Che c’è di male nel piantare alberi? / 2
Il nuovo impulso per espandere le piantagioni industriali di alberi nel Sud del mondo
di Winfridus Overbeek, Secretariado Internacional World Rainforest Movement.
Traduzione Marina Zenobio per Ecor.Network.
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3. – L’accordo di Parigi: un impulso verso un’altra ondata di piantagioni industriali di alberi?
Nel 2015 la maggior parte dei governi del mondo ha approvato un documento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite definito come Accordo di Parigi. Questo accordo delinea ciò che i governi cercheranno di fare, su base volontaria, riguardo la crisi climatica globale. È entrato in vigore nel 2016 e viene attuato a partire dal 2021.
Attualmente è il principale accordo internazionale per affrontare il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Anche se i governi nazionali hanno firmato l’Accordo di Parigi sono le corporazioni transnazionali, come le compagnie dei combustibili fossili e di piantagione, insieme alle grandi ONG conservazioniste internazionali con stretti legami con quelle stesse compagnie, che influenzano la maggior parte delle decisioni. Per proteggere i loro profitti promuovono false soluzioni alla crisi climatica, come le piantagioni di alberi o i progetti di conservazione delle foreste. L’argomento adottato è che queste misure compenserebbero le emissioni di carbonio derivanti dalla combustione di combustibili fossili, causa principale del cambiamento climatico.
Che cos’è la crisi climatica?
Ciò che si conosce come cambiamento climatico, crisi climatica o riscaldamento globale è una variazione del clima della terra risultato di attività industriali ed altre attività sostenute dagli esseri umani.
La causa è il rilascio dei cosiddetti gas serra, specialmente di anidride carbonica (CO2), dovuto principalmente alla combustione di combustibili fossili avvenuta negli ultimi 150 anni per la produzione di energia e per il trasporto, insieme all’industria e all’agricoltura su larga scala.
Sono le stesse imprese transnazionali a controllare la maggior parte di queste attività, come l’industria del petrolio, del gas, del carbone, dell’aviazione e dell’agrobusiness, che dipendono in gran misura dai combustibili fossili. La loro principale preoccupazione è trovare modi per ritardare la fine dell’uso dei combustibili fossili, per proteggere così i profitti sempre crescenti e l’espansione delle imprese.
I principali combustibili fossili sono il petrolio, il carbone e il gas. Si sono formati come risultato della decomposizione e della compressione della materia organica (piante, batteri, alghe, ecc.) che hanno avuto luogo nel corso di milioni di anni. Il petrolio, il carbone e il gas si possono trovare in depositi sotterranei in diverse parti del mondo. Contengono un’altra concentrazione di anidride carbonica e di altri gas, come il metano, che restano sepolti sotto terra a meno non vengano estratti dalle imprese di energia e bruciato.
Il CO2 e altri gas sono sempre stati presenti nell’atmosfera. Di fatto giocano un ruolo cruciale nella regolazione della temperatura Terrestre e, pertanto, assicurano la vita sul nostro pianeta. Tuttavia, con la massiccia estrazione e combustione di combustibili fossili, enormi quantità di CO2 sono state rilasciate nell’atmosfera, sconvolgendo il ciclo del carbonio della Terra. Il rapido aumento di CO2 nell’atmosfera ha contribuito al riscaldamento globale e ad una crisi climatica sempre più grave. (8)
Questo provoca, per esempio, uragani, inondazioni e siccità più forti e durature. Il clima è diventato sempre più imprevedibile. I ghiacciai e le calotte glaciali della Terra si stanno sciogliendo e il livello del mare sta salendo. Si tratta di conseguenze che colpiscono le comunità costiere, contadine e altre che dipendono dalla terra, dall’agricoltura, dal bestiame e dalla pesca. La temperatura media globale della Terra dovrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi decenni, con conseguenze catastrofiche secondo gli scienziati. Quindi, per fermare il cambiamento climatico, la misura più urgente è smettere di bruciare combustibili fossili e lasciare quei depositi sepolti sottoterra.
Le piantagioni industriali di alberi sono una soluzione alla crisi climatica?
