stava facendo, quindi non si sarebbe potuto evitare che l’impero occidentale si comportasse in modo meno aggressivo ai confini della Russia. Significa che Putin ha invaso necessariamente perché è una specie di pazzoide malvagio che ama commettere crimini di guerra, o un tiranno megalomane che vuole conquistare il mondo perché odia la libertà e la democrazia. Il che significa che continuerà ad attaccare e invadere altri Paesi a meno che non lo si possa fermare. Il che significa che l’unica risposta al problema Putin è più guerra.
Questo è il motivo per cui gli apologeti dell’impero si arrabbiano con coloro che sostengono l’unica posizione sana e razionale nei confronti della guerra nucleare, invocando la de-escalation e la distensione. È perché sono stati aggressivamente indottrinati a credere che la guerra sia l’unica risposta.
La narrazione idiota secondo cui l’invasione dell’Ucraina è stata “non provocata” pone un enorme ostacolo alla pace, perché se Putin attacca e invade Paesi solo perché è pazzo e malvagio, significa che la distensione è impossibile e che non si fermerà finché non sarà decisamente schiacciato. Se si accetta che l’impero statunitense non ha avuto alcun ruolo nel provocare le azioni di Putin, ciò significa che non c’è nulla che l’impero possa fare per rendere meno probabile la prosecuzione dell’aggressione russa, a parte un cambio di regime, o almeno paralizzare e punire gravemente la Russia dal punto di vista militare.
Finché il fatto che questa guerra sia stata provocata non sarà riconosciuto dalla parte che l’ha provocata, la via sana della de-escalation e della distensione sembrerà una sconsiderata acquiescenza a un pazzo irrazionale, e l’escalation aggressiva della politica di rischio nucleare calcolato (corsivo del traduttore) sembrerà sana. L’assurdo postulato che Putin sia un attore irrazionale con una sorta di strano feticismo sessuale per i crimini di guerra è un biglietto di sola andata per un’escalation di guerra senza fine e per l’eventuale annientamento nucleare, perché non lascia altra scelta se non quella di intensificare continuamente il confronto militare.
L’affermazione che la pace è impossibile e che Putin deve essere schiacciato mette in pericolo il mondo intero. Anche una vittoria totale dell’Ucraina (che riportasse la Russia ai confini precedenti al 2014) potrebbe facilmente costare milioni di vite e trilioni di dollari e aumentare esponenzialmente il rischio di una guerra nucleare, senza alcuna garanzia di successo. Ma anche se si riuscisse a cacciare Putin dall’Ucraina, cosa succederebbe? Rimarrebbe sempre un pazzo scatenato che vuole invadere i Paesi perché è malvagio e odia la libertà. La logica interna della vostra narrazione dice che gli attacchi alla Russia devono continuare finché non otterrete un cambio di regime. Non c’è un punto di arresto nella vostra linea di pensiero fino a quando non ci sarà un confronto diretto tra superpotenze nucleari.
Siate adulti e impegnate il vostro pensiero critico. Un pazzo che va in giro a invadere Paesi solo perché è malvagio e odia la libertà vi sembra un essere umano reale? O vi sembra inventato? Come qualcosa che si vede in un film di Hollywood? Come qualcosa che è stato inventato da persone responsabili del controllo delle narrazioni dominanti della nostra società e incanalato nella vostra mente attraverso i media?
I supercattivi della Marvel hanno una profondità e una complessità maggiori rispetto ai personaggi monodimensionali che la macchina imperiale inventa per rappresentare i suoi nemici ufficiali. Thanos era un personaggio più credibile, con motivazioni più comprensibili e sfumate rispetto alla rappresentazione sceneggiata di Putin fatta dalla macchina della propaganda. Questa rappresentazione è stata sovrapposta al funzionario governativo reale, con il quale si può non essere necessariamente d’accordo, ma che si può sicuramente comprendere e coinvolgere nella diplomazia e nella negoziazione.
Le persone che credono alle narrazioni dell’impero sui suoi nemici ufficiali hanno meno capacità di pensiero critico dello spettatore medio dei film Marvel. Pensate. Siate adulti e pensate. Qualcuno sta traendo vantaggio dalla narrazione aggressivamente propalata che la pace è impossibile e la guerra è l’unica soluzione. E quel qualcuno non siete voi.
Sto con l’Ucraina perché è come il Vietnam – Roberto Roscani
Non so a voi (evidentemente non a tutti), ma a me questa guerra ricorda quella del Vietnam. Sì, il Vietnam, solo che al posto di esserci gli americani ci sono i russi e gli ucraini sono i vietnamiti. Un piccolo popolo invaso, una grande potenza che muove il suo esercito, bombarda, lancia attacchi dal cielo. Con lo stesso grado di “disparità”, gli aggrediti possono opporre resistenza ma non possono attaccare l’aggressore, Putin lancia missili su Kiev e sulle città, Zelensky non può e non vuole lanciarli su Mosca. Anche il fatto che la resistenza vietnamita fosse alimentata da un flusso continuo di armi sovietiche e cinesi mi ricorda l’oggi.
Una semplificazione eccessiva. Certo Zelensky non assomiglia a Ho Chi Minh, i suoi generali non hanno l’allure di Giap (anche se sembrano cavarsela piuttosto bene). Il Vietnam del Sud era un figlio del colonialismo francese che voleva impedire una piena liberazione del paese e aveva imposto una divisione in due. L’intervento americano era radicalmente motivato dalle logiche della divisione del mondo e della guerra fredda. Non vedo grandi differenze con l’oggi: Putin scatena una guerra imperiale per ricostruire una sfera d’influenza russa terminata con la fine dell’Urss.
Ricordo di aver fatto decine di manifestazioni per la pace in quegli anni. Erano manifestazioni perché l’escalation dell’occupazione Usa si fermasse, perché gli americani si ritirassero. E anche quando si insisteva per aprire uno spazio negoziale i negoziati non servivano a mediare sugli spazi la lasciare al paese invasore. Non ho mai manifestato (e a farlo con me, che comunista lo ero, c’erano tanti che non erano iscritti al Pci) perché si fermasse l’offensiva del Tet o perché i vietnamiti non ricevessero più le armi per combattere.
Tavolo negoziale
La guerra finì sulla base degli accordi di Parigi, quindi finì ad un tavolo negoziale. Ma finì perché quegli accordi avevano stabilito che gli Usa avrebbero ritirato le truppe e che le questioni politiche del Vietnam sarebbero state risolte dai vietnamiti. Nel trattato si decideva persino che il contingente nordvietnamita che si trovava al Sud (teoricamente in uno stato riconosciuto all’Onu da un gran numero di Paesi, tra cui l’Italia) aveva diritto di rimanerci.
Scendere in piazza oggi per la pace che cosa significa? Se vuol dire manifestare perché i russi abbandonino l’Ucraina, si impegnino a non tornarvi in armi, che le questioni delle minoranze russofone all’interno dell’Ucraina non siano da affrontare per vie militari (tantomeno con l’annessione e coi finti referendum, e questo vale anche per la Crimea) e magari anche far sottoscrivere al governo di Kiev l’impegno ad aprire ad una maggiore autonomia e autogoverno delle diverse aree del paese, allora scendo in piazza di corsa (magari manifestando sotto l’ambasciata russa come mi è capitato di fare tante volte sotto quella americana e prendendo anche un bel po’ di manganellate).
Altre soluzioni di pura “buona volontà”, inviti a fermare i combattimenti lasciando le cose come sono adesso più che alla pace mi fanno pensare al trattato di Monaco. E vedrete che qualcuno verrà a dirci che in fondo, in fondo, anche Hitler aveva qualche buona ragione a volere le regioni tedescofone dei Sudeti…
L’Ucraina non è il Vietnam. Voglio gridare basta guerra a Putin e Zelensky – Oreste Pivetta
I confronti sono ardui e, talvolta, pericolosi, soprattutto quando si misurano storie e persone d’epoche assai lontane. Tanto per sorridere un poco in questi tempi così tragici, quante volte ci siamo chiesti se Merckx fosse più bravo di Coppi, per concludere: strade diverse, biciclette diverse, alimentazione diversa, medici diversi. Perdonatemi il riferimento. Oggi siamo di fronte a qualcosa di profondamente, terribilmente, orribilmente “diverso” rispetto all’immagine del nostro occidente, opulento, spensierato, tutto sommato pacifico. Le guerre ci sono parse sempre lontane. Così le abbiamo percepite anche quando si bombardava la dirimpettaia Jugoslavia. Questa guerra in Ucraina compare in modo assillante sui nostri schermi. Ci stiamo dentro, tra migliaia di morti, case sventrate, rovine ovunque, fame, presto il freddo atroce di quelle pianure. Ma la nostra sensibilità è scossa anche da un interesse personale, privato. Paghiamo un prezzo: i costi che aumentano, il gas che manca, il riscaldamento tagliato, la crescita zero, la paura, l’orizzonte cupo. Egoismi da popoli ricchi.
Quelle immagini che fanno piangere
Lo confesso: mi viene da piangere quando vedo vecchie e vecchi infagottati aggirarsi tra le macerie di una sconosciuta e grigia città o immobili all’aperto davanti ad un improvvisato fornello per scaldare una minestra. Alla povertà di sempre (nessuno ricorda che l’Ucraina, ben prima della guerra e tanti anni dopo il crollo dell’Unione sovietica, nella libertà di una democrazia balbettante, ambigua, era con la Moldavia il paese più povero d’Europa: chi l’ha governata, come è stata governata?) si è aggiunta quella indotta dall’aggressione russa. Ricordo un bel servizio diffuso da non so quale televisione: un villaggio di quattro case (o catapecchie) ancora risparmiato dalle bombe, immerso nella nebbia e nel fango, accanto ad un lago o ad un fiume, quattro contadini malmessi che andavano a pescare e che spiegavano che la pesca di quel giorno sarebbe stata il pranzo di quel giorno e così tutti i giorni perché altro non c’era.
