Cgl e Cgil, una «i» di meno fa molta differenza
Recensione – in ritardo – a «Fedeli alla classe» di Francesco Giliani (*)
Cgl, cioè confederazione generale del lavoro. Il sindacato viene fondato a Milano nel 1906, scompare sotto il fascismo (suicidio in realtà ma questa è una storia che si racconterà un’altra volta) tentando di sopravvivere in piccoli nuclei clandestini e poi “rinasce” nel 1944, con il «Patto di Roma»; ma la Cgil “unitaria” ha vita breve e due scissioni daranno vita nel 1950 a quelle che oggi chiamiamo Cisl e Uil.
Quando la Cgil unitaria nasce nel ’44 con quella «i» aggiunta c’è chi non gradisce: «la classe lavoratrice trovava a Roma quell’aggettivo ITALIANA, che toglie alla massima organizzazione sindacale la tradizione di un nome e della funzione educativa delle masse italiane agli ideali della fratellanza internazionale dei lavoratori di tutto il mondo». A commentare così è la rivista «Battaglie sindacali» (numero 16 del 1 giugno 1944) che esce nella Napoli liberata. E sarà bene ricordarlo subito liberata non dagli Alleati ma dal suo popolo in rivolta contro i nazifascisti.
Questa «i» aggiunta, calandola dall’alto, ci porta al cuore del saggio storico «Fedeli alla classe». A cosa fa riferimento il titolo del bel libro (400 pagine per 13 euri) di Francesco Giliani? A quella classe operaia che dovrebbe essere internazionale e dunque sta stretta in quella «i» perduta. Molto di quel che Giliani racconta si intuisce dal sottotitolo: «La Cgl rossa tra occupazione alleata del Sud e “svolta di Salerno” (1945-45)». E’ una fortuna che Giliani abbia trasformato la sua tesi di dottorato in libro perché questa vicenda “meridionale” e soprattutto napoletana (ma con rilievo nazionale) è importante, purtroppo dimenticata o per meglio dire censurata dalla storiografia ufficiale e densa di insegnamenti anche sulla natura stalinista del Pci. Libro autoprodotto – nell’aprile 2013 – perché Giliani non ha trovato un editore: lo si può chiedere scrivendo a fedeliallaclasse@libero.it e secondo me merita spesa e fatica. Per chi è appassionato di storia si tratta di vicende importanti quanto appassionanti. E censurate perché mostrano i lati oscuri del Pci staliniano e degli Alleati, “liberatori” a dir poco dimezzati. Francesco Giliani ha lavorato molto a lungo negli archivi in Italia e negli Usa scovando documenti inediti. Per dirne uno dei più ghiotti per uno storico – ma dei più tristi per un militante di sinistra – quello che mostra lo sconcerto di Norman Lewis, ufficiale britannico «sinceramente antifascista» quando, alla richiesta di avere «i nomi dei fascisti clandestini», il segretario federale del Pci (Eugenio Reale) gli scrive «quelli di Enrico Russo, capo dei trockisti, e dei suoi luogotenenti Antonio Cecchi, Libero Villone e Luigi Balzano», tutti dirigenti di spicco della Cgl, senza «i».
Napoli dunque. Che si liberò da sola. Con una insurrezione spontanea. Strappando le armi ai nazifascisti e combattendo dal 28 settembre al 1 ottobre 1943. Però… «lo sviluppo delle Quattro Giornate all’infuori della direzione del Cln e la prevalenza nella Napoli degli anni ’50 di forze reazionarie hanno fatto sì che la prima insurrezione antifascista vittoriosa in Europa sia da decenni considerata marginale rispetto al quadro generale della Resistenza» scrive Giliani: «Addirittura la vulgata dell’antifascismo istituzionale racconta di una rivolta urbana priva di contenuto politico o puramente patriottica». Aggiungo io che solamente in parte il pur bel film di Nanni Loy (appunto «Le quattro giornate di Napoli» del 1962, su un soggetto originale di Vasco Pratolini) fu capace di restituire la potenza e il valore storico di quella vittoriosa rivolta popolare contro vecchi e nuovi oppressori.
Ancor prima dell’8 settembre, Napoli si era messa in movimento contro la manovra di far passare l’Italia da Mussolini – defenestrato il 25 luglio ’43 – a un regime monarchico e/o reazionario. Già il 26 luglio «a Napoli uscì “Il proletario”, primo giornale comunista in Italia dopo la caduta di Mussolini; il 27 un manifesto del gruppo Spartaco a favore della pace, ai primi di agosto volantini a firma “Popolo libero napoletano” ecc».
E a ottobre tornano nella città liberata (ma ora sotto controllo degli Alleati, con limiti all’azione politica dal basso e ambiguità… per dirne una Churchill che faceva il tifo per i Savoia contro un’Italia repubblicana) molti antifascisti, esuli o passati per le galere fasciste. Fra loro ci sono comunisti non allineati con lo stalinismo: «saranno tra i rifondatori della Cgl e la chiameranno “rossa” perché contrari a subordinare gli obiettivi storici della classe lavoratrice a una unità nazionale volta a una restaurazione liberale».