L’Accordo di Parigi ha definito la crisi climatica in un modo molto specifico: semplicemente come un problema di troppe molecole di CO2 nell’atmosfera, senza preoccuparsi di affrontare la provenienza di questo eccesso di CO2. Conclude quindi che la soluzione è rimuovere questo eccesso di carbonio. Poiché gli alberi hanno la capacità, quando crescono, di assorbire l’anidride carbonica e di immagazzinarla nei loro tronchi e radici, i sostenitori dell’Accordo, comprese le ONG conservazioniste, le compagnie di piantagione e gli scienziati, sostengono che le foreste sarebbero uno dei modi più affidabili, se non IL più affidabile, per rimuovere il carbonio in eccesso. In teoria, l’aumento della copertura arborea potrebbe rimuovere parte del carbonio dall’atmosfera, a condizione che gli alberi non vengano distrutti. Ma è davvero una soluzione a lungo termine?
Carbonio immagazzinato negli alberi vs carbonio immagazzinato nei combustibili fossili
Gli alberi catturano l’energia della luce solare e assorbono CO2 e acqua in un processo chiamato fotosintesi, che utilizzano per crescere. (9) La CO2 di cui l’albero non ha bisogno a breve viene immagazzinato nel suo legno e nelle sue radici. La combustione del legno rilascia CO2 nell’atmosfera. Questo è successo per milioni di anni.
Anche i depositi di petrolio e carbone nella profondità della Terra immagazzinano carbonio (chiamato “carbon fossile”). Tuttavia, a differenza del carbonio degli alberi, questo carbonio non entra in contatto con l’atmosfera, a meno che quei depositi non vengano sfruttati meccanicamente e bruciati. Nei fatti è necessario utilizzare macchinari pesanti per estrarre quei combustibili, e quando vengono bruciati liberano enormi quantità di carbonio nell’atmosfera perché il carbonio contenuto nel petrolio o nel carbone si è concentrato lì per milioni di anni. Questo fa sì che i combustibili fossili siano una fonte di energia molto potente e, per questo, molto utilizzata. La combustione costante dei combustibili fossili ha liberato un enorme eccesso di carbonio nell’atmosfera, ed è la principale causa del riscaldamento globale.
Piantare alberi è una falsa soluzione alla crisi climatica. Primo perché non ci sarà mai una tale quantità di terra per piantare sufficienti alberi che assorbano l’eccesso di carbonio liberato nell’atmosfera bruciando i combustibili fossili; ma anche perché il carbonio immagazzinato nelle piante è solo un processo temporale. La vegetazione può assorbire parte di anidride carbonica dell’atmosfera, ma quanto una pianta muore a causa della deforestazione o degli incendi delle foreste, la CO2 semplicemente si libera e ritorna nell’atmosfera.(10) Di conseguenza è la produzione di anidride carbonica causata dalla combustione di petrolio, carbone e gas che si deve fermare per affrontare davvero il cambiamento climatico.
Perché l’Accordo di Parigi promuove le piantagioni industriali di alberi?
Ci sono diverse ragioni che indicano perché l’Accordo di Parigi, pur facendo riferimento all’importanza delle foreste, è in realtà una chiara spinta per una massiccia espansione delle piantagioni industriali di alberi, soprattutto nel Sud del mondo:
– L’Accordo di Parigi non fa nessun riferimento alla causa principale del riscaldamento globale e del cambio climatico, né sul come affrontali: l’eccessiva combustione di petrolio, carbone e gas, che va avanti da 150 anni e continua ininterrottamente !
– Tuttavia, l’Accordo di Parigi afferma, in modo molto ambizioso, che i governi vogliono mantenere l’aumento della temperatura globale molto al di sotto dei 2°C, e che le nazioni continueranno negli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sopra i livelli preindustriali per evitare il “caos climatico”. Per ottenerlo, l’Accordo spera di eliminare con urgenza l’eccesso di CO2 che già è nell’atmosfera. Le principali proposte per farlo sono il ripristino dei boschi e la riforestazione, affinché gli alberi piantati assorbano l’eccesso di carbonio.
– Questo è un risultato diretto delle pressioni esercitate dalle compagnie di piantagione e dalle grandi ONG conservazionista secondo cui gli alberi sono tra le opzioni più affidabili ed efficaci per rimuovere il carbonio in eccesso nell’atmosfera, soprattutto nel Sud Globale, dove gli alberi crescono molto più rapidamente grazie al clima favorevole. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC l’acronimo inglese), che è il gruppo di scienziati consulenti per le conferenze dell’ONU sul clima, nel 2018 ha sostenuto che per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo è necessario mettere insieme una superficie di circa 24 milioni di ettari di alberi ogni anno fino al 2030, (11) un’area grande più o meno quanto Cambogia, Laos e Vietnam messi insieme.