Scenderò in piazza per la pace (l’ho già fatto, in verità, per volontà di un piccolo circolo milanese del Pd) e lo farei per quei pescatori, per quelle vecchie donne, per i bambini, che hanno bisogno della pace al più presto per vivere, e magari per vivere meglio, e non di vittorie, rivincite, vendette e di morti, di migliaia di morti…
Lo hanno scritto: l’Ucraina non potrà sperare di tornare ai confini del 2014, riprendendo il Donbass e la Crimea, la Russia non può credere di annettere l’intero est dell’Ucraina fino al Dnepr e poi tenerlo, per l’ostilità di una parte consistente della popolazione, per la guerriglia degli ucraini, per l’opposizione dell’intero occidente.
“Con questa guerra – come ha scritto Avvenire – tutti perdono, uno solo vince: vince il partito della guerra”. Partito che mi pare qualche segno di perplessità stia mostrando, se è vero che gli Stati Uniti, che hanno speso sinora 66 miliardi di dollari in aiuti militari e sostegno finanziario, qualche avvertimento a Zelensky hanno inviato: a proposito dell’assassinio della figlia di Aleksandr Dugin e dell’attentato al ponte di Crimea.
Per dar corpo ad un confronto, magari tra Vietnam e Ucraina, come ha provato il nostro Roberto Roscani (leggi qui il suo articolo), si dovrebbero ripercorrere troppe storie, che rivelerebbero troppe diversità, un contesto che nel giro di mezzo secolo è profondamente mutato…
Allora si scendeva in corteo gridando “yankee go home”. Adesso grideremmo “Putin go home”? Certo, ma la storia ha un peso e la storia dell’Ucraina ha un peso, un altro peso aveva quella del Vietnam. Dell’Ucraina abbiamo conosciuto le badanti, del resto abbiamo ignorato quasi tutto e l’informazione in tempo di guerra (mi riferisco al nostro sistema dei media), non aiuta. Ma è importante adesso ricordare il nazismo, lo sterminio degli ebrei, Stalin, l’eroe nazionale Stephan Bandera, i colpi di mano alla conquista del potere, gli accordi di Minsk, la natura della Crimea? Credo proprio di no. Vorrei solo ricordare il fotogiornalista italiano Andy Rocchelli, massacrato, insieme con il suo interprete dai proiettili del battaglione Azov, nel Donbass, il 24 maggio 2014. Aveva trent’anni.
Il rischio nucleare spazza via tutte le memorie
Non mi importa dimostrare che avevamo ragione allora per dedurre che avremmo ragione pure oggi. O che avremmo ragione oggi, mentre non l’avevamo allora. E viceversa naturalmente. Il conflitto e soprattutto il conflitto nucleare spazza via tutte le memorie. Soprattutto è “qui ed ora” che dobbiamo decidere.
Scenderei in piazza per gridare “basta”. Lo griderei contro Putin e contro i suoi generali. Lo griderei anche contro Zelensky, che ha messo per legge che mai l’Ucraina avrebbe trattato con Putin e con la Russia, finché Putin fosse rimasto alla sua testa. Ma non si dovrebbe trattare anche con il diavolo per fermare una strage? Non si dovrebbe trattare anche con il criminale Putin?
Griderei “basta” per ridare spazio alla “politica”, un fantasma di questi tempi, in Russia, in Ucraina, nel nostro Occidente, nella nostra Europa unita. Non chiedo troppo: una tregua, un armistizio, per rispetto di chi soffre, quei vecchi, quei bambini, quella gente ignara che sappiamo compiangere, ma che i “grandi” dell’occidente rinunciano a difendere, perché non “interessano”. Poi si vedrà di che cosa trattare e Zelensky avrà dalla sua la stanchezza della Russia e una forza, quella dell’Europa e degli Usa ma probabilmente anche di altri paesi, che ora sembrano alla finestra, e soprattutto quella dei suoi concittadini, una forza che le armi non gli possono dare.
Fermate la guerra: negoziato e Conferenza di Pace subito. Dal 21 al 23 ottobre Europe for Peace in piazza
Fermate la guerra: negoziato subito. L’ONU convochi una Conferenza Internazionale di Pace
Ritorna la mobilitazione diffusa di Europe For Peace: dal 21 al 23 ottobre di nuovo nelle piazze di tutta Italia
La coalizione Europe for Peace, formata dalle principali reti per la pace in Italia con l’adesione di centinaia di organizzazioni, profondamente preoccupata per l’escalation militare che ha portato il conflitto armato alla soglia critica della guerra atomica, torna di nuovo nelle piazze italiane per chiedere percorsi concreti di Pace in Ucraina e in tutti gli altri conflitti armati del mondo.
Un nuovo passo comune che avviene dopo l’importante mobilitazione dello scorso 23 luglio (con 60 città coinvolte) e l’invio di una lettera al Segretario Generale ONU Guterres in occasione della Giornata della Pace per un sostegno ad azioni multilaterali, le uniche capaci di “portare una vera democrazia globale, a partire dalla volontà di pace della maggioranza delle comunità e dei popoli”. E dopo la quarta Carovana “Stop The War Now” recentemente rientrata dal Kiev dove ha portato il sostegno della società civile italiana ad associazioni ed obiettori di coscienza ucraini, oltre che nuovi aiuti umanitari.
L’appuntamento è per il weekend dal 21 al 23 ottobre (ad otto mesi dall’invasione russa e alla vigilia della Settimana ONU per il Disarmo) ancora una volta con l’invito – rivolto ad associazioni, sindacati, gruppi che già sono attivi da mesi – ad organizzare iniziative di varia natura per rilanciare l’appello già diffuso a luglio con la richiesta di cessate il fuoco immediato affinché si giunga ad una Conferenza internazionale di Pace.
Nel testo sottoscritto dalle aderenti di Europe for Peace si sottolinea come “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto decine di migliaia di vittime e si avvia a diventare un conflitto di lunga durata” portando conseguenze nefaste “anche per l’accesso al cibo e all’energia di centinaia di milioni di persone, per il clima del pianeta, per l’economia europea e globale”. Ribadendo la vicinanza alle popolazioni colpite dalla guerra si ricorda poi come occorra cercare “una soluzione negoziale, ma non si vedono sinora iniziative politiche né da parte degli Stati, né da parte delle istituzioni internazionali e multilaterali” sottolineando come invece sia necessario “che il nostro Paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato avviando un percorso per una Conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro”. Anche alla luce delle rinnovate ed inaccettabili minacce nucleari.
Rilanciata anche la posizione di base del movimento pacifista italiano fin dall’inizio del conflitto ucraino: “Le armi non portano la pace, ma solo nuove sofferenze per la popolazione. Non c’è nessuna guerra da vincere: noi invece vogliamo vincere la pace” e per tale motivo viene proposta una nuova occasione nazionale di mobilitazione per la pace, con uno chiaro obiettivo: “TACCIANO LE ARMI, NEGOZIATO SUBITO! Verso una Conferenza internazionale di pace”.
Che la guerra non sia la soluzione ma sia una delle principali cause delle crisi da cui il nostro sistema e la nostra società non riescono più a liberarsi è sempre più evidente. La guerra scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime e di ogni unità di prodotto, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo. Dire basta alle guerre ed alla folle corsa al riarmo e nell’interesse di tutti e di tutte. E’ l’unica strada che ci può far uscire dalla crisi del sistema.
Le iniziative che verranno definite e programmate nei prossimo saranno comunicate e rilanciate da tutte le organizzazioni parte di “Europe for Peace”
il sito di Europe for Peace: https://sbilanciamoci.info/europe-for-peace/
È il momento di scegliere la pace – Giulio Marcon
Di fronte al rischio nucleare non è il momento delle tifoserie. È il momento della pace, della responsabilità, della nonviolenza. Come diceva Aldo Capitini: «A ciascuno di fare qualcosa». Dal 21 al 23 ottobre con la rete Europe for Peace organizziamo manifestazioni e iniziative in oltre 100 città italiane.
Dal 21 al 23 ottobre la rete Europe for Peace (di cui fanno parte Sbilanciamoci, Rete Disarmo, Anpi, Cgil, Emergency e oltre 400 organizzazioni della società civile) promuoverà iniziative in oltre 100 città italiane per chiedere l’immediato cessate il fuoco in Ucraina e l’avvio di negoziati verso una conferenza internazionale di pace.
La guerra si sta aggravando e il rischio nucleare incombe: ecco perché, dalla spinta delle prossime iniziative del 21-23 ottobre la possibilità di una mobilitazione e di un appuntamento nazionale – unitario ed inclusivo – si pone con grande forza e urgenza.
I pericoli che ci stanno di fronte sono incommensurabili: le parole pronunciate prima da diversi leader della Federazione russa sulla possibilità dell’uso dell’arma nucleare e le reazioni del Parlamento europeo (che invita l’Europa a rispondere in caso di attacco nucleare) e ancora di Biden il 6 ottobre scorso sulla possibilità di un’apocalisse nucleare, gettano grande allarme e apprensione. Alla guerra di parole può seguire una deflagrazione devastante. E le atomiche cosiddette «tattiche» di tattico non hanno nulla: la più piccola in circolazione devasterebbe l’intero centro storico di Milano.
