Charles Mingus in garage, le balene e jazzate varie
Un “memo” di Franco Minganti su un vecchio docu-film. A seguire link, consigli e annunci
«Mingus Portrait»
di Franco Minganti
Sgombero il garage e la cantina di mia madre. Mi imbatto in un po’ di scartoffie che vi avevo accumulato nel tempo, scampate a malapena a svariati allagamenti dovuti ai temporali estivi più classici. Fra le carte impiastricciate e asciugate chissà quante volte ritrovo una stampata che reca il titolo Mingus Portrait, «traduzione a cura di Franco Minganti».
Arriva un flash memoriale… mi vengono in mente la Rocca Sforzesca di Imola e un ruvido docufilm dedicato a Charles Mingus, per la proiezione del quale mi era stato chiesto di preparare una specie di sinossi del film, con incluse traduzioni letterali di alcuni passaggi e battute, il tutto per alleviare gli sforzi di comprensione del pubblico (ma io stesso avevo avuto non pochi problemi nel decodificare l’audio originale). Si trattava del film di Thomas Reichman Mingus (Charles Mingus) del 1968: 58 minuti di bianco e nero, documentazione lunare o surreale – fate voi – del grande musicista alle prese con lo sfratto annunciato dalla sua residenza newyorkese.
Il prezioso archivio di Fabio Ravaglia conferma che venne proiettato lunedì 16 luglio 1990, dalle 23 in avanti. Si era nel cortile piccolo della Rocca Sforzesca di Imola, quello disegnato da Leonardo da Vinci, ed era in corso Contaminazioni estive, lodevole rassegna di musica, film e varia umanità promossa dalla Palazzina con il probabile zampino del Combo Jazz Club. Certo, era un’epoca in cui non si vedevano tanti jazz movies in giro…
Ecco allora quel documento salvato dalle acque. Ovvio che potete andare su YouTube a guardarvi il film – per fortuna la rete lo conserva integralmente: https://www.youtube.com/watch?v=JY_ebWRCPQM – per godere la curiosa eccentricità… del reperto/intervista e dell’illustre intervistato. Non sono andato a ricontrollare se all’epoca avessi fatto un lavoro decente di pubblica utilità ma questo è quanto. Amen.
Mingus Portrait
traduzione a cura di Franco Minganti
[TITOLI DI TESTA]
“State filmando, vero?” esordisce Charlie Mingus, e passa a raccontare la situazione che aleggerà per tutto il film. Lo stanno sfrattando: “Mi cacciano […] sarei dovuto restare qui altri due anni, ma mi avrebbero dovuto trovare loro un posto…”.
Alla domanda se lo sfratto ha a che vedere con Edgar J. Hoover (e l’FBI), risponde che i neri non hanno pari opportunità: “Se non mi fossi chiamato Charlie Mingus sarei fuori casa […] potrei sempre appellarmi alla corte…”.
Dopo uno scambio di battute su un fucile di provenienza dall’esercito, c’è una richiesta di informazioni sulla situazione in Europa. Mingus si riferisce al Nord Europa, quello che conosce, ma non tira buona aria neppure là: “Ho un’amica, un’ebrea tedesca […] pedinata dalla polizia […] neanche fosse la Gestapo”. L’Europa, la Germania è poco cara, ma anche lì le stanze sono spesso sporche. Per fortuna un manager che sa parlare tedesco riesce ad ottenere il meglio: “Chiedetelo a Jackie Bayard […] Mi hanno fatto sentire indesiderato”.
Si ritorna al fucile: “Vuoi vedere questo? Ti mostro come funziona […] questi fucili costano poco e uccidono. È identico a quello che ha ucciso Kennedy […] potrebbe persino essere uno di quelli che l’ha ucciso… erano più di uno”. “Chi è stato?” domanda il regista fuori campo. “È stato un gangster…”.
[STACCO]
Battuta sul “Zap”, sui vestiti senza bottoni e le chiusure a strappo… Zap dress… cosa vuol dire? “Zap”, basta tirare…
[STACCO]
Mingus rimugina e ripete quello che dice il regista: “Mettiti contro quella parete”, poi recita una sua personale versione del Pledge of Allegiance. “Giuro fedeltà alla bandiera bianca dell’America […] se sei nero non sei americano […] giuro fedeltà alla vostra bandiera […] è un’insegna di prestigio innalzata da una minoranza che produce profitto […] giuro fedeltà alla bandiera bianca dell’America, senza strisce, senza stelle […] giuro fedeltà alle vittime, anch’esse cittadini del Paese, ai ghetti bianchi, ai ghetti gialli (cinesi, giapponesi), a tutti i ghetti del mondo. Pensate che stia scherzando? Se devo giurare fedeltà a qualche “-ismo” in questi dannati Stati Uniti, potrei usare uno di quelli [indica probabilmente il fucile] … non che sia importante […] Kennedy è stato importante […] pensate a Lincoln, a Kennedy […] al tempo e alle spese per preparare e sistemare venti persone per mesi , per averle in un certo posto in un preciso momento […] cibo, tempo […] si potrebbe dire Johnson ha ucciso Kennedy, o l’ha fatto eliminare da qualche gangster […] possibile”.
Poi si riferisce a figure paterne: “Un padre […] non so cosa dire…” e riferisce di un furto avvenuto in casa: “Sono venuti a rubare qui […] non so chi sia stato… amici, nemici […] Mio padre sa tutto sui fucili… io so pochissimo, ma si impara… potrei anche ammazzare qualcuno…”.
[STACCO]
“Siete fortunati… questa è una vecchissima carabina” dice e invita a seguirlo nello sgabuzzino […] poi spara. “Non sto recitando…” fa, poi guarda i danni del proiettile sul muro: “Non male per un ferrovecchio del genere…”, Intona l’inno americano con un testo ironico che parla di ‘dolce terra dello schiavismo’: “Avrai sentito parlare dell’FBI […] sostanzialmente sono un poliziotto […] per la maggior parte i ragazzi sono poliziotti o soldati”. “Tu ti consideri un ragazzo?” gli chiedono. “Lo sono […] se l’educazione significa crescere…”.
[STACCO]
La voce di Mingus fuori campo recita: “Un giorno sono venuti a prendere i comunisti, ho lasciato fare perché non sono un comunista / poi un giorno sono venuti a prendere quelli di fede ebraica, non ho detto niente perché non ho nessuna fede / un giorno sono venuti a prendere i sindacalisti, non ho fatto nulla perché non sono un sindacalista / un giorno sono venuti a bruciare le chiese cattoliche, non ho reagito perché sono protestante / ma un giorno sono venuti a prendere me e non ho potuto dire nulla perché non avevo detto niente prima per difendere il diritto alla libertà”.
Charlie gioca con la bambina: “… lei no, che non recita” dice, poi risponde a una richiesta di chiarimento sulle donne. “Le donne salveranno il mondo, le donne unite, tutte insieme […] gli uomini sono gelosi, i poliziotti, i benpensanti che stanno dietro quelle che mostrano le tette nei club della 42ma […] si preoccupano per le proprie figlie, per il sesso, per le proprie mogli […] chi se ne frega.
[STACCO]
Chiacchiera con la bimba dopo aver detto dei figli, dei padri, della società: “Ti ricordi dei bei tempi sulla Quinta Avenue con le Cadillac, le limousine […] ti mancano?”. “Sì” risponde la bambina”. “A me no, anche se ce la passavamo bene e ci divertivamo” […] Ma la piccola esprime il desiderio di poter tornare ad abitare in un quartiere tranquillo.
Malinconicamente Charlie dice che “la gente uccide, in guerra, per dei luoghi” e descrive le condizioni di Harlem.
[STACCO]
“Questo è il basso […] di Mingus… oh no! … è crepato”.
[STACCO]
“Il sesso è sopravvivenza, come una religione, come andare in chiesa, dir messa, per toccare la morte quando si è ancora in vita… lasciamo che sia… con naturalezza… un uomo e una donna che si toccano per due, tre giorni. Se non ti senti, tirati indietro, non sarebbe più un fatto naturale. Quando incontro una donna […] le dico ‘dammi tre giorni, tre giorni e tre notti’ […] 24 ore e se perdo la mia posizione eretta – hai presente il Pithecanthropus Erectus – non mi lamento […]. Dico tre, ma è il minimo […] Occorre trovare ciò che è complementare, come la presa per la lampadina […] e se trovo una donna come dico, possiamo crescere e maturare insieme […] La mia religione è che ognuno dovrebbe sistemarsi, baciarsi, fare l’amore”. Si rivolge quindi alla bimba, le domanda perché vada a scuola (“è importante per imparare” dice lei) e cosa farà da grande, in fondo solo per farle dire che si troverà un uomo, “uno solo”.
[STACCO]
“Ehi, chi ha fatto cadere la mia macchina da scrivere?”. Charles, chiesta l’ora, si interroga insieme alla voce del regista fuoricampo su quando “quelli” arriveranno per eseguire lo sfratto. “Non lo so […] forse domattina presto […] non gli renderò la vita facile, certo che no”. Quindi dedica le proprie attenzioni alla finestra.
[STACCO]
“Queste cose qua costano soldi […] non me le possono lasciare in mezzo alla strada […] Se stavo dov’ero, secondo il contratto avrebbero dovuto provvedere loro al trasloco […] Se li avessi portati in tribunale avrei vinto io la causa […] Ma la mia è una vita tutta alti e bassi… vedi, la musica è tutto quel che ho”. Mingus racconta di come gli ebrei possiedano ‘tutta la città di New York’: “C’è gente dura […] certi ebrei mi combattono, cercano di farmi del male […] Eppure il presidente dell’ amministrazione di Manhattan, un certo Cohen, compra i miei dischi…”
[STACCO]
“Senza istruzione è dura in questo sistema”.
[STACCO]
“Mr. Mingus, cosa ne pensa di questo sfratto?” gli chiede l’intervistatore. “Penso che l’America è bella, ma tutto questo è illegale […]. Ho ricevuto un’ingiunzione illegale […] Ho scritto a tutti, governatore, presidente […] Questa era la mia scuola…”.
“E che dire della sua roba in strada?”. “Spero che le cose non spariscano […] questi qua hanno il distintivo”. L’ometto, probabilmente il padrone di casa, riferendosi alla troupe, grida “Voglio che questi qua se ne vadano”.
Charles è amareggiato, colpito nella sua sete di apprendimento: “Dovrò saltare la scuola […] voglio imparare per migliorare […] sto imparando cose su questo Paese…”.
“E il tuo contributo al jazz? … come maestro” gli chiedono. “Non so […] Ci sono altri che possono insegnare benissimo…”.
[STACCO SULLA SQUADRA DELLA ‘SANITATION’ AL LAVORO]
L’intervistata [la compagna?] precisa che, più che lavorare lì, in realtà non era mai riuscito a mettere in piedi lo studio […] “Credi di essere perseguitato perché sei un musicista jazz?” gli chiedono. “No, solo che avrei bisogno di aiuto, che qualcuno mi facesse capire quello che succede […] i cosiddetti diritti dei musicisti jazz […] la polizia potrebbe aiutarmi…”. “Perché ti arrestano?”. “Hanno trovato delle pillole in giro e un ago ipodermico in una scatola…”. “Sei accusato per possesso di eroina?”. “Eroina? No, non è il mio stile…”. “Qual è il tuo stile?”. “Vengo dalla strada io…”.
TEMPO SINCOPATO
«Tempo perfetto o tempo sincopato è quando un rubinetto gocciola da una rondella che perde. Sono più che sicuro che una memoria infantile può ricordare quanto tempo era l’intervallo fra ogni collisione della goccia e il suo schianto dentro il lavandino disordinato, in una tazza di caffè piena, con lo sporco di vecchia crema ancora attaccata sull’orlo, in un lavandino così rugginoso che il padrone ha rinunciato all’idea che l’uomo addetto alla manutenzione cambiasse il ritmo del rubinetto gocciolante, sostituendo la rondella marcia, prima che il tempo finisca». Così nelle note di copertina dell’album «Mingus-ah-um»
PER APPROFONDIRE
E’ spesso affiorato Mingus in codesto blog: per esempio qui Lettera di Charles Mingus a db e Scor-data: 5 gennaio 1979 ma cfr anche Pabuda: «Gli sbirri cambiano (grazie al jazz?)» e LA STORIA DI FAUBUS CONTINUA
Ma vedi anche https://www.giornaledellamusica.it/articoli/charles-mingus-una-guida-allascolto-10-pezzi: in effetti il modo migliore per avvicinarsi è trovare 10 link (pochi forse) alla musica di Mingus; le parole sono importanti ma in definitiva «se la musica non parla da sola a che serve?» (la frase è di John Coltrane ma potrebbe essere di qualunque vero musicista).
DUE ANNUNCI: 100 ANNI MA ANCHE 101
Per i cent’anni dalla nascita di Mingus viene proposta una nuova edizione di «Peggio di un bastardo», autobiografia-romanzo-provocazione del grande musicista. Lo sto rileggendo e presto ne scriverò. Ma non sono geloso: se qualcuna/o mi precede… cedo lo spazio.
CI SI VEDE A LIVORNO IL 22 APRILE 2023?
In aprile avevo scoperto (da Wikipedia, ma tu pensa) che dal 2019 il «Comitato Unesco Jazz Day Livorno» il 22 aprile di ogni anno, data di nascita di Mingus, organizza qualcosa e vengono eseguite alcune composizioni di Charles Mingus all’interno della balenottera Annie («fra i più grandi scheletri di cetacei esistenti conservati integralmente»). Se non sapete cosa c’entrano le balene con Mingus ve lo racconterò presto. Ah, quest’anno non sono riuscito ad andare a Livorno ma l’anno prossimo mi organizzo: chi vuole venire con me … in culo alla balena? Ah um.