– L’Accordo di Parigi sostiene che una monocoltura di eucalipto, pino, acacia, tec, bambù o caucciù sia la stessa cosa di una foresta, e quindi si qualifica come ripristino delle foreste o riforestazione. Ciò si deve al fatto che la definizione di foreste contenuta nell’Accordo di Parigi è quella utilizzata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (la FAO), ed è accettata dalla maggior parte dei governi nazionali. Questa definizione considera una foresta qualsiasi superficie coperta da alberi ! Ed ignora i molti altri elementi fondamentali, diversi e interconnessi, che formano una foresta, comprese le comunità umane.
Domande per dibattere
Perché credete che al posto di ridurre la combustione di combustibili fossili la maggior parte degli accordi internazionali puntino all’espansione delle piantagioni a monocoltura di alberi?
4. – I principali piani internazionali per l’espansione massiva di piantagioni
Prima, durante e dopo il negoziato dell’Accordo di Parigi, i governi insieme alle imprese che producono energia, a quelle delle piantagioni e ad altre, hanno lanciato una serie di piani e programmi internazionali, regionali e nazionali per il reimpianto di alberi.(12) Li promuovono come “riforestazione” o “restauro delle foreste”. Ecco alcuni tra i principali piani internazionali e regionali:
La Sfida di Bonn
(The Bonn Challenge), lanciato nel 2011 con il sostegno del Ministero dell’Ambiente tedesco e dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Il suo obiettivo è quello di “riforestare”, entro il 2030, 350 milioni di ettari – equivalenti alle dimensioni di Cile e Uruguay messi insieme – mettendo in atto ciò che è noto come “approccio di ripristino del paesaggio forestale”. Fino al 2019 i governi partecipanti si erano impegnati a piantare 160 milioni di ettari. Considerando la definizione di foreste della FAO, il rischio che la Sfida di Bonn porti a una grande espansione di piantagioni industriali di alberi è reale. Il suo approccio comprende la promozione di quelle che chiamano “foreste piantate” e della “silvicoltura” (la scienza che studia come piantare le “foreste”), due termini che secondo la definizione di foreste della FAO significano in pratica una cosa sola: piantagioni industriali di alberi. La Sfida di Bonn propone anche di mantenere e creare le cosiddette “aree protette”, ovvero aree forestali o altre aree con vegetazione nativa alle quali è vietato l’ingresso, figuriamoci se è possibile viverci. Le aree protette spesso sono obiettivo delle compagnie di piantagioni per affermare che proteggono le foreste e la biodiversità.
Altro aspetto dell’“approccio al ripristino di paesaggi forestali” è promuovere la cosiddetta agricoltura climaticamente intelligente (13), in riferimento alle tecniche agricole considerate essere le migliori per il clima. Oltre ai governi, anche una delle principali imprese a livello mondiale di piantagioni di alberi partecipa alla Sfida di Bonn: la compagnia indonesiana APP (Asian Pulp & Paper), legata alla deforestazione massiva e con una estesa storia di violazioni dei diritti umani.
L’agricoltura climaticamente intelligente
Il termine “agricoltura climaticamente intelligente” può sembrare attraente ma non ha una definizione chiara. E’ stato introdotto per la prima volta nelle discussioni internazionali sul clima promettendo un’agricoltura più produttiva e con meno impatti negativi sul clima. L’iniziativa si concentra principalmente in Africa. Questo approccio tende in pratica ad appropriarsi di terreni agricoli o da pascolo, e aumenta il controllo dell’agribusiness sull’agricoltura contadina, promuovendo l’agricoltura industrializzata, aumentando l’uso di fertilizzanti e prodotti chimici per le attività agricole su piccola scala. L’unico programma intergovernativo per un’agricoltura climaticamente intelligente è controllato da aziende attive nel settore agrochimico, che danno anche importanti contributi al cambiamento climatico, come Yara, una tra le aziende produttrici di fertilizzanti più grande al mondo.