Il deleterio rifiuto di Zelensky -stabilito per legge – a qualsiasi negoziato con la Federazione russa è un altro elemento che aggrava la situazione: scegliere la guerra come unica strada possibile, con il nucleare dietro le porte, è un segno di avventurismo e di irresponsabilità inaccettabili. La continuazione della guerra è un alibi per la criminale aggressione di Putin e a pagarne il prezzo sono le popolazioni ucraine, i ragazzi che muoiono in guerra, i pacifisti e i disertori russi che vengono messi in carcere.
Quello che è grave è che una parte della comunità internazionale (gli Stati Uniti, l’Unione europea) avvalla queste scelte di guerra. Invece di premere per il cessate il fuoco e riaprire i negoziati (e puntare da subito ad una conferenza internazionale di pace, come ha scritto ieri sul manifesto Gaetano Azzariti), continua a soffiare sul fuoco, a inviare le armi, a sostenere le scelte di chi rifiuta ogni possibilità di dialogo. Ora, il Segretario di Stato americano Blinken auspica una via diplomatica – contraddicendo apertamente Zelensky – e lo stesso presidente americano Joe Biden parla di “off ramp”, una via d’uscita a Putin per non fargli perdere la faccia. Staremo a vedere se si tratta di ipocrite parole al vento com’è spesso accaduto o se invece seguiranno atti concreti.
Questa guerra, oltre a prefigurare il rischio nucleare, alimenta un aggravamento economico, sociale e umanitario in ogni parte del mondo: non solo per l’emergenza energetica che colpisce anche noi, ma soprattutto per la difficoltà di rifornimento del grano per i paesi più poveri, che da questi approvvigionamenti dipendono per sfamare le popolazioni. È una guerra combattuta non solo sulla pelle della popolazione ucraina, ma su quella di tutto il mondo, ed in particolare quella più povera.
C’è una parte della comunità internazionale (maggioritaria sia per popolazione che per numero di paesi, ma non dal punto di vista geopolitico: India, Cina, Paesi africani, ecc.) che è contraria a questa escalation e che vorrebbe subito lo stop e i negoziati.
Ecco perché ritornare in piazza, sulle strade è importante. Ecco perché saremo l’8 ottobre con la Cgil a Roma e lo saremo poi dal 21 al 23 ottobre in tutta Italia. È necessario far sentire di nuovo, con forza la voce della pace in ogni angolo del paese, organizzando manifestazioni, sit-in, presidi davanti alle prefetture, incontri, chiedendo al nostro governo attuale (e a quello futuro) di intraprendere una nuova strada.
Invece di essere subalterno ad una logica di guerra, il governo deve sposare un’altra via, quella della mediazione e del dialogo, deve fare concrete proposte di negoziato, coinvolgere le Nazioni unite. Non possiamo più stare a guardare delegando alla Nato la responsabilità di condurci verso scelte sbagliate che invece di fermare Putin, lo portano a legittimare una escalation incontrollabile.
In questi anni, dopo la guerra civile ucraìna iniziata nel 2014, si poteva prevenire l’aggressione della Federazione russa del 2022, ma nulla è stato fatto: anzi si è perso tempo volutamente, alimentando inutili provocazioni. Si poteva quest’anno, prevenendo l’aggravamento dei mesi a venire, facendo sentire la propria voce nei primi mesi di questa guerra, quando sono partiti i negoziati tra ucraini e russi, ma anche in questo caso la comunità internazionale è stata divisa, latitante e complice della continuazione dei combattimenti. Si potrebbe oggi prevenire l’escalation nucleare, ma continua a prevalere un atteggiamento che mette in campo una sola opzione: il sostegno alla guerra, accompagnata dalla propaganda.
Ma ora, di fronte al rischio nucleare non è il momento della propaganda e delle tifoserie. È il momento della pace e della responsabilità, è il momento dell’azione nel nome della nonviolenza. Come diceva Aldo Capitini: «A ciascuno di fare qualcosa».
* Per ogni contatto e per partecipare (qui le info)
Sessanta anni fa scoppiò la crisi dei missili a Cuba, e si sfiorò la guerra nucleare! – Angelo Baracca
Il 14 ottobre del 1962 un aereo spia U-2 statunitense (vecchi tempi, altro che satelliti!) che sorvolava Cuba rivela che l’Unione Sovietica stava costruendo rampe per l’istallazione di missili con testata nucleare. Il presidente Kennedy ordina immediatamente il blocco navale a Cuba. Ha inizio la più grave crisi dall’inizio della Guerra Fredda: per tredici lunghi giorni Urss e Usa si fronteggiano, arrivando a un passo dalla guerra. Il mondo intero sta con il fiato sospeso. E in effetti non viene solo sfiorata la Terza Guerra Mondiale, ma l’Armageddon nucleare! E a sventarlo fu il sangue freddo di un capitano sovietico, Vassili Arkhipov (e “forse” anche, in modo del tutto indipendente, di un suo omologo statunitense, William Bassett, ma abbiamo una sola testimonianza postuma).
Questa vicenda l’ho già raccontata in modo molto dettagliato quattro anni fa (https://www.pressenza.com/it/2018/10/il-27-ottobre-1962-vassili-arkhipov-salvo-il-mondo-dallolocausto-nucleare-21-anni-prima-di-stanislav-petrov/), ma oggi forse è opportuno sintetizzare gli aspetti principali. Infatti dopo lo scoppio della guerra in Ucraina da molte parti è stato fatto un accostamento con quella crisi di 60 anni fa: e in effetti non pochi sono i punti comuni, ma molti i punti di differenza, per cui mi sembra opportuno tornare brevemente su quella vicenda. Userò il tempo presente per accentuare l’attualità odierna di quelle vicende.
A quel tempo, 15 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (e delle bombe su Hiroshima e Nagasaki), non vi è nessun accordo internazionale per il controllo degli armamenti, tanto meno sugli arsenali nucleari che stanno diventando il fulcro del confronto militare fra i due blocchi. Verso il 1960 gli USA hanno circa 30.000 testate nucleari, l’URSS circa 5.000, sufficienti per la devastazione totale: i missili intercontinentali sono all’inizio, e l’URSS ne ha solo una ventina in grado di raggiungere il territorio statunitense. La Gran Bretagna ha realizzato la bomba nel 1952; la Francia nel 1960 (ma in collaborazione con Israele, che quindi si presume che pure l’abbia); la Cina vi arriverà solo nel 1964. Fra l’altro, il Doomsday Clock istituito nel 1947, aveva toccato i 2 minuti dalla Mezzanotte (la metafora della fine del mondo) nel 1953 con la Guerra di Corea (quando effettivamente McArthur avrebbe voluto sganciare sul Nord bombe nucleari), ma nel 1960 era stato riportato a 7 minuti, e nel 1963 a 12 minuti, quindi non registra la minaccia nel 1962, che in effetti si seppe soli molti anni dopo: ecco una prima differenza rispetto alla situazione attuale.
Sempre a quel tempo, nel 1959 gli Stati Uniti hanno in gran segreto schierato missili con testata nucleare capaci di colpire l’Unione Sovietica in Italia, a Gioia del Colle, e in Turchia. Ovviamente Mosca lo sospetta, si può affermare che lo sa, ma appunto non ci sono ancora i satelliti spia, e solo gli Stati Uniti hanno gli aerei spia U-2 che sorvolano ad alta quota i paesi avversari. Si può pertanto sostenere (non certo giustificare) che la decisione di Kruscěv nel 1962 di schierare, segretamente, missili nucleari a Cuba sia un atto di difesa, ancorché estremamente rischioso: e qui c’è a mio avviso un’analogia col presente, l’allagamento della NATO (che è un’alleanza nucleare) verso Est, fino ai confini della Russia, che Mosca ha percepito come una minaccia. Comunque ci si potrebbe chiedere come si sarebbe sviluppata la situazione della Guerra Fredda qualora l’esistenza dei missili sovietici a Cuba fosse stata scoperta solo a cosa fatta, e la minaccia nucleare fosse stata bilanciata, fra i missili degli USA in Italia e Turchia, e quelli dell’URSS a Cuba: anche se è una domanda retorica, la storia non si fa con i “se”. “Forse” sarebbe avvenuta molto prima la spinta, obbligata, ad accordi di disarmo nucleare.
C’è anche un altro aspetto da considerare per valutare il comportamento di Washington in quel 1962. Per tutta la durata della crisi, dal 14 al 28 ottobre, lo Stato maggiore USA insiste per un’azione militare per eliminare le rampe missilistiche prima che queste diventino operative: non sanno che a Cuba si trovano già 140 testate nucleari sovietiche!
Un’altra cosa che i comandi statunitensi ignorano è che intanto Kruscěv ha inviato verso Cuba vari sommergibili di scorta ai mercantili diretti verso l’isola, ciascuno dei quali è dotato di una torpedine con una testata nucleare di 10 kt (poco meno di quella su Hiroshima). La squadra di 4 sommergibili a propulsione diesel è al comando del capitano Vassili Arkhipov, che personalmente si trova sull’ammiraglia B-59 ma non ne è il comandante. Su ogni sommergibile l’eventuale decisione di lanciare la torpedine nucleare richiede il consenso del comandante e dell’ufficiale politico: ma sul B-59 è necessario anche il consenso del comandante dell’intera squadra, appunto Arkhipov. E qui si innesca la vicenda drammatica che si è saputa solo molti anni più tardi…
“Vladimir Putin utilizzerà le armi nucleari?”. Le domande e risposte della Campagna Ican
Di fronte alla terribile minaccia di escalation atomica, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (International campaign to abolish nuclear weapons, Ican) ha pubblicato il 6 ottobre una serie di domande e risposte sulla “strategia” di Vladimir Putin e sugli impatti di un possibile utilizzo di testate “tattiche”. Le riportiamo integralmente.
