Ci manca(va) un Venerdì – 37
Delega, democrazia diretta, populismi e smartphone: fra Casaleggio e Ginsborg ecco le considerazioni di Fabrizio Melodia, ovvero l’astrofilosofo
«La democrazia diretta, resa possibile dalla Rete, non è relativa soltanto alle consultazioni popolari, ma a una nuova centralità del cittadino nella società. Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno. La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato. È una rivoluzione prima culturale che tecnologica, per questo, spesso, non viene capita o viene banalizzata» afferma Gianroberto Casaleggio, socio fondatore e presidente della Casaleggio Associati s.r.l, società informatica ed editoriale che si occupa di consulenze in materia di strategie di rete e cura il blog di Beppe Grillo, con il quale è fondatore del Movimento 5 Stelle (M5S).
La considerazione, a prima vista paradossale, è tutt’altro che campata in aria, stando a quanto le attuali elezioni amministrative, inclusa Venezia, hanno portato alla luce.
La virtualità sembra abbattere le porte e la partecipazione delle persone ai cambiamenti e alla politica attiva appare un dato di fatto. Scontri e dibattiti in rete si sprecano, spesso le piattaforme di Facebook e Twitter sembrano tribune politiche o stadi di calcio con attacchi e ritirate spesso fondate su informazioni errate o, ancor peggio, inventate di sana pianta, messe in giro da abili “troll”.
La democrazia rappresentativa è al capolinea? Lo auspicava Simone Weil: «Il fine di un partito politico è cosa vaga e irreale. Se fosse reale, esigerebbe un enorme sforzo d’attenzione, in quanto una concezione del bene pubblico non è cosa facile da elaborare. L’esistenza del partito è palpabile, evidente, e non esige alcuno sforzo per essere riconosciuta. È inevitabile così che in realtà il partito sia esso stesso il proprio fine» ebbe modo di scrivere nel suo «Manifesto per l’abolizione dei partiti politici».
Al di là delle teorie, la tecnologia può davvero risolvere tutti i mali concreti dalla corruzione ai disastri ambientali, alla burocrazia, alla mafia, al buco di bilancio, alla disoccupazione, alla recessione, all’immigrazione selvaggia e quanto altro.
Basterà che tutti siano dotati di uno smartphone e traslati nel parlamento virtuale, dove finalmente si potrà dire la propria idea e votare direttamente?
Prendendo il via da forme di partecipazione diretta, come quella ateniese, evolutasi nella democrazia rappresentativa partitica, ecco che la parabola si ripiega su se stessa, dirigendosi a terra sotto l’influsso della gravità tecnologica… Grazie a Internet si potranno (o potrebbero?) risparmiare montagne di denaro da destinare a scuola, sanità e lavoro (o agli F35?) semplicemente abolendo i partiti e riunendo il popolo 4-5 volte al mese nel Parlamento virtuale. Partecipazione obbligatoria? Con il corrispettivo gettone di presenza pari a una giornata di lavoro? Non si potranno accampare scuse, verrà inviato il medico fiscale per controlli a campione, gli assenti riceveranno pesanti sanzioni.
Che altro? Si eleggeranno i magistrati e i processi si terranno pubblicamente, anche in diretta tv. Ma il verdetto sarà dei giudici o del pubblico?
Ben afferma lo storico Paul Ginsborg: «La democrazia ha molti nemici in attesa fra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt’altro – populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c’è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea».