«Chi sono io per giudicare?»: la…
… lezione di papa Francesco
di Giancarla Codrignani (*)
Evidentemente non sono cessati gli effetti dirompenti del referendum del 1981, in cui due terzi dell’elettorato confermò una legge dello Stato, la 194, quella che
all’articolo 1 recita: «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio» e che in tale contesto legalizza l’aborto. Evidentemente qualcuno pensa ancora che una donna vada “liberamente” dal chirurgo per incoscienza e per disprezzo della vita.
Passi per Aristotele che non sapeva che senza ovuli gli spermatozoi sono impotenti e che i cromosomi risultano sempre 23 per ognuno dei due generi e riteneva che «bisogna fissare un termine alla procreazione. Se… avviene di superarlo, prima che si generino sensibilità e vita, occorre provocare l’aborto: lecito e illecito saranno determinati in base al senso comune» («Politica» 1335 b, 19-26).
Ma oggi tutti – laici, cattolici, eventualmente musulmani – sanno che molte donne si trovano incinte senza averlo voluto e che se Dio ha affidato la vita alle donne non è stato per rendere irresponsabile l’uomo. Eppure perfino le religioni sostengono la libertà maschile anche quando è violenta, mentre negano la libertà della donna. Che, appunto, può dover ricorrere alla tutela della legge.
La Chiesa cattolica sa bene che necessarie revisioni dottrinali riguardano oggi la sessualità e i diritti della donna, temi che impegneranno il Sinodo sulla famiglia di ottobre. La diocesi bolognese non ha dato rilievo al questionario trasmesso da papa Francesco per avere in materia le informazioni dirette dei fedeli e nelle nostre parrocchie non c’è stata discussione estesa. Forse sono poco informati anche i cattolici che pregano davanti al Sant’Orsola; farebbero bene a domandarsi se sono ancora giuste ragioni del matrimonio «la riproduzione, il remedium concupiscentiae e il mutuo aiuto» e non, come innova il poco applicato Vaticano II, l’amore come principio fondante il sacramento. O a chiedersi se condividono (non giuridicamente, ma cristianamente) la sequenza «masturbazione-adulterio-prostituzione-omosessualità-stupro» per i peccati contro la castità («Nuovo Catechismo» n. 2352-2356).
I giovani che pregano il martedì (e che sono nati in un Paese in cui la tradizione cattolica limita l’educazione sessuale nelle scuole e la contraccezione) certamente sanno che, se non loro, altri amici “conoscono” le ragazze anche in senso biblico: si chiedono se sono rispettosi dei desideri femminili, se sono consapevoli delle conseguenze della mancata protezione, se sono stati educati a scelte di genitorialità paterna oltre che materna? Si chiedono chi è davvero responsabile degli aborti?
E’ un vizio maschile quello di rimuovere le responsabilità procreative e anche i pontefici se ne rivelano portatori pur quando sono caritatevoli verso le donne: Giovanni Paolo II riserva «un pensiero speciale a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. …. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. …..sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo». Appunto, dell’uomo. Ma nell’«Evangelium Vitae» (n. 99) la donna resta sola. Meglio papa Francesco, che, nell’intervista alla «Civiltà Cattolica» del settembre scorso, saggiamente conviene che «non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto».
Amici, finché l’uguaglianza nega la libertà femminile, chiedetevi tutti «chi sono io per giudicare?».
(*) pubblicato nelle pagine bolognesi del quotidiano «La repubblica», il 25 giugno 2014.