L’iniziativa 20×20
L’iniziativa 20×20, lanciata nel 2014, prevede la partecipazione, tra gli altri, di 11 governi nazionali dell’America Latina, insieme a tre governi statali brasiliani e due importanti ONG conservazioniste. Il suo obiettivo era di “restaurare” 20 milioni di ettari in America Latina e nei Caraibi entro il 2020. Questo significa che l’iniziativa aveva sei anni di tempo per riforestare 20 milioni di ettari e che per il 2020 gli alberi dovevano essere già piantati ! Seppure secondo la pagina web dell’Iniziativa “i progetti di restauro appoggiati dall’Iniziativa 20×20 sono fiorenti”, alla base rappresentano solo interventi su piccola scala e nessuno si avvicina all’obiettivo stabilito. (14) Le illusione vanno molto oltre: i governi partecipanti hanno aumentato i loro impegni a 27,7 milioni di ettari di ripristino delle foreste per il 2020! L’iniziativa ha ottenuto sovvenzioni per 730 milioni di dollari da parte di investitori privati e 125 milioni da fondi pubblici.
La AFR100
La AFR100 – Iniziativa Africana di Ripristino del Paesaggio Forestale è nata del 2015, in un evento che ha avuto luogo a Parigi durante i negoziati per l’Accordo di Parigi sul clima. L’iniziativa è stata voluta dalla Banca Mondiale, dal Ministero di Cooperazione Economia e Sviluppo tedesco (BMZ), dalla FAO e altre agenzie. Afferma che per il 2030, in Africa, saranno “ripristinati” 100 milioni di ettari di terra deforestata e degradata. Tuttavia la maggior parte delle terre classificate come “deforestate e degradate” è utilizzata dalle comunità locali per la propria sussistenza. Ad oggi 21 paesi si sono uniti all’iniziativa impegnandosi a ripristinare 63,3 milioni di ettari di foreste. La Banca Mondiale, tramite il suo Programma di Investimenti Forestali (FIP nell’acronimo inglese), ha promesso mille milioni di dollari destina all’Iniziativa. A sostegno di AFR100, ha già sostenuto i programmi nazionali dell’IFP in Mozambico e in Costa d’Avorio. Diversi finanziatori del settore privato si sono impegnati a contribuire con 540 milioni di dollari. Anche i governi nazionali hanno lanciato iniziative per piantare alberi. Alcuni esempi sono:
– nel 2019 il governo brasiliano ha approvato un progetto per sostenere le imprese di piantagioni ad espandere, fino a 2 milioni di ettari per il 2030, le loro monocolture di alberi nel paese.(15)
– nel 2019 il governo del Mozambico ha annunciato la sua Agenda Forestale 2035, il cui obiettivo è piantare 1 milione di ettari di alberi entro il 2035. (16)
I piani delle compagnie petrolifere per ripulire la loro immagine
Anche le compagnie del petrolio e dell’energia hanno lanciato i loro programmi. Queste imprese sono preoccupate per la loro immagine commerciale dato che estraggono e raffinano petrolio, carbone o gas e, pertanto, ne facilitano l’uso massiccio come, per esempio, combustibile per il trasporto o per generare elettricità. E non sono solo interessati a piantare alberi per ripulire la propria immagine ma vedono in questa attività una nuova opportunità di fare affari.
Nel 2018, il gigante energetico anglo-olandese SHELL ha annunciato piani di “riforestazione massiccia” per presumibilmente compensare le sue crescenti emissioni di carbonio;
Nel 2019, l’impresa energetica italiana ENI ha annunciato piani simili, dichiarando che avrebbe stabilito 8,1 milioni di ettari di piantagioni di alberi in Mozambico, Tanzania, Ghana e Sudafrica per ridurre/compensare le sue emissioni di gas serra; (17)
Nel 2019, l’impresa energetica francese TOTAL ha annunciato un investimento annuale di 100 milioni di dollari in “protezione forestale”.(18)
Domande per dibattere
C’è, ad oggi, un progetto di riforestazione o restauro di foreste su vasta scala che si stia impegnando nel tuo paese/regione/provincia? Se sì, quali sono stati i suoi impatti sociali e ambientali?
Perché il governo destina così tanto denaro e sostegno alla promozione di piantagioni industriali di alberi e tanto poco alla riforestazione su piccola scala, con specie utilizzate dalle comunità locali che ne possono beneficiare?
5. – La “restaurazione delle foreste” è il titolo, ma la produzione di piantagioni industriali è la parola finale
Un articolo, pubblicato nel 2019, Nature Magazine (19) ha studiato le promesse di “riforestazione” fatte da 43 governi – che coprono un totale di 292 milioni di ettari – con riguardo alla Sfida di Bonn e ai piani nazionali. Tutti dichiarano lo stesso obiettivo: “restaurazione dei boschi”.
