Ci manca(va) un Venerdì – 4

Lucrezio risponde a Montaigne? Son già quattro settimane che l’astrofilosofo Fabrizio Melodia risponde alle sollecitazioni e/o alle provocazioni (*)   

Questa settimana trovate – a 50 centesimi con «Il sole24ore» – in edicola «Dizionario della saggezza (brani scelti)» un librettino del filosofo Michel De Montaigne,

uno dei pochi filosofi che ben merita tale titolo essendo persona che affrontava la vita invece di nascondersi in ragionamenti avulsi.

Diciassettesimo della serie «Gli indispensabili», il librettino (ma perché manca il nome del traduttore?) inizia così: «Cicerone dice che filosofare non è altro che prepararsi alla morte». E finisce così: «… a onore della devozione dei nostri re che non avendo potuto quello che volevano abbiano fatto finta di volere quello che potevano».

Grande uomo, Montaigne: si ritirò nel suo castello per riuscire a ritrovare la serenità e la voglia di vivere dopo i terribili lutti personali, fra i quali la morte prematura di Etienne de la Boetie, suo grande amico, seguita poi dalla morte del suo amato padre e da quella delle figlie (di sei ne sopravvisse una).
Dal 1570, ritiratosi nelle sue terre, si dedicò agli studi e alla riflessione su quanto accadeva intorno a lui. Ammiratore di Virgilio e di Cicerone, come si conviene a un umanista scelse l’uomo, e se stesso in particolare, come oggetto di studio nella sua opera principale – «Saggi» – cui lavora a partire dal 1571. Commentando i classici, come Plutarco, Seneca e Lucrezio, analizzò la condizione umana e la quotidianità, con una rara capacità d’introspezione libera da pregiudizi. Il suo progetto era quello di togliere le maschere e gli artifici per rivelare il vero sé.

Vorrei rispondergli con il suo amato Lucrezio, il quale nel «De rerum natura» (versi 262-264) scrisse più o meno così:
«Haud igitur penitus pereunt quaecumque videntur,
quando alit ex alio reficit natura nec ullam
rem gigni patitur nisi morte adiuta aliena».

Tradotto sarebbe più o meno:
«Dunque ogni cosa visibile non perisce del tutto,
poiché una cosa dall’altra la natura ricrea,
e non lascia che alcuna ne nasca se non dalla morte di un’altra».

La vita e la morte sono uno scambio reciproco; spesso ciò che rappresentiamo come ingiustizia in realtà è solo il lento procedere delle cose meccanicamente causato, ma non preordinato.

Filosofare dunque non è solo prepararsi alla morte ma alla serena comprensione dei meccanismi ineluttabili che presiedono alla sua regolazione.

Gli atomi si aggregano quando si nasce e si disgregano quando si muore ma non si distruggono. Continuano ad aggregarsi.

In questo dunque sta la serena accettazione, e i re possono dormire quasi sogni tranquilli, confortati dall’idea che il male che non hanno potuto fare in questa vita, probabilmente potranno farlo nell’altra.

L’importante è sempre essere consapevoli: «Anche sul trono più alto del mondo, si sta seduti sul proprio culo». E se lo dice Montaigne…

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *