Chiedo scusa se vi parlo di Susanna
di Daniela Pia
Le hanno buttate dentro un aula, quando servivano. Loro hanno accolto quella chiamata come una liberazione dall’attesa davanti al telefono: settembre, ottobre… lavorerò, non lavorerò, chissà. Si sono fatte le ossa con bambini vivaci, difficili, intelligenti, gioiosi. Hanno ragionato con ragazzi demotivati, scoraggiati, pieni di creatività o solo annoiati. Disposte al sacrificio, a viaggiare lontano per qualche settimana, qualche mese o – nel migliore dei casi – per un quadrimestre o un anno intero, di supplenza. Uno stipendio sempre più inadeguato, rimetterci con le spese, abbandonare temporaneamente la famiglia, trasferirsi in piccole isole, tutto per il punteggio: questa addizione che avrebbe consentito loro di avere una speranza un po’ meno vana per il lavoro futuro. Le ho viste al lavoro in paesini di montagna, in borghi irraggiungibili se non con i propri mezzi inadeguati; affittare stanze nelle quali poter stare per cinque giorni e poi tornare a casa il fine settimana. Altre sceglievano levatacce all’alba, due ore di viaggio, un’ora, per essere in aula alle 8 e 20 pronte ad accogliere scolari e studenti. Precarie da una vita, donne che hanno investito nella loro istruzione, nella formazione, e che hanno dato alla scuola italiana decenni della loro professionalità. Nell’incertezza, appese a un filo di speranza chiamato “ruolo” che come un signor Godot non arrivava mai. Le politiche del ministero dell’Istruzione hanno fatto capire loro che non c’era più spazio, che erano troppe come troppi sono tutti i precari, costretti perciò a vivere una vita sempre più precaria. Usati quando erano utili e poi ingombranti: un problema. Intanto gli anni sono trascorsi: alcune di loro oggi hanno più di 50 anni e quest’anno, improvvisamente, dopo dieci-quindici di attesa, l’ ultimo treno che passava ha fatto scendere Godot: in mano aveva la cartolina «La S.V. è invitata a presentarsi all’Ufficio scolastico provinciale per procedere all’immissione in ruolo…». Gaudio e tripudio!
Personalmente ne conosco tre, signore ormai brizzolate, che hanno festeggiato con le lacrime agli occhi, incredule l’arrivo del lavoro, quello che non era preceduto dal batticuore di inizio anno. A loro oggi ne voglio aggiungere un’altra di queste mie colleghe, una maestra di 37 anni, Susanna Figus madre di due bambini. Il 23 mattina si è alzata all’alba ed è partita da Arzana, un paese della Sardegna orientale e si è messa in auto per raggiungere Villasimius. Aveva appena ottenuto il ruolo, l’attesa era finita e non era certo spaventata da quei 113 km all’andata e da altrettanti al ritorno; due ore di auto per arrivare, due per tornare. Andava bene così, adesso aveva la sua cattedra.
Pioveva l’altra mattina e la sua auto si è fermata prima di arrivare alla scuola che l’attendeva, verso quella cattedra che tanto aveva atteso. Una maestra, una donna che aveva finito di essere precaria, che poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo. Pioveva, in prossimità di San Vito e l’esistenza è tornata a essere precaria per i bambini di Susanna, per il suo compagno e per lei; l’asfalto era bagnato e la sua utilitaria si è accartocciata in uno scontro frontale. Susanna, che tanto aveva atteso il ruolo.
Siamo noi a dovere chiedere scusa a tutte le Susanne delle quali “così” s’ha da parlare, dopo, ma anche prima – inutilmente. Ciao, Susanna.
c.
bel blues, la musica mi pare di sentirla
Hai scritto cose bellissime e profondamente vere. Maria Paola Masala
una vita si è fermata, e non solo causa destino. il tessuto dei destini è, da anni e anni, nelle mani della parche sedute a roma, a dire/ordinare/commandare come si deve partecipare ai bandi, senza valorizzare le persone e il loro contributo, nè semplificare sistema educativo, farlo vivo, utile alla società… nella maleddette ex yugo, dove sono nato e dove avevo insegnato 14 anni, le scuole erano autogestite, era semplice adderire ai bandi, essere preso sul serio come insegnante.
ora, con la vita sepzzata di susanna, chi pensava che in questo paese tutti del settore dovessero fermarsi e dire basta-basta, non siamo oggetti ma le menti pensanti e i cuori vivi?
l’occhio dello straniero, in viaggio da secoli per i balcani, mi apriva delle porte di interrogativi sulla storia e sulla sincronia del mio paese.
l’occhio dello straniero amico di questo paese (che, ovviamente, non batte sul tamburo come lo fa magdi allam qto ama l’italia) vuole rivelare qto è deluso di vari silenzi del paese che potrebbe ancora riprendersi in ogni contesto sociale, politico e culturale, qto bisogno c’è di togliere il diritto agli “insostitubili” di governare anche le vite altrui… la morte di susanna dovrà diventare un monito fortissimo, che non sia stata una morte inutile, caduta nel silenzio…
e c.detti giovani candidati del pd e del sel – che ne pensano sulle riforme sostanziali del sistema educativo? ci vogliano tante morti per capire che si tratti di un sistema che ammazza anche la famiglia?
e che ne pensano quegli stranieri immigrati contenti che la lotteria della politica come mezzo di mettere anche dei soldi in tasca e prendere più di qche potere ha toccato il loro destino? diranno: non sapevamo, non capiamo, non siamo, alla fine, nati in questo paese?
Io sono la zia di Susanna…insegno anche io…tutte le “dicerie” sugli insegnanti…”3 mesi di ferie”…ma no…non fanno niente”, “sono dei privilegiati”…insomma Daniela Pia col suo articolo ha dato una eloquente risposta a tutti questi assurdi luoghi comuni…Susanna l’ha data anche lei…l’agognato anno di prova l’ha superato ….al prezzo della sua vita. CHE GRANDE PRIVILEGIATA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!