I risultati dello studio hanno rivelato che:
– delle superfici assegnate negli impegni “il 45% comporta l’impianto di grandi piantagioni di alberi a monocoltura come attività a scopo di lucro”. La maggior parte sono previste in grandi paesi come Brasile, Cina, Indonesia, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo;
– solo il 34% della superficie da riforestare sarà destinata alla rigenerazione naturale, che è il processo in cui gli alberi tornano a crescere a partire dai semi caduti da altri alberi circostanti. Questa, secondo lo stesso studio, è l’ “opzione più vantaggiosa e tecnicamente più facile”;
– l’ultima opzione è l’agrosilvicoltura, un sistema che combina alberi e arbusti con colture e allevamento di animali, che rappresenterebbe il 21% della superficie da ripristinare. Gli autori dello studio hanno aggiunto che l’agrosilvicoltura è già utilizzata da numerosi piccoli agricoltori in tutto il mondo, ma generalmente è su piccola scala. Tuttavia, nelle proposte di ripristino analizzate dagli autori esiste il grande rischio di utilizzare alberi esotici, soprattutto a crescita veloce e su vasta scala, di cui beneficiano i grandi agricoltori e il settore industriale di piantagioni di alberi.
Lo studio sostiene che se i piani di cui sopra fossero pienamente attuati, le piantagioni industriali di alberi nelle zone tropicali e subtropicali del mondo aumenterebbero da 157 a 237 milioni di ettari, un’area delle dimensioni di un terzo dell’Indonesia. Non c’è niente di nuovo nel fatto che i governi sostengano di attuare il “restauro delle foreste” e che in realtà promuovano semplicemente le piantagioni industriali di alberi. Per ulteriori letture, si vedano gli esempi di India, Brasile e Mozambico alla fine di questa pubblicazione.(20)Le foreste sono serbatoi di carbonio migliori delle piantagioni industriali di alberi
Numerosi studi rivelano che le foreste catturano e immagazzinano più carbonio rispetto alle piantagioni di alberi. Secondo Nature Magazine a proposito delle riferite promesse di “riforestazione”, per immagazzinare carbonio le foreste sono 40 volte migliori rispetto alle piantagioni.
L’articolo afferma: “… mediamente, le piantagioni contengono poco più carbonio rispetto al terreno dal quale è stata eliminata tutta la vegetazione al fine di stabilire le piantagioni. Questa azione rilascia sul terreno carbonio, a cui segue un rapido assorbimento da parte degli alberi a crescita rapida, come l’eucalipto e l’acacia. (…) Ma quando questi alberi vengono abbattuti e il terreno viene preparato per il reimpianto (…) il carbonio viene rilasciato nuovamente attraverso la decomposizione dei rifiuti e dei prodotti di piantagione (principalmente carta e truciolato)”.
Inoltre, a differenza delle foreste, le piantagioni industriali non apportano alcun beneficio in termini di protezione della biodiversità; sono piuttosto una fonte di inquinamento del suolo e dell’acqua a causa dei prodotti agrochimici e dei fertilizzanti chimici utilizzati. Le piantagioni industriali di alberi causano anche molti problemi alle comunità locali, dall’inquinamento all’accaparramento di terre, e generalmente forniscono pochi posti di lavoro, mal pagati e pericolosi (leggi di più su questi aspetti nel paragrafo 2: “Problemi causati dalle monocolture di alberi su vasta scala ”).
Tutti questi problemi sono molto simili a quelli delle piantagioni industriali che sono state impiantate in tutto il mondo a partire dagli anni ’90, note come “pozzi di assorbimento di carbonio” (per catturare e immagazzinare carbonio), come nel caso dell’Ecuador, dell’Uganda, della Tanzania e dell’India.(21)
Domande per dibattere
La maggior parte dei programmi che promuovono le piantagioni industriali di alberi affermano che le stesse vengono impiantate su terreni agricoli “marginali” o “degradati”. Cosa pensi che si intenda con terreno “marginale” o “degradato”?
Conosci qualche comunità che ha sperimentato le promesse, da parte di aziende o governi, di stabilire piantagioni su terreni agricoli “marginali” o “degradati”?
6. – Chi pagherà la “riforestazione” e a quali condizioni?
Nella pratica saranno i cittadini del Sud Globale, dove le piantagioni industriali di alberi si stanno espandendo, a pagare con i tributi la cosiddetta riforestazione che, per la maggior parte, consiste in piantagioni industriali di alberi su vasta scala. Inoltre non avranno alcuna partecipazione significativa sulle decisioni da prendere.
La ragione è che la maggior parte dei governi del Sud del mondo aderiscono a politiche economiche neoliberiste. La logica è quella di governare per il mercato e per i profitti del settore privato, invece di governare per il proprio popolo e fornire assistenza sanitaria e istruzione decenti e accessibili. I governi investono sempre meno nel monitoraggio ambientale delle attività commerciali e riducono i regolamenti ambientali e la loro applicazione. Nel frattempo, sempre più pratiche agricole su piccola scala sono dichiarate illegali e le piccole famiglie di agricoltori subiscono pesanti multe e sono sotto sorveglianza.
Quindi, la ragione principale per cui ci sono così tante piantagioni di alberi a monocoltura su larga scala nel Sud del mondo, è perché le aziende esigono, fanno lobby, fanno pressione e finanziano le campagne dei politici che hanno più probabilità di vincere le elezioni. Al contempo, per impiantare e gestire le piantagioni, offrono tangenti per ottenere concessioni di terreni, permessi, incentivi e sussidi dai governi nazionali. Intanto sono i comuni cittadini di questi stessi paesi a pagare il conto. Altrimenti, le compagnie di piantagioni industriali non avrebbero mai realizzato profitti così astronomici.
I cittadini uruguaiani pagano un grosso debito per un’altra fabbrica di cellulosa
In Uruguay, l’industria della cellulosa è uno dei principali agenti dell’espansione delle piantagioni di alberi a monocoltura. Sia le piantagioni che le fabbriche di cellulosa sono sovvenzionate dallo Stato. Come condizione per installare il suo secondo complesso industriale per la produzione di cellulosa nel piccolo paese latinoamericano, il gigante finlandese UPM ha chiesto al governo uruguaiano di costruire una nuova ferrovia che colleghi il sito dove UPM progetta di collocare la sua fabbrica con il porto da cui esporterebbe la cellulosa, a circa 300 km di distanza. Il progetto ferroviario multimiliardario trasformerà gli uruguaiani in debitori, poiché dovranno ripagare il debito acquisito dal governo. Come spesso accade, il costo di questa infrastruttura di trasporto sarà più del doppio della stima iniziale fatta dal governo.(23)
Se i piani per la piantagione di alberi e per il “restauro” si riveleranno più che vuote promesse e saranno attuati, quello che ci aspetta è una massiccia espansione delle piantagioni. Questa espansione sarà di nuovo sostenuta da grandi flussi di denaro pubblico dalle banche di sviluppo nazionali e internazionali, da altri incentivi e condizioni agevolate. I finanziatori esistenti potrebbero includere nuove parti interessate che non hanno investito precedentemente in piantagioni industriali.
Denaro fresco per le piantagioni
Mentre in passato la principale fonte di finanziamento per le aziende di piantagione di alberi era il denaro pubblico elargito da banche di sviluppo nazionali e internazionali, oggi questo scenario è cambiato. È vero che questi fondi sono ancora importanti per l’avvio delle attività. La Banca Mondiale, per esempio, finanzia i governi per realizzare l’Iniziativa Africana di Ripristino del paesaggio forestale (AFR100). Ma altri investitori provenienti dal settore del capitale finanziario, come i fondi pensione e altri fondi d’investimento, sono diventati sempre più importanti come finanziatori per l’espansione delle piantagioni.
Una delle ragioni per cui questi investitori sono interessati ai progetti di espansione delle piantagioni di alberi è che, dopo la crisi economico-finanziaria del 2008, la terra è considerata uno degli investimenti più sicuri. Questi investitori fanno pressione sui governi nazionali per ottenere accordi sempre più favorevoli alle compagnie di piantagione.
C’è anche una tendenza crescente che vede i nuovi finanziatori diventare proprietari di piantagioni, in un cosiddetto modello “win win” con le imprese di piantagione. Attualmente in Brasile, per esempio, i fondi d’investimento, molti dei quali provenienti dal Nord Globale, possiedono già delle piantagioni. Secondo i contratti firmati con le compagnie di piantagione, 800.000 ettari di piantagioni industriali sono di proprietà di questi fondi di investimento, che poi ricevono una parte dei profitti realizzati dalle compagnie di piantagione.(24)
Domande per dibattere
Quali sono i temi importanti che si devono verificare per capire come il governo del tuo paese appoggia o finanzia le imprese di piantagioni di alberi?
In che modo ciò accade? Il grande pubblico lo sa?
Come credi si possa accedere a questo tipo di informazione e diffonderla?
(2. Continua)
Tratto da:
¿Qué hay de malo en plantar árboles? El nuevo impulso para expandir las plantaciones industriales de árboles en el Sur Global
Winfridus Overbeek, con la colaboración del equipo del Secretariado Internacional del WRM.
Movimiento Mundial por los Bosques Tropicales, Febrero 2020 – 33 pp.
NOTE :
8 Per saperne di più: WRN, 2017 “Cosa hanno a che vedere le foreste con il cambiamento climatico, i mercati di carbonio e il REDD+? Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=11643
9 Per maggiori informazioni sulla fotosintesi: WRM, 2017. “Cosa hanno a che vedere le foreste con il cambiamento climatico, i mercati di carbonio e il REDD+? Capitolo 2 pagina 14. Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=11643
10 Per una migliore comprensione sul perché una piantagione destinata alla riduzione di carbonio, spesso denominata progetto REDD+, è un falsa soluzione al cambio climatico, invitiamo a visitare la pagina web del WRM (https://wrm.org.uy/es) e leggere l’opuscolo 10 allerta sul REDD per le comunità (disponibile su https://wrm.org.uy/es/?p=1433 ). Raccomandiamo anche la nostra pubblicazione “Che hanno a che vedere le foreste con il cambiamento climatico, i mercati di carbonio e il REED+ , accompagnato da poster interattivi sul REDD (disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=11643 )
11 Ripristinare le foreste naturali è il modo migliore per rimuovere il carbonio atmosferico. Nature, 2 aprile 2019. Disponibile (in inglese) su: https://is.gd/ug7tGx
12 Per una lettura complementare sui piani regionali/internazionali per la riforestazione, si può leggere il Boletin 221 del WRM, L’accordo di Parigi, aggravando la violazione dei diritti dei popoli e dei territori, 2016. Contiene articoli con maggiori dettagli sulla Sfida di Bonn e sulle iniziative 20×20 e AFR100. Disponibile su: https://wrm.org.uy/en/bulletins/nro-221/
13 Per comprendere meglio il significato di “agricoltura climaticamente intelligente” leggere l’articolo “L’agricoltura intelligente delle imprese”, Boletin 219 del WRM, 2015. Disponibile su https://wrm.org.uy/es/?p=9158
14 Pagina web dell’Iniziativa 20×20. Disponibile in inglese su: https://initiative20x20.org/
15 Il Ministero dell’Agricoltura approva il Piano Nazione di Foreste Piantate per rafforzare il settore in Brasile. Documento del 6 luglio 2019. Disponibile in portoghese su: https://odocumento.com.br/?p=37664
16 Mozambico: la minaccia di “compensazione” e la perdita di biodiversità. Boletin WRM 243, 2019. Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=17539
17 Le ONG si oppongono alle Soluzione Naturali per il Clima dell’industria petrolifera e chiedono a Eni e Shell di affossare i combustibili fossili. Disponibile in inglese su: https://wrm.org.uy/?p=20222
18 Total investe nelle foreste. BFM Business. 7 luglio 2019. Disponibile in francese su: https://is.gd/VahyW7
19 Ripristinare le foreste naturali è il modo migliore per rimuovere il carbonio atmosferico. Nature, 2 aprile 2019. Disponibile in inglese su https://is.gd/ug7tGx
20 “Ripristino delle foreste”. Gli esempi di Brasile, India e Mozambico.
1) Nel 2004, il Consiglio Forestale Nazionale creato dal governo brasiliano, ha lanciato il “Piano Forestale Nazionale” del Brasile. Come suggerisce il nome, si tratta di un piano con politiche per conservare e proteggere le foreste del Brasile in un periodo in cui i tassi di deforestazione sono estremamente alti in Amazzonia. In pratica, però, ciò che il governo brasiliano sta facendo secondo questo Piano è promuovere l’espansione delle piantagioni industriali di alberi nel paese, aggiungendo altri 2 milioni di ettari alla superficie già esistente di 5 milioni di ettari, includendo un enorme sostegno finanziario alle grandi imprese di piantagione, fornito dallo stato attraverso la Banca Nazionale di Sviluppo del paese (BNDES). [Overbeek W, Kröger M, Gerber J-F. 2012. Una panoramica delle piantagioni industriali di alberi nei paesi del Sud. Conflitti, tendenze e lotte di resistenza. EJOLT Report No. 3, 100 p. Disponibile su https://wrm.org.uy/es/?p=1463 ]
2) Un altro esempio è l’India, dove la Legge sul Fondo Compensativo per la Forestazione del 2016 prometteva di compensare la perdita di foreste dovuta ad attività distruttive. In pratica però è diventato un meccanismo che promuove le piantagioni di monocoltura mentre ripulisce l’immagine delle imprese responsabili delle attività distruttive. La legge ha anche portato a un aumento delle piantagioni che hanno invaso le terre delle comunità. [WRM, 2019. Compensare la perdita di foreste o far progredire la distruzione delle foreste? Disponibile in inglese su: https://wrm.org.uy/?p=20622 ]
3) Nel 2019 il governo del Mozambico ha adottato la sua “Agenda Forestale 2035”. Prevede l’intenzione da parte del governo di promuovere la piantagione di un milione di ettari di alberi per il 2035. Inoltre il governo ha adottato la definizione di foresta della FAO che considera qualsiasi superficie coperta di alberi come foreste, includendo quindi le monocolture. Il governo mozambicano negli ultimi 10 anni ha promosso pesantemente gli investimenti per le piantagioni di alberi in monocoltura nella province di Niassa, Nampula e Zambezia, e continua a farlo: (WRM Boletin 243, 2019. Mozambico: la minaccia della “compensazione” per la perdita di biodiversità. Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=17539 )
21 Sul sito web del WRM (http://wrm.org.uy/es si possono leggere casi di diverse esperienze di comunità i cui territori sono stati invasi da progetti di piantagione per pozzi di carbonio: Pozzi di carbonio nelle Ande ecuadoriane, disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=2894, Un posto divertente per immagazzinare carbonio: UWA-FACE Foundation’s tree planting project in Mount Elgon National Park, Uganda, disponibile solo in inglese all’indirizzo: https://wrm.org.org.uy/?p=1778 ; Brasile: il caso Plantar – la FSC al servizio della vendita di crediti di carbonio, disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=2536 ; Tanzania: La Resistenza Comunitaria contro le monocolture di alberi, disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=17196 ; e India: foreste e piantagioni di alberi nei sistemi di compensazione del carbonio, disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=2199
22 Per esempio in Argentina, fin dal 1998, la legge nazionale 25.080 ha concesso enormi sovvenzioni a favore delle piantagioni industriali di alberi. E’ questa la principale ragione che spiega l’espansione delle piantagioni di alberi nel paese. Per ulteriori informazioni: Argentina: “seminando lotta raccogliamo terra!”. Recupero di terre a Misiones, WRM Boletin 239, 2018, disponibile all’indirizzo: https://wrm.org.uy/es/?p=16942 e Argentina: una nuova legge promuove le monocolture di alberi nella provincia di Cordoba, WRM Boletin 233, 2017, disponibile all’indirizzo: https://wrm.org.uy/es/?p=13342
23 Per ulteriori informazioni vedi l’articolo: L’Uruguay si indebita con una milionaria infrastruttura al servizio di una multinazionale della cellulosa, Boletin 244 WRM, 2019. Disponile su: https://wrm.org.uy/es/?p=17628
24 Per maggiori informazioni sul nuovo denaro alle piantagioni, leggete Argentina: Harvard difende a spada tratta le sue piantagioni di alberi a monocoltura, WRM Bulletin 202, 2014. Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=7508 . Le aziende attive in Brasile sono le seguenti: Dal Brasile: Claritas, BTG Pactual e COPA. Dagli Stati Uniti: RMS, GFP, Hancock, Campbell, Granflor (Università di Harvard), FIA, The Rohatyin Group, Brookfield e Greenwood Resources. Dall’Europa: Aquila Capital, IWC, il gruppo SLB, Forest Company e GWB Forestry. Vedi anche un articolo su Fibria e il suo partner Parkia Investments: Brazil – Accumulare più soldi per fare lo stesso: La finanziarizzazione delle monocolture di eucalipto della Fibria, WRM Boletin 213, 2015. Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=8591