Vladimir Putin utilizzerà armi nucleari?
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina a febbraio, il presidente della Federazione Russa ha ripetutamente violato il diritto internazionale. Nessuno vuole credere che le armi nucleari verranno utilizzate ma finché queste esistono ci sarà anche la possibilità del loro utilizzo. È su questo che si basa la “deterrenza nucleare”: ovvero sulla minaccia credibile di poter uccidere in massa milioni di persone, civili. La realtà, spaventosa ma vera, è che non possiamo sapere con certezza se Putin, o qualsiasi leader di uno Stato dotato di armi nucleari, sceglierà di impiegarle in un qualsiasi momento. Quello che sappiamo è che le armi nucleari comportano conseguenze umanitarie inaccettabili e che non esiste una strategia di risposta per aiutare i sopravvissuti nel periodo successivo.
Quali armi nucleari potrebbero essere utilizzate nella guerra in Ucraina?
La Russia possiede poco meno di 6mila armi nucleari, il più grande arsenale del mondo, e può lanciarle da basi missilistiche terrestri, da sottomarini o da aerei. Le testate nucleari russe hanno un’ampia gamma di potenziale distruttivo: da armi equivalenti a centinaia di chilotoni alle cosiddette armi nucleari “tattiche” che vanno da 10 a 100 chilotoni. Anche l’uso di una sola di queste armi “più piccole” avrebbe conseguenze umanitarie devastanti. La bomba che ha distrutto Hiroshima e ucciso circa 140mila persone aveva infatti le dimensioni di una delle armi più piccole dell’arsenale russo, con una potenza di 15 chilotoni.
Che cos’è un’arma nucleare tattica?
Tecnicamente un’arma nucleare tattica è un’arma che non è stata classificata come “strategica” secondo gli accordi di controllo degli armamenti tra Stati Uniti e Russia (Salt, Sort, Start). Le armi tattiche dispiegate in Europa possono avere un potenziale esplosivo fino a 300 chilotoni, ovvero 20 volte la bomba che ha distrutto Hiroshima. A volte queste armi vengono anche definite “sub-strategiche” o “non strategiche”. Più frequentemente per armi nucleari “tattiche” si intendono le armi che furono progettate per essere utilizzate sui campi di battaglia europei in caso di escalation del conflitto tra la Nato e il Patto di Varsavia. Alla fine della Guerra fredda c’erano circa 7.500 armi di questo tipo dispiegate in tutto il continente ma le riduzioni unilaterali reciproche avvenute all’inizio degli anni Novanta hanno ridotto notevolmente il loro numero. La Federazione degli scienziati americani stima in 1.912 le testate nucleari non strategiche russe e in circa 100 quelle statunitensi dislocate in cinque Paesi europei.
Che cosa accadrebbe subito dopo la detonazione di un’arma nucleare?
Un’arma nucleare è un’arma nucleare, indipendentemente dalle dimensioni, dalla resa o dalla portata. Il suo utilizzo, ovunque e in qualsiasi momento, avrebbe gravi conseguenze umanitarie. Dopo la detonazione di una “piccola” arma nucleare a Hiroshima morirono circa 140mila persone e, a distanza di generazioni, le persone soffrono ancora di malattie causate dalle radiazioni.
Il fungo atomico impiega circa dieci secondi per raggiungere le sue massime dimensioni. Un’esplosione nucleare rilascia grandi quantità di energia, calore e radiazioni. Un’enorme onda d’urto raggiunge velocità di molte centinaia di chilometri all’ora. L’esplosione uccide le persone vicine all’epicentro e provoca lesioni polmonari, danni acustici ed emorragie interne a distanze superiori. Le persone rimangono ferite dal crollo degli edifici e dai detriti. Le radiazioni termiche sono così intense che quasi tutto ciò che si trova vicino all’epicentro viene vaporizzato. L’estremo calore provoca gravi ustioni e incendi su un’ampia area, che si uniscono in una gigantesca tempesta di fuoco. Anche le persone nei rifugi sotterranei rischiano di morire per mancanza di ossigeno e avvelenamento da monossido di carbonio. Solo dopo tutto il mondo correrà a soccorrere le vittime. Ma bisognerà aspettare. Come è stato dimostrato in numerosi rapporti e dal Comitato internazionale della Croce Rossa, i servizi di emergenza non saranno in grado di avvicinarsi abbastanza per salvare alcuni dei sopravvissuti all’esplosione iniziale.
I servizi sanitari, già sottoposti a forti tensioni belliche, non saranno in grado di operare. Medici e infermieri cercheranno di fare il possibile, ma non saranno in grado di fornire i soccorsi necessari all’enorme numero di vittime e feriti presenti. Non sarà possibile fornire cure specialistiche, comprese quelle per l’esposizione alle radiazioni o per le ustioni. Nessun sistema sanitario al mondo è in grado di rispondere adeguatamente a un attacco nucleare e certamente non in un Paese in guerra.
Quali altre conseguenze, oltre a quelle umanitarie, potrebbero verificarsi?
Ci sono pochi precedenti per prevedere che cosa potrebbe accadere all’indomani dell’uso di armi nucleari. Gli insegnamenti tratti dagli attacchi dell’11 settembre hanno mostrato uno shock di breve durata e alcune chiusure di mercato di più giorni, con perdite per 1.400 miliardi di dollari. Tuttavia, l’impatto a più livelli, compresi quelli sulle forniture di fertilizzanti, carburanti e cereali, già in difficoltà, potrebbero portare a conseguenze economiche più ampie in tutti i mercati.
Come possiamo prevenire l’uso delle armi nucleari?
La comunità internazionale deve condannare in modo coerente e categorico qualsiasi minaccia di usare armi nucleari, come hanno fatto gli Stati firmatari del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari nella Dichiarazione di Vienna. Una condanna coerente e inequivocabile può stigmatizzare e delegittimare la minaccia nucleare, contribuire a ripristinare e rafforzare la norma contro l’uso di queste armi e potenziare gli sforzi di disarmo e non proliferazione. La condanna delle minacce non è solo vuota retorica: la delegittimazione, infatti, funziona. È stato dimostrato che influenza il comportamento degli Stati dotati di armi nucleari. Le critiche internazionali alle più recenti minacce della Russia hanno già spinto il governo di Mosca a chiarire la sua posizione e a sottolineare che non ha cambiato la propria dottrina nucleare.
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari è l’unico trattato internazionale che vieta l’uso e la minaccia di utilizzo di armi atomiche. Rende queste armi illegali. Ogni Paese dovrebbe aderire a questo strumento per delegittimare le armi nucleari.
Traduzione a cura di Andrea Siccardo
Capitan Europa – Roberto Musacchio
Manca solo che a Media, il marchio del cinema europeo, venga chiesto di fare una serie su un Capitan Europa, con tanto di scudo anti Putin, o di Euro Rambo che va a cavallo con i resistenti ucraini, e i trash miti made in EU sarebbero al completo.
Si può scherzare su qualcosa di drammatico?
Di certo gli speech di Ursula von der Leyen o le risoluzioni del PE che sembrano bollettini della NATO e nulla hanno a che fare col ruolo di un Parlamento che dovrebbe cercare soluzioni politiche e non farsi megafono di una guerra che per altro non ha dichiarato, possono muovere rabbia, tristezza o quella risata che si spera li seppellirà.
Dice: “ma allora stai con Putin…”. Refrain ormai stantio. Che continua a non cogliere che siamo di fronte ad una delle più classiche guerre inter-imperialistiche. Con in più l’impero finanziario globale che nessuno mette in discussione.
E poi, come dicono anche i Nobel per la pace assegnati, ognuno combatte i propri regimi e tutti insieme combattiamo per la pace dei dominati contro la guerra dei dominanti.
Sarà difficilissimo, forse addirittura più che dopo la seconda guerra mondiale, ricostruire dalle macerie che si stanno provocando. Allora naturalmente i morti furono milioni, compresi 20 milioni di russi. Le città distrutte, comprese Hiroshima e Nagasaki. Il nazifascismo fu il vero orrore assoluto, quello della pianificazione dello sterminio. Da quell’orrore chi sopravvisse disse “mai più”. E provò a far rivolare gli aquiloni, per stare al bel libro di Roman Gary, l’autore anche di Educazione europea, quella che si traeva dall’essere partigiani polacchi in attesa dell’aiuto dei russi.
Io non so se Ursula von der Leyen e il PE abbiano idea di quale scempio stiano compiendo della coscienza europea che ci consegna quella Storia. Che dichiarare Putin l’ennesimo Hitler dopo i vari Saddam significa solo derubricare ciò che fu il nazismo. Renderlo una “normalità” ricorrente.
