Ci manca(va) un Venerdì – 29
Divagando fra Aristotele e il diavoletto cartesiano, fra nichilisti e Chuck Palahniuk… oggi Jorge Luis Borges illustra il pensiero dell’«Astrofilosofo» Fabrizio Melodia. O forse è il contrario.
«La realtà è ciò che la maggioranza percepisce come realtà» ebbe modo di affermare lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, considerato a ragione come uno dei maestri del fantastico moderno.
Eppure la sua affermazione ha ben poco del fantastico, della fantasia, se non in misura delle immagini che si formano alla percezione umana, alla capacità dell’uomo di percepire la realtà “come essa è” e non “come vorrebbe che fosse”.
Si sono spesi fiumi d’inchiostro per determinare con assoluta certezza cosa la mente umana può conoscere e soprattutto come (in che grado di garanzia). Si può affermare che l’oggetto stesso della filosofia è la riflessione sul metodo e sulla conoscenza in se stessa: non tanto i risultati, quanto il come raggiungere la sapienza.
In realtà, la percezione è sempre stata alquanto sopravvalutata, anche se Aristotele stesso la definiva l’unica base possibile di una conoscenza certa, mentre il suo maestro Platone ben sapeva quanto solo nel dialogo e nel ragionamento si potesse arrivare a sviluppare una conoscenza concettuale che permettesse di spiegare come mai l’occhio umano s’ingannasse.
Il diavoletto cartesiano ben sapeva quanto il pensiero potesse essere nella natura umana medesima, forse costruita abilmente da non si sa bene quale artigiano in vena di giocare con la conoscenza e la tecnica, determinando l’essere umano in quanto “macchina” e non in quanto “entità”.
Tale fiducia nell’esistenza delle cose ha determinato molti fraintendimenti, compresa la fede nella tecnica nonché la nascita del nichilismo, ovvero quella corrente del pensiero, fondamentale per l’Occidente, per la quale le cose nascono dal nulla e finiscono nel nulla.
La domanda alla base dello scritto «Essere e tempo» di Martin Heidegger appare dunque fondamentale: «Perchè l’essere e non il nulla?».
Da una parte la convinzione logica che sia tutta una finzione, operata non si sa bene da quale meccanismo o entità non biologica; dall’altra l’assoluta necessità di stabilire un motivo per cui questa realtà è come si presenta e in che misura possiamo conoscerla.
L’impossibilità di determinare entrambe le strade con certezza porta spesso allo scacco della filosofia e alla conseguente considerazione riguardo al naufragio della Ragione, un “fiasco” della Società Culturale a favore della Società del Profitto, dove Denaro e Materialità sono vissuti in un discorso edonistico senza precedenti, escludendo completamente un percorso sociale, politico e culturale verso la conoscenza.
Tale condizione storica porta sempre più a creare una società dei pochi rispetto a quella dei molti: un’oligarchia di benestanti che sfruttano i molti per il proprio benessere materiale. Nessun percorso filosofico e la realtà viene vissuta in tutta la sua illusione di permanenza stabile e di reificazione di massa.
Tale atteggiamento provoca notevoli difficoltà di sopravvivenza (comprese alienazioni mentali) negli sfruttati in quanto esclusi dal branco dominante.
«Ognuno fluttua nelle proprie allucinazioni e fantasie dimenticando la dura realtà. […] Identificando la realtà con il lavoro, ci si può liberare dalla famiglia. Ma io lo so. La vera realtà non esiste. È tutta una illusione senza senso» scrive il giapponese Tatsuiko Takimoto, autore del bellissimo romanzo «Welcome to the NHK» (del 2002, edito in Italia da Jpop nel 2011, con traduzione italiana di Daniela Guarino) avente come soggetto le riflessioni di uno “hikikomori” di nome Tatsuhiro Satō. Dal libro sono stati tratti un manga e una serie televisiva anime.
Hikikomori sono le persone che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura: a esempio la particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva protettività materna e/o le grandi pressioni della società verso auto-realizzazione e successo personale cui l’individuo viene sottoposto fin dall’adolescenza.
O più semplicemente Hikikomori sono coloro che hanno rilevato il massimo grado d’inconsistenza della realtà e, non potendo sopportarlo, si isolano in una forma nuova di ascetismo, che in Giappone arriva a livelli preoccupanti, tali da indirizzare il governo nipponico a considerarli come disturbi psichici. In sostanza, queste persone rifiutano di trasformarsi in oggetti loro stessi, rivestendo l’oggettualità di caratteristiche antropomorfe e di emozioni che non sono proprie.
«Ecco cosa facciamo noi esseri umani: ci trasformiamo in oggetti. Trasformiamo gli oggetti in noi stessi» scrive Chuck Palahniuk.
La riflessione di Jorge Luis Borges allora diventa un monito a non considerare tutto come reale per smontarlo nella finzione e ricondurlo alla giusta dimensione, per sfuggire a una gabbia dura, fatta di lavoro, consumismo e informatizzazione.