Fra badoglismo e cosiddetta “svolta di Salerno” togliattiana; fra battaglie per l’egemonia sindacale e rivolte popolari (le prime avvengono in Sicilia) post fascismo; fra preoccupazioni (a dir poco) angloamericane per un’Italia “rossa” e la guerra che continua; «fra Pio XII e Pietro Nenni», come si intitola un capitolo; fra il silenzio degli storici e ingannevole buon senso… Ma anche fra comunisti di osservanza moscovita e altri che considerano Stalin l’affossatore della rivoluzione. Quando si ritroveranno a Napoli, nel ’43, apparentemente Palmiro Togliatti ed Enrico Russo stanno dalla stessa parte, come in Spagna. Ma non è così: «Nel corso della rivoluzione spagnola del 1931/7 Russo e Togliatti erano schierati entrambi nel campo repubblicano ma su barricate opposte: il primo, comandante di una milizia internazionale del Poum […] il secondo capo per investitura moscovita».
Il libro di Giliani ha il suo cuore nelle vicende della Cgl – senza «i» – di Napoli ma con uno sguardo lungo, temporalmente e geograficamente. Scrive nella introduzione: «rarissimi sono gli storici che hanno preso sul serio […] lo spettro di una situazione rivoluzionaria nell’Italia del 43 […] Favole buone per “militanti” o per spie anglo-americane afflitte da isteria anticomunista. Sostiene la voce eternamente ragionevole e cauta dell’accademico italiano, progressisti e compagni di strada dell’ex Pci inclusi. Il mio lavoro è invece partito proprio da lì». Un lavoro sorretto non solo dalla partecipazione emotiva (che pure c’è e giustamente Giliani non la tace) ma da documenti storici solidi.
Gran parte del libro incrocia le vicende storiche con la figura di quell’Enrico Russo – qui sopra definito provocatoriamente «capo dei trockisti» – combattente in Spagna, animatore della Cgl e poi «morto in miseria nel ’73 in un cronicario napoletano». Ho incontrato da poco Giliani e mi ha detto di un suo cruccio, cioè che nessuno finora abbia raccontato (in un romanzo o in un film) la straordinaria biografia di questo militante. Anche io penso che sarebbe il caso. Se non sarà Giliani stesso… chi avanza la sua candidatura? Anche perché «è vitale “camminare sul lato selvaggio”» della storia, come invita Giliani stesso – citando i Wu Ming (in «Asce di guerra») – «e c’è ancora molto lavoro da fare.»
(*) Il disegno sulla copertina del libro di Giliani, che vedete in apertura di post, è una vignetta del «Socialist Appeal» britannico del 1943. La sigla «Amgot» – oggi incomprensibile ma allora notissima, che si legge sulla Sicilia (in realtà riguardava anche altre zone strategiche) – rimanda all’acronimo inglese di «Governo militare alleato dei territori occupati»; da gennaio ’44 fu usata la più sintetica Amg. Aggiungo che molte vicende qui raccontate (la rivolta del pane di Caltanissetta o le deportazioni in Nordafrica di militanti del Pci siciliano, per citarne solo due) meriterebbero di essere recuperate alla memoria: ovviamente qui in “bottega” lo spazio per simili «scor-date» è sempre aperto.
Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente di alcuni bei libri … Ogni tanto rimedio a questi “buchi” appunto chiedendo venia. (db)
Molto più modestamente rispetto all’importante lavoro di Giliani, mi permetto di segnalare che anche Bruno Trentin, da segretario generale della Cgil, riteneva fosse il momento (erano gli anni Novanta, se non sbaglio) di eliminare quella “i” di troppo.
Lo spunto gli venne fornito da un cambiamento all’interno della Confederazione, la quale ai quei tempi introdusse una modifica allo statuto, autodefinendosi come sindacato inter-etnico, prendendo atto delle trasformazioni che avvenivano nella società e nel mercato del lavoro.
Purtroppo da allora, di sindacalisti del calibro di Trentin ai vertici del sindacato di Corso Italia, se ne sono visti pochi e non è stato dato seguito a questo suo auspicio.
Potete trovare questo aneddoto spiegato in maniera più precisa nell’introduzione del libro edito da Ediesse, Permesso di Soggiorno, qui di seguito il link: http://www.ediesseonline.it/catalogo/carta-bianca/permesso-di-soggiorno.
Ho ritrovato inaspettatamente il libro “Permesso di soggiorno” tra gli scaffali dell’ufficio e ne approfitto per citare letteralmente il passaggio che ricordavo nel post precedente.
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Enrico Panini – Prefazione al libro “Permesso di Soggiorno”.