Putin è uno dei dominanti degli imperi di mezzo che usano la forza. L’impero più grande, quello USA, ha scatenato in Iraq una guerra da milioni di morti. Col suo complice, la GB di Blair. Che fu processato, trovato colpevole ma assolto. La Jugoslavia fu fatta a pezzi a colpi di referendum auto gestiti e “riconosciuti” con le armi della NATO. Ancora oggi in Kosovo c’è una situazione che ricorda il Donbass, con il governo kosovaro a non rispettare quelle che sono diventate minoranze in uno Stato autoproclamato.
Sono questi precedenti che Putin cita per giustificare le sue colpe imperialistiche. Ma non è che avere la forza significa avere la ragione, come ci ricordano sempre le ultime parole di Allende. E la lingua biforcuta dei visi pallidi i nativi americani la conoscono bene.
Sono trent’anni che l’Europa partecipa alla distruzione dei valori europei. O meglio i dominanti che la gestiscono. Non a caso Ursula von der Leyen parlando dello stato dell’Unione magnifica la regina Elisabetta. E non dice una parola su Gorbaciov, l’uomo della casa comune europea, tradito da europei e americani e appena scomparso.
Una Europa imbelle, si dice, anche lei vittima degli USA che la vogliono distaccare dalla Russia. Imbelle lo è ma non per questo meno colpevole e ipocrita. Sulla scia dell’89 come vittoria del capitalismo ha fatto penetrare la NATO ovunque cercando di trarre vantaggi geopolitici a valle di ciò. La Germania che si prende gli ex Paesi dell’Est e sta tra proclami occidentali e partecipazioni a Gazprom e export in Cina. La Francia dell’euromed neocoloniale. E intanto gli ex Est passati in area tedesca che si autonomizzano; quelli coperti dalla NATO iniziano a rovesciare la Storia da antinazista ad antirussa. E la maggioranza di Ursula li fa entrare. Neanche anticomunista. Proprio anti-russa. Come anti-cinese è il focus di NATO 2030.
È questa UE qui che pensa di vendere armi collettivamente mentre i suoi cittadini pagano le bollette uno per uno.
Si poteva fare altro? Più politica, più autonomia? Dopo la morte fisica e politica di Berlinguer, Brandt e Palme, cioè le vere sinistre, il passaggio chiave fu l’unificazione tedesca. Era lì il punto che doveva dare dell’89 una chiave non di vittoria del capitalismo ma di una nuova opportunità per la democrazia e il governo mondiale che serviva. Lo capì e propose Gorbaciov. L’Occidente gli preferì Eltsin da cui discende Putin. Kohl tenne un punto di equilibrio, uno spazio. Merkel mantenne l’apertura ma galleggiò. E infatti ora riprende parola mentre si rischia di affogare nella guerra nucleare per ripartire dal tema della sicurezza comune, anche russa.
Troppo tardi? Speriamo di no.
Non abbiamo bisogno di Capitan Europa e Euro Rambo ma di quel neorealismo che insegnò al mondo cosa significava per i popoli la guerra e come la Pace ripartisse dalle vite delle persone.
Il mese prima del Generale Inverno: la chiave del conflitto ora è il tempo – Fabio Mini
La fretta del clima. Gli ucraini devono avanzare il più possibile, i russi rallentarli al meglio. Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco
Dei quattro fondamentali della guerra (spazio, tempo, forze e volontà), i prevalenti in questa fase sono il tempo e la volontà, identificata con il morale, la motivazione. Le forze sono scarse ed esauste su entrambi i fronti ma quelle poche di Kiev ad est del Dniepr si muovono in fretta mentre quelle russe attestate in difesa possono contrastarle attivamente solo con il fuoco.
Le forze di Kiev possono operare in velocità (rapporto spazio/tempo) perché sono poche e lo spazio è praticamente vuoto. I territori sottratti ai russi con le incursioni sulla prima linea o lasciati dai russi sono spazi pieni di detriti, distruzioni, cadaveri e terribilmente vuoti della cosa più importante: la popolazione, sulla quale si basa il sostentamento materiale e morale di una forza militare lontana dalle fonti di alimentazione.
Di qui l’importanza del tempo nelle sue due accezioni (dimensione e meteorologico). Gli ucraini devono fare in fretta a sfruttare i successi anche sul nulla perché fra un mese potrebbero non essere più in grado di farlo. Non solo il tempo meteorologico non consentirà di muoversi e porrà grossi problemi di rifornimento, ma lo stesso aiuto americano ed europeo potrebbe essere inutilizzabile.
I russi devono invece guadagnare tempo anche cedendo spazio, ma soprattutto mantenendo le posizioni e le vie di rifornimento che consentiranno di mantenere le posizioni.
Devono scegliere dove impostare la difesa che consenta di riprendere l’attacco non appena le condizioni del tempo lo consentiranno: più aspettano più rischiano di realizzare in ritardo la difesa così come hanno realizzato in ritardo i ripiegamenti dai territori che non avevano mai veramente conquistato e occupato.
Il tempo è un tiranno che non si lascia piegare; né i russi né gli ucraini hanno i mezzi per poterlo controllare con le armi, così come noi europei e gli Usa non possiamo controllarlo con le fantasie, le narrazioni e i trucchi dilatori.
Il tempo, in questo caso, è anche il padrone della volontà. Gli ucraini devono sfruttare i successi anche per motivare la popolazione che fra un mese sentirà sempre più forte gli effetti di una guerra che hanno voluto perché illusi di non dover soffrire.
La politica di Kiev verso la popolazione sarà sempre più dura e sempre meno giustificata. Quella verso l’esterno sarà sempre più legata all’azzardo e all’arroganza, ma le prime crepe di credibilità stanno aprendo gli occhi non solo all’intelligence americana che adesso si sveglia con la virginea rimostranza sul fatto che Kiev abbia “mentito” sulla responsabilità nell’uccisione della Dugina, ma all’intera popolazione europea e non solo per quella menzogna.
Contrariamente alle loro leadership molti europei hanno capito il gioco di Kiev e il vero obiettivo: mettere in ginocchio l’Europa e costringere gli americani alla guerra mondiale.
Per la Russia il tempo è ancora più tiranno: se non presenta un successo o la prospettiva credibile di successo sul campo entro un mese può saltare tutta la leadership che ha voluto questa operazione. La volontà di combattere per l’Ucraina o per il Donbass non è mai stata alta: ora è ai minimi termini ma nel frattempo è sempre più alta la voglia di vendetta contro l’Ucraina e di sfida all’Occidente.
Un cambio di regime non risolverà il problema internazionale ma potrà definire un eventuale nuovo equilibrio di potere interno. E anche questo sarà insufficiente a determinare chi e come vince o perde in Ucraina e in Russia.
Le vie onorevoli di uscita per la Russia e l’Ucraina sono molte, basta saperle vedere e rimuovere i “tumori cerebrali” che impediscono a tutta la comunità internazionale di rendersi conto che non esistono solo l’arroganza e la violenza. Che il “con noi o contro di noi” non è un’alternativa ma un ricatto, che la TINA (there is no alternative) è una menzogna e una stupidità che di fatto squalifica con la politica, la diplomazia, la strategia e tutte le presunte organizzazioni della sicurezza internazionale.
Per quanto riguarda l’Europa e noi italiani l’indeterminatezza è già risolta: abbiamo perso comunque in benessere e serenità. Speriamo di non dover perdere anche le vite di figli e nipoti.
Ignazio La Russa, la sua fedeltà alle guerre NATO ha pagato – Marinella Correggia
Ignazio Benito Maria La Russa. Fra i suoi precedenti, è stato ministro della difesa nel governo Berlusconi IV dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011.
In tempo per agire come ministro della guerra durante i sette, lunghi mesi della guerra Nato e italiana contro la Libia, iniziata il 19 marzo 2011, fino all’epilogo, il 20 ottobre, con il linciaggio e assassinio di Muammar Gheddafi, uno dei tanti crimini internazionali perpetrati all’epoca dalla Nato e dai suoi alleati a terra, i cosiddetti ribelli libici
Se all’inizio, il governo di centrodestra era incerto e contrario a un coinvolgimento, che veniva spinto dal presidente Napolitano, poi toccò a Ignazio convincere Berlusconi: “Mi chiese in disparte cosa sarebbe accaduto se non ci fossimo adeguati. Gli risposi che purtroppo ormai il nostro eventuale forfait sarebbe stato ininfluente sull’esito della missione. Gheddafi era spacciato. Rischiavamo solo di lasciare campo libero alla Francia di Sarkozy in Libia”.
In seguito, La Russa si comportò da fedele soldato della Nato (sulla pelle degli altri).
Con il Parlamento tutto compattamente d’accordo, salvo il malessere della Lega che comunque non lasciò il governo. Come del resto non fece mai nessun altro partito o uomo politico in Italia, nelle numerose guerre di aggressione delle quali il tricolore si è macchiato a partire dall’Iraq nel 1991.
L’indagine sul Nord Stream e il nuovo Piano Morgenthau per abbattere la Germania – Pepe Escobar
…La NATO indaga sulla NATO
In un mondo razionale, Berlino avrebbe eliminato l’ammasso di sanzioni russe e ordinato immediatamente l’avvio dell’eternamente rinviato NS2, garantito per attenuare almeno il processo di de-energizzazione, de-industrializzazione e profonda crisi socio-economica in corso, imposto dai soliti sospetti alla Germania.
Ma l’Occidente collettivo rimane schiavo di psicopatici geopolitici guidati dall’irrazionalità. Quindi è improbabile che ciò accada.
Tanto per cominciare, l'”indagine” su come è avvenuto il Terrore dei Gasdotti sembra una riscrittura di Kafka da parte della NATO.
Gli operatori di NS e NS2 – Nord Stream AG e Nord Stream 2 AG con sede in Svizzera – non possono raggiungere la scena del crimine a causa delle assurde restrizioni imposte da danesi e svedesi. Gli operatori hanno bisogno di non meno di 20 giorni lavorativi per ottenere i “permessi” per effettuare le proprie ispezioni.
La polizia di Copenaghen si sta occupando della scena del crimine vicino alla zona economica esclusiva (ZEE) danese, parallelamente alla Guardia Costiera svedese intorno alla ZEE svedese.
Se questa sembra una di quelle serie noir scandinave che spopolano su Netflix, è perché è così. Con una svolta cruciale: è la NATO che indaga su se stessa – la Svezia sta per entrare nella NATO – e i russi non sono ammessi. Tutte le principali ipotesi di lavoro sul Terrore dei Gasdotti puntano a un’operazione sporca all’interno della NATO contro la Germania, membro della NATO.
Pertanto, qualsiasi prova inquietante che indichi attori della NATO potrebbe opportunamente “scomparire” o essere manomessa durante i lunghi 20 giorni necessari per il rilascio dei “permessi”.
Nel frattempo, le conseguenze della guerra energetica imposta dagli Stati Uniti all’Europa contro la Russia continueranno ad accumularsi e costeranno all’UE fino a ben 1.600 miliardi di euro, secondo un rapporto di Yakov & Partners, l’ex divisione di McKinsey in Russia.
Considerando un’UE priva di NS2 e un aumento continuo dei prezzi dell’energia sul mercato spot, il PIL dell’UE potrebbe diminuire fino all’11,5% (1,7 trilioni di euro), con circa 16 milioni di persone che si ritroverebbero nella disoccupazione.
Lo stoccaggio di gas dell’UE agli attuali livelli elevati (90%) non significa avere gas a sufficienza per l’inverno. Lo stoccaggio totale di gas ammonta a circa 90 giorni di domanda. L’UE potrebbe facilmente rimanere senza gas entro marzo o anche prima, se il ritmo attuale prevede solo un rivolo di gas.
Ciò significa che l’UE dovrà ridurre il consumo di gas di almeno il 20%. Senza dimenticare che il gas norvegese o americano importato è ridicolmente più costoso del gas russo a contratto fisso.
Il ritorno del Piano Morgenthau
La demenza delle sanzioni, però, non si ferma mai. Il G7, in tre fasi successive, prenderà di mira il greggio, il diesel e la nafta russi, secondo il Tesoro statunitense. Continuano a insistere su un tetto al prezzo del petrolio – che né la Russia né diversi clienti del Sud globale seguiranno.
Il Quadro Generale rimane lo stesso. Il Terrore dei Gasdotti è stato un espediente disperato per impedire alla Germania di concludere con la Russia una deroga alle sanzioni per i gasdotti Nord Stream.
Era in atto un canale di negoziazione segreto. È illuminante considerare che tutte le precedenti azioni di Berlino e Mosca, che hanno ritardato e limitato il flusso di gas, sono state condotte per evitare che l’Impero portasse avanti la sua minaccia di terminare l’NS2.
Poi l’Impero fece la sua mossa.
Dal punto di vista di Mosca, questo non cambia nulla nel Grande Scacchiere. Il Cremlino ha manipolato l’assoluta disperazione di Washington nel rifiutare di ammettere la più grande debacle di politica estera dai tempi del Vietnam; i russi, nel frattempo, continuano a perseguire gli obiettivi dell’Operazione militare speciale (OMS), che sta per metastatizzare in un’Operazione antiterrorismo.
Per il momento, Mosca non è toccata dalle crisi interconnesse dell’energia, dei combustibili e delle risorse, accompagnate da immense interruzioni della catena di approvvigionamento a livello mondiale.
I russi sono essenzialmente spettatori sconcertati che contemplano il rallentamento della produzione industriale nell’eurozona, insieme ai deflussi di capitale, all’aumento dell’inflazione e alle proteste sociali che stanno per esplodere.
C’è una pericolosa finestra per azioni imperiali irrazionali da qui al G20 del mese prossimo a Bali. Dopodiché la partita sarà completamente diversa, non solo nei campi di battaglia ucraini, ma soprattutto in tutta l’Unione Europea, impantanata nell’angoscia.
Il Piano Morgenthau, dopo la Seconda guerra mondiale, fu architettato per far letteralmente morire di fame la Germania attraverso la distruzione delle miniere di carbone della Ruhr. È sorprendentemente simile al piano Straussiano degli psicopatici neocon americani per tagliare la Germania fuori dal gas naturale russo bombardando NS e NS2.
Il primo Piano Morgenthau avrebbe portato alla deindustrializzazione della Germania. Secondo la clausola 3, l’intera Ruhr “non solo dovrebbe essere spogliata di tutte le… industrie esistenti, ma anche indebolita e controllata a tal punto da non poter diventare, in un futuro prevedibile, un’area industriale”.
La fine della Germania come Stato industriale avrebbe creato una disoccupazione massiccia e permanente che avrebbe colpito 30 milioni di persone, secondo Henry Stimson, Segretario alla Guerra degli Stati Uniti. La risposta di Morgenthau fu che la popolazione in eccesso poteva essere scaricata in Nord Africa.
L’intelligence statunitense era ben consapevole del riavvicinamento tra Berlino e Mosca. Colpire la NS e la NS2 è stata lo stratagemma distintivo del Piano Morgenthau rimescolata dalla combo Straussiana/neocon.
Ma non è finita fino a quando la signora wagneriana canta. Non c’è bisogno della Götterdämmerung: La Germania potrebbe avere il proprio destino tra le mani, dopotutto. Basta accendere l’interruttore di NS2.
Taiwan, Iran e il Donbass: il cittadino medio oggi e il cane di Pavlov – Sara Reginella
Le donne che vogliono portare il velo andrebbero rispettate.
Le donne che non vogliono portare il velo, andrebbero ugualmente rispettate.
Ogni essere umano che subisce violenze o imposizioni ha tutta la mia solidarietà.
Fatta questa premessa, osservo come in queste settimane, il cittadino medio abbia fatto propri elementi di livore che dalla Russia ci hanno riportato in Medio Oriente.
Il cittadino medio che sputa veleno contro il mondo russo, è lo stesso che ha inviso il mondo iraniano, che ieri ha legittimato il m4ssacro in Iraq e, prima ancora, la mattanza in Vietnam.
Il cittadino medio è certo di appartenere a una società superiore.
Sistemi politici, economici, di tradizione, cultura e standard di pudore diversi, per lui non hanno motivo di esistere.
Secondo il cittadino medio, i popoli dovrebbero optare per la sottomissione spontanea al suo modello di società.
In assenza di sottomissione, per il cittadino medio è legittima qualsiasi forma di massacro.
Purché non se ne mostrino le immagini.
Il cittadino medio non coglie che la stessa guerra è giocata in diversi campi: da Taiwan, all’Iran, al Donbass.
Il cittadino medio risponde ai principi del condizionamento classico.
Ma il cane di Pavlov era più intelligente.
Il cittadino medio viene preparato, attraverso tali principi, alla legittimazione di una v1olenta ingerenza dell’Occidente in Iran.
Tale legittimazione utilizza la replica di presunti gesti di solidarietà, cui si associano ondate di indignazione indotta.
Il taglio della ciocca di capelli, massicciamente replicato nel web, ricorda il gesto di coprirsi la bocca con cui nel 2018, celebri influencer invitavano alla protesta contro l’attacco chimico compiuto da Assad. Salvo poi venire a sapere, con certificazione dell’Aja, che in Siria non c’era stato alcun attacco chimico.
L’indignazione indotta ha come unico scopo la legittimazione di ulteriori violenze.
Le persone realmente oppresse non necessitino di gesti di presunta solidarietà che, strumentalizzati, si connetteranno a catastrofi ben peggiori
Ogni sforzo per evitare il disastro. Alt al partito della guerra – Fulvio Scaglione
Le bombe russe sulle città ucraine, a breve distanza dall’attentato ucraino al Ponte della Crimea, mostrano nella carne e nel sangue delle vittime quanto era già evidente a chi voleva ancora ragionare. Questa è un guerra che nessuno può vincere secondo quanto proclama. L’Ucraina non può sperare di tornare ai confini pre-2014, riprendendo il Donbass e la Crimea. La Russia non può credere di annettere l’intero Est dell’Ucraina fino al Dnepr e poi tenerlo nonostante l’ostilità di una parte consistente della popolazione, la guerriglia degli ucraini, l’opposizione dell’intero Occidente. Con questa guerra tutti perdono, uno solo vince: il partito della guerra a oltranza.
Partito che esiste ed è forte, come gli ultimi eventi dimostrano. Gli Stati Uniti, che per sostenere l’Ucraina hanno investito 66 miliardi di dollari tra forniture d’armi e appoggi finanziari, stavano mandando segnali evidenti a Zelensky e ai suoi. Le rivelazioni, affidate al solito ‘New York Times’, sulla responsabilità dei servizi segreti di Kiev nell’assassinio della figlia di Aleksandr Dugin e nell’attentato al Ponte di Crimea erano un chiaro invito alla cautela, anche perché venivano dopo le dichiarazioni (prudenti ma significative) di Joe Biden e del segretario di Stato Blinken sull’opportunità di un dialogo con la Russia. Zelensky e i suoi non hanno sentito ragione, confidando nell’appoggio incondizionato degli Usa e nella spinta di Polonia, Regno Unito e Baltici, i Paesi che più di tutti, in Europa, vogliono cogliere l’occasione per tagliare le unghie all’orso russo.
