Chiesa e pena di morte
Un intervento di Giuseppe Lodoli a proposito del dossier di Claudio Giusti «La Chiesa Cattolica non è (e non è mai stata) contro la pena di morte»
Un’istituzione vecchia di 2000 anni, ampiamente collusa con il potere temporale, non poteva essere immune dalla pena di morte che è stata abolita una prima volta soltanto 230 anni fa. Però mi pare una forzatura dire che la Chiesa cattolica OGGI non sia contro la pena di morte, almeno nella pratica.
Infatti
dal 1987 in poi – cominciando con Giovanni Paolo II – la Chiesa cattolica sta lavoramdo per l’abolizione della pena di morte e per la salvezza di singoli condannati (lo fa almeno la gerarchia, i fedeli a volte sono più indietro).
Scriveva Giovanni Paolo II nell’enciclica «Evangelium Vitae» del 1995 (riporto qualcosa in più di ciò che nel suo dissier ha riportato Claudio Giusti):
«Capitolo 55 [… ] “la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile”. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell’uso della ragione.
Capitolo 56. In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte, su cui si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. Il problema va inquadrato nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio sull’uomo e sulla società. In effetti, la pena che la società infligge “ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa”. La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione dei diritti personali e sociali mediante l’imposizione al reo di una adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all’esercizio della propria libertà. In tal modo l’autorità ottiene anche lo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi.
È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti».
E anni prima Giovanni Paolo II era stato ancora più deciso con i vescovi americani.
L’attuale papa Francesco si è schierato senza mezzi termini contro la pena di morte, la tortura ecc. in un discorso molto lungo e accuratamente riferito alla situazione attuale pronunciato il 23 ottobre all’Associazione Internazionale di Diritto Penale:
«[…]
a) Circa la pena di morte [questo paragrafo andrebbe letto nel contesto di tutto il discorso, v. http://www.avvenire.it/Papa_Francesco/Discorsi/Pagine/discorso-papa-penalisti-giustizia.aspx] è impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone.
San Giovanni Paolo II <http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/index_it.htm> ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. /Evangelium vitae/ <http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25031995_evangelium-vitae_it.html>, 56), come fa anche il /Catechismo della Chiesa Cattolica/ <http://www.vatican.va/archive/ccc_it/ccc-it_index_it.html> (N. 2267).
Tuttavia può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il pianeta.
Le stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini.
Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziale e l’uso che ne fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”.
Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta. […]».
Non vorrei polemizzare ma solo articolare meglio la discussione in blog.
RICEVO DA CLAUDIO GIUSTI QUESTO COMMENTO
Nel 1969 Paolo VI abolì la pena di morte in Vaticano. Il provvedimento fu privo di qualsiasi effetto pratico ma ebbe un grande impatto morale, anche per le successive prese di posizione papali contro la pena di morte nella cattolicissima Spagna franchista. Paolo VI non si preoccupò di bilanciare la sua posizione fornendo anche giustificazioni alla pena capitale come invece fece il suo successore che, ad ogni affermazione abolizionista, ne unì una di senso opposto: come le imbarazzanti parole del cardinale Tarcisio Bertone ascoltate al congresso di Ginevra contro la pena di morte.
Ora, dopo un lungo silenzio, il nuovo papa ha ripreso il cammino abolizionista e attendiamo che i fatti seguano le affermazioni di principio e che i documenti ufficiali rispecchino le incoraggianti parole fornendo una ben più solida giustificazione all’abolizionismo cattolico ufficiale.
Intano che aspettiamo ingannerò il tempo con qualche riflessione sulla pena di morte e su quanto rimane del movimento abolizionista italiano che, dalla morte di Bobbio, non è stato più in grado di produrre qualcosa di interessante.
La pena di morte è un fatto giuridico e non è né saggio né utile mescolarla con altre violazioni dei diritti umani, in specie quando si parla di Stati Uniti: anche se la pratica del linciaggio aveva forme para-legali e sarebbe interessante discuterne.
La legittima difesa non può essere invocata come giustificazione della pena capitale, perché la difesa per essere legale deve rispondere in maniera proporzionata ad un pericolo concreto e attuale (clear and present danger) e questo non può accadere quando sparate alla testa di qualcuno che ha le mani legate dietro la schiena.