E un partito della guerra totale cresce e prospera anche in Russia, all’ombra del fallimento della strategia di Putin, che pensava di invadere l’Ucraina con un contingente ridotto di volontari a contratto, senza ‘disturbare’ i normali cittadini russi. Era la filosofia della ‘operazione militare speciale’ che ora molti vorrebbero sostituire con una guerra senza freni né limiti. Sono i soliti Kadyrov (il leader ceceno che ha fornito migliaia di soldati) e Prigozhin (fondatore dell’esercito mercenario Wagner), che hanno crediti da riscuotere. Ma anche gli ambienti dei servizi di sicurezza e della Guardia Nazionale, il corpo di 300mila uomini creato proprio da Putin nel 2016.
Gli uni e gli altri, a gran voce o borbottando nei corridoi, chiedono le dimissioni del ministro della Difesa Shoigu e del capo di stato maggiore Gerasimov per mettere sotto pressione il Presidente. I bombardamenti di ieri, più ancora che una vendetta per l’attentato al Ponte, sono ciò che Putin ha dovuto concedere a settori influenti e insoddisfatti del suo stesso sistema di potere.
C’è un solo modo per opporsi a una degenerazione che prosegue da nove mesi e ormai prospetta addirittura l’uso della bomba atomica: dare vita e forza politica a un partito della pace. Ne abbiamo azzeccate poche, in questo periodo. Sei mesi fa dicevamo che la Russia stava finendo i missili, e solo ieri ne ha lanciati quasi 90 sull’Ucraina.
E pronosticavamo un rapido crollo del sistema economico e sociale russo, mentre ora gli analisti prevedono un ben poco risolutivo calo del 4,5% del suo Pil. Senza idee nuove il conflitto potrà durare molto a lungo e produrre disastri colossali. Sappiamo che la guerra non era inevitabile ma risponde al lucidamente folle progetto del Cremlino di mettere fine al secolo americano. Sappiamo chi è l’aggressore e chi l’aggredito.
Ma ripeterlo senza fare nulla è ormai un mantra autoconsolatorio. Bisogna mettere fine all’inutile strage. E per farlo è indispensabile una risoluta iniziativa dell’Europa, che faccia leva sui sempre più evidenti dubbi degli Usa e sull’evidentissimo disagio di Vladimir Putin. È l’ora che Italia, Germania e Francia si sveglino e tornino al ruolo che la Storia ha loro assegnato. Fuori da qui sarà comunque un disastro.
Elena Osipova – Tonio Dell’Olio
Ormai è famosa in tutto il mondo. A 80 anni trova ancora il coraggio di scendere per strada e di manifestare il suo No alla guerra. Merita il Nobel della pace già solo per questo! Se poi entriamo in punta di piedi nella sua storia personale, veniamo a sapere che è un’artista russa sopravvissuta da bambina all’assedio tedesco di Leningrado (08/09/1941–27/01/1944). Dopo le scuole si è dedicata alla pittura e, dagli anni ottanta, si è legata ai circoli dell’opposizione democratica. Per commemorare il 75esimo anniversario del drammatico assedio di Leningrado ha dipinto un grande graffito sul muro del palazzo dove abitava la sua vecchia amica, anch’essa pittrice, Lenina Nikitina, che perse l’intera famiglia durante quei giorni. In questa pagina mi preme riprendere quella sua intuizione scritta sui cartelli dipinti artisticamente con cui protesta anche in questi giorni per le strade di Mosca. Si legge: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un vero eroe”. Qualche giorno fa, intervistata, ha ricordato una cosa che le aveva insegnato suo padre: “Papà chi resta quando avremo uccisotutti i nostri nemici?” Risposta: “Gli assassini”.
L’acqua e la guerra – Bruna Bianchi
Dopo sei mesi di guerra le condizioni di approvvigionamento idrico in Ucraina appaiono disastrose. In agosto 1,4 milioni di abitanti non avevano accesso all’acqua e almeno 16 milioni non ne disponevano a sufficienza. Numerose infrastrutture sono state gravemente danneggiate: dighe (almeno quattro), torri idriche, condotte fognarie, stazioni di pompaggio e di filtraggio (ceobs.org).
Dopo i bombardamenti di Mariupol, l’acqua potabile è stata inquinata dalle acque reflue con grave rischio di diffusione del colera. Attualmente il 25 per cento della popolazione fa ricorso ai pozzi estraendo acqua molto spesso contaminata. La qualità dell’acqua, infatti, è estremamente peggiorata e in molte zone il ripristino delle infrastrutture idriche è considerato impossibile. Nello stesso tempo, fiumi, mari e zone umide sono stati costantemente aggrediti dall’inquinamento che ne ha minato la vitalità e la capacità rigenerativa: sostanze tossiche fuoriuscite dai depositi di carburante e di agenti chimici colpiti dai missili, particelle di cemento, vetro, amianto, diossina rilasciati nell’atmosfera dai bombardamenti e in seguito ricadute con le piogge. La distruzione dei ponti – almeno cinquanta dall’inizio del conflitto – ha modificato il flusso d’acqua dei fiumi dove, in molti punti di attraversamento i veicoli militari abbandonati si corrodono lentamente.
Anche parte delle zone umide, quelle della Polesia e della zona di Chernobyl, sono state devastate dalle azioni di guerra (newscientist.com). Grande allarme ha sollevato la condizione del Mar Nero; alle distruzioni degli ecosistemi dovute a materiali esplosivi infiammabili, caustici e radioattivi, si sono aggiunte le fuoriuscite di carburante dalle navi, mentre l’uso dei sonar e le esplosioni sotto il livello dell’acqua hanno causato la morte delle creature marine, tra cui migliaia di delfini…
MANIFESTAZIONE PER LA PACE – Raniero La Valle
Cari amici,
Lunedì 10 ottobre l’Occidente si è accorto di avere dichiarato guerra alla Russia, una guerra di cui si dice che non possa avere alcun altra fine che la sua sconfitta, con la vittoria dell’Ucraina, cosa che nessuno aveva mai osato pensare durante tutto il lungo calvario della guerra fredda, neppure il peggior Biden che gli Stati Uniti possono avere avuto, Nixon o Johnson che fosse La sorpresa è che la Russia questa guerra si è messa a combatterla, invece di scappare, come aveva detto mettendola alla gogna Zelensky.
E che cos’altro ci si poteva aspettare nell’escalation perversa innescata dalla guerra portata dalla Russia nel cuore dell’Ucraina? Si credeva davvero che la Russia avrebbe scatenato la nuova Apocalisse con l’arma nucleare tattica? E invece lei ha ripetuto le vecchie Apocalissi ben note, al netto di Hiroshima e Nagasaki, con bombe missili e droni “convenzionali”, quelli che come di norma ammazzano, e perché no?, pure i bambini.
E quanto alla NATO, cui è gloria per noi appartenere, è proprio lei a stare in guerra con la Russia, ne affonda la flotta nel mar Nero, ne distrugge l’oleodotto nel Baltico, gioisce per il sabotaggio del ponte per la Crimea, annuncia l’invio di 3000 soldati al suo confine, pianifica e dirige la controffensiva militare dell’Ucraina. Biden poi ha assicurato alla Russia che con le sue sanzioni, “quali non si sono mai viste prima” l’avrebbe messa nella condizione in cui sono i fuori casta, gli “intoccabili” indiani, che appunto non devono essere toccati perché contaminanti, meno che uomini. E ai suoi officianti europei manda dollari e armi obsolete.
Quanto all’Europa, essa è vociante e introversa, indossa i colori dell’Ucraina come i ragazzi le magliette dei calciatori, ma tifa per il suo olocausto, tutta atlantismo e niente visione. E il suo Parlamento ben più che votare i crediti di guerra come fecero i socialisti nel 1914, proclama e incoraggia il conflitto, e chiama alle armi per la guerra totale alla Russia. Né mai nomina “negoziati” o “trattative”, che Zelensky ha proibito per legge, non lasciando aperta altra strada, che non sia la guerra, questa sì nucleare.
L’Italia poi manda le armi su liste segrete, bacia la destra ma pensa alle bollette.
E nessuno pensa che tra i popoli da difendere ci sono pure quelli del Donbass, che hanno diritto anche loro all’autodeterminazione, e per i quali tutto è cominciato già otto anni fa.
In tutto questo la posizione più decente sarebbe il silenzio, è impossibile dire qualcosa che non produca la veemente ripulsa di qualcuno. Basta leggere i giornali, accendere, finché c’è la luce, la TV. La guerra e i dibattiti sulla guerra sono i soli spettacoli che agli editori non costano niente; c’è un profitto anche per loro.
Tuttavia in questa situazione nessuno può mettersi fuori. Ciò che comunque e sempre è da fare, è testimoniare per la pace: e infatti finalmente si sta pensando a una o più grandi manifestazioni per la pace il che vuol dire condannare e lottare per sopprimere la guerra che già noi avevamo ripudiato. Conte ne promuove una senza bandiere di partito, e questa è purtroppo una richiesta fondata perché non possono scagliare la prima pietra i partiti che con la ripudiata erano tornati a far causa comune e a fornicare. Però non si può scendere in piazza senza aver chiaro per che cosa si manifesta, che cosa veramente si vuole, qual è il grido per striscioni e manifesti. Perché, come la destra rinfaccia giustamente a molti, tutti dicono di volere la pace, tutti si ammantano della livrea della pace, ma la pace non la fanno. E c’è chi dice no all’aggressione, ma sì alle armi, sì alle sanzioni,, sì alla vittoria contro i russi invasori , e chi esige che il metro di ogni misura sia il voler stare dove già stiamo, la fedeltà alle alleanze, il professarsi, magari anche senza esserlo, europeisti e atlantisti. E dunque che pace sarebbe? E si manifesterebbe per cosa? Bisogna allora ricordare che la pace non è la vittoria, come non può essere la sconfitta. E bisogna dire almeno quattro No: No all’invasione e alle annessioni. E questo vale per Putin. No all’invio di armi per attizzare il fuoco. E questo vale per la NATO, per Draghi e per Guerini. No alle sanzioni. E questo vale per Biden e mezzo mondo che vuole buttare fuori della storia l’altro mezzo mondo. No al “principio guerra” come vanto e stato del mondo. E questo vale per Zelensky. E dire quattro Si: Si al “Cessiamo il Fuoco”. Si all’unità umana. Sì alla Terra di Tutti. E in questo 11 ottobre che ricorda quello del 1962, in faccia ai popoli oppressi dire Si alla Terra di Tutti e particolarmente alla Terra degli altri. E questo vale per noi.
BASTA GUERRA IN BOLLETTA
PERCHE’ E’ IMPORTANTE IL NO ALLE SANZIONI ALLA RUSSIA, OLTRE CHE NELL’OPPOSIZIONE AL COINVOLGIMENTO BELLICO IN UCRAINA, NELLE LOTTE CONTRO IL CAROVITA E PER I DIRITTI SOCIALI E AMBIENTALI
Incontro online su Google Meet
link per partecipare: meet.google.com/pvf-xivq-evy
Domenica 23 ottobre
dalle ore 17:00 alle ore 19:00
Una discussione libera e aperta tra attivisti per contribuire, con strategie e metodi nonviolenti, ad organizzarsi per esigere tariffe energetiche a livelli sostenibili; e per resistere agli aumenti che, se non contrastati, ci impoveriranno tutti e condurranno tantissimi lavoratori sul lastrico!
Lo sciopero generale contro la guerra del 2 dicembre, giustamente e opportunamente convocato dai sindacati di base, per convertire le spese militari in investimenti sociali e ambientali, non ha nella piattaforma questo punto: la richiesta di non interrompere le forniture di gas dalla Russia ai prezzi dei vecchi contratti, stracciati da chi concepisce l’energia come arma di guerra. Il governo russo è disponibile a questo accordo, già fatto con l’Ungheria.
Noi Ecopacifisti più avvertiti siamo con i lavoratori che si mobilitano unitariamente su grandi obiettivi di trasformazione sociale, riassumibili nelle parole d’ordine di questo sciopero: abbassate le armi, alzate i salari, riducete gli orari, potenziate il welfare, valorizzate i beni comuni e pubblici!
Invitiamo, in aggiunta, a non dimenticare che il cessate il fuoco in vista di negoziati di pace è una condizione imprescindibile per creare il clima sociale e politico in cui le nostre rivendicazioni e le nostre lotte abbiano possibilità di crescere e concretizzarsi.
(Su questo punto, dopo l’invito di Papa Francesco a “fare chiasso”, stanno fioccando le manifestazioni specifiche dei pacifisti, in una girandola di scadenze che, a nostro avviso, rivela anche la scarsa capacità di difendersi dalle manovre egemoniche delle forze partitiche in competizione per piantare la loro bandierina elettorale sul “tema” della pace).
Ma accanto agli obiettivi generali dello sciopero, per la resistenza quotidiana negli ambiti locali, proponiamo la costruzione di una rete di sportelli energetici, con l’obiettivo di supportare tecnicamente e legalmente pratiche di protesta e disobbedienza civile nonviolenta, preferibilmente autogestite dai settori sociali deboli e periferici. A Milano ne apriremo uno “di lotta” in via Pichi 1 collegato a quello più istituzionale in via Borsieri 12
15 ottobre, ore 10:00: assemblea all’ARCI BELLEZZA dei sindacati che organizzano il 2 dicembre
22 ottobre, ore 17:00 – presidio in piazzale di Stazione di Porta Genova di Disarmisti esigenti & partners
Per maggiori info: https://nonvogliamolaguerra-nonpaghiamo.webnode.it/
Per adesioni online: https://www.petizioni.com/nonsiamoinguerra-nosanzioni
RATIFICHIAMO IL TPAN! – Antonia Sani
È passata nei giorni scorsi alla Camera in Commissione Esteri la Risoluzione per il disarmo globale. Un’ importante otazione in vista dell’imminente Conferenza di Vienna sul TPAN (Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari).
Apprendiamo che il Parlamento ha fornito al Governo “sollecitazioni chiare e indicazioni realizzabili per perseguire percorsi concreti di disarmo nucleare globale e definitivo”.
Ma quali le premesse e le conclusioni?
Viene ribadito che l’Italia finora ha deciso, come tutti gli alleati Nato, di rimanere al di fuori del percorso condiviso dai tanti paesi, mentre è importante ” un avvicinamento (?) ai contenuti pratici e concreti proposti dal Trattato”. E ancora, il documento prosegue ribadendo la considerazione che l’Italia deve impegnare il Governo “compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica e con l’orientamento degli altri Alleati a possibili azioni di avvicinamento ai contenuti del TPAN”.
Questo è il quadro del percorso.
Nonostante gli interventi di Rete italiana Pace e Disarmo sul rischio di armi nucleari che possono essere sempre utilizzate, noi, sostenitori/trici del Trattato , non possiamo che restare senza parole di fronte a un così evidente NO della Commissione Esteri alla ratifica del TPAN per le ragioni sopraespresse.!
È dal 2017، data dell’entrata in vigore del TPAN, che come associazioni pacifiste abbiamo raccolto migliaia di firme per sollecitare il nostro Paese a non piegare la testa succube della Nato, rinunciando a porre la firma accanto ai 61 paesi del mondo che finora hanno ratificato. Siamo nel mezzo, senza un volto, tra i 9 paesi filoatlantisti fornitori di bombe nucleari e i 61 ratificanti.
Il nome dell’Italia non compare.
ASSOCIAZIONE “IL ROSSO NON E’ IL NERO” SAVONA: LA PACE SUBITO!
In conclusione dell’assemblea dell’Associazione “Il rosso non è il nero” svoltasi a Savona il 12 ottobre 2022 è stato lanciato un appello per contribuire, partendo da una grande e unitaria manifestazione nazionale ,alla costruzione di un movimento popolare che dal basso reclami con grande forza il rispetto dell’articolo 11 della nostra Costituzione.
Il nostro slogan è già scritto nella Carta costituzionale: “L’Italia ripudia la guerra”. A partire da questa affermazione inequivocabile chiediamo che si cessi di alimentare i conflitti, che il nostro Paese lavori seriamente per la soluzione diplomatica del conflitto tra Russia ed Ucraina e che si arrivi, in tempi brevissimi, ad una tregua.
L’ombra scura di un conflitto nucleare non deve incombere sul nostro futuro.
La barbarie della guerra, alla quale i potenti del mondo guardano con cinica ed interessata indifferenza, ci fa orrore
Ragazze e ragazzi, cittadine e cittadini sono soli.
Ciascuno con le proprie paure e le proprie difficoltà: i prezzi che salgono,le bollette che rincarano, il timore di un inverno che il frastuono ossessivo dei mezzi di comunicazione annuncia terribile
Con grande preoccupazione registriamo che le maggiori forze politiche del Paese non rappresentano il sentimento e l’angoscia di coloro che in Italia non vogliono la guerra.
Con meditata e dolorosa consapevolezza siamo costretti a dire: la guerra mondiale si avvicina, non è uno scherzo, è un evento che ha, oggi, nell’autunno del 2022, un’alta probabilità di accadere. L’impensabile potrebbe irrompere nel nostro quotidiano. Questa sensazione ci spaventa.
Ci potrà salvare soltanto la nostra presa di coscienza, il riconoscerci in pericolo, la scelta per la pace, l’azione comune e diretta di tutti coloro che con forza si oppongono alla guerra.
Quelli che vogliono lo scontro sono forti e potenti: anziché mettere in campo proposte che allontanino il pericolo nucleare paesi come la Turchia e l’Egitto sono sul punto di adottare più pericolosa delle tecnologie belliche.
Siamo ben consapevoli che dopo un conflitto nucleare non ci saranno né vincitori né vinti, siamo convinti che la pace si costruisca aprendo un dialogo con l’altro, facendo tacere missili e cannoni. Dobbiamo quindi divenire forti e uniti/e per dare una speranza concreta alla pace.
dice Berlusconi:
Il Cav, durante l’assemblea di ieri con i deputati azzurri, ha parlato anche dei motivi della guerra in Ucraina: “Vi prego il massimo riserbo”, premette, ma l’audio è stato poi pubblicato da Lapresse.
“Nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo di pace tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche”, spiega Berlusconi.
Le vittime “arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Poi arriva Zelensky e triplica gli attacchi”. Così, “disperate, le due repubbliche mandano una delegazione a Mosca e dicono a Putin: ‘Vladimir, non sappiamo che fare, difendici tu’”. Putin inizialmente si mostra “contrario a qualsiasi iniziativa, resiste ma subisce una forte pressione da tutta la Russia”.