Ci manca(va) un venerdì – 48
Sul fraseggio Pirandello, Gide e Jung… e destreggiandosi nell’abuso di maiuscole… l’astrofilosofo (alias Fabrizio Melodia) prova a vedere cosa c’è sotto le maschere
«Ah, no! Volti la pagina, signora! Se lei volta la pagina, vi legge che non c’è più pazzo al mondo di chi crede d’aver ragione»: così Luigi Pirandello, noto per il suo sistematico disvelamento delle maschere che coprono pietose le nostre intime meschinità, l’ipocrisia e il mal costume (celato sotto l’onnipresente buonismo e perbenismo dell’italica gente, ma non solo).
La denuncia di Pirandello evidenzia un sentimento che lui definiva “del contrario”: di fronte all’incredibile falsità di ogni sistema o scienza umana, rendere chiaro quanto ogni aspetto della vita sociale sia schematizzato e irrigidito da regole imposte… imposte certamente dall’alto ma da chi … tanto bene non si sa.
La Ragione era un tempo appannaggio di pochi (fra i migliori?) poi sempre più democratica e aperta a tutti, luce nelle tenebre della superstizione e della natura ostile (e/o incompresa?) alla fine però diventa appannaggio anche di strani fanatismi – di cui ancora non si comprende la portata – eppure continua a rivestire un ruolo fondamentale nella determinazione della Verità; se è ancora possibile osare di scrivere questa parola con la maiuscola.
Tale «Verità», come ben si comprende proprio da Pirandello, è correttamente cercata nella pratica del disvelamento (in greco antico, verità si traduce con “aletheia”, ovvero «ciò che è privo di nascondimento»): nella sua evoluzione essa si è sempre più identificata con la Verità Rivelata, fino alla Verità Oggettiva della scienza o presunta tale. In tal senso, ai giorni nostri, assistiamo a un modo molto superficiale di vivere la Verità, più o meno a tempo di spot, dove la “verità” di un prodotto viene sbandierata come la panacea di tutti i mali: la capacità d’attenzione e il Ragionamento – che della Ragione dovrebbe essere la pratica vitale – trova in queste frazioni una fine davvero brutta.
Si ascolta poco e si ragiona sempre meno, adattandosi agli spezzoni di news, fino a diventare fanatici della fede nella “Ragione” dei tg, dei Seggi Papali (maiuscoliamo a più non posso… per l’appunto), dei Talk Show e, ancora peggio, del nostro piccolo mondo, privo di ogni confronto e di costruttive discussioni.
Sempre più soli e senza stimoli, si diventa paurosi, ignoranti e cattivi, sino a sfociare nella difesa di “idee” provenienti – più che altro “martellate”, ripetute all’infinito – dall’esterno di cui si percepiscono solo ombre indistinte.
Si veda con quanta accorata potenza e presunta competenza si arriva a difendere la ragione di questa o quella squadra di calcio, ma anche ad ammazzarsi per un parcheggio o per acquistare l’ultimo modello di Sunlaxy S-qualcosa … accade persino (a volte) quando in casa non si arriva facilmente a mettere insieme il pranzo con la cena.
Alla luce di questa “Verità”, priva di ogni nascondimento, la gente si arrocca nella torre da loro stessi costruita, un atteggiamento dettato dalla parte peggiore di noi, la paura. In tal caso – aveva ben ragione il buon Andrè Gide – quando affermava: «Bisogna lasciare la ragione agli altri perché questo li consola del non avere altro». E si sa che Bertolt Brecht provocatoriamente invitò «a sedersi dalla parte del torto»… visto che «tutti gli altri posti erano già occupati»
La povertà totale della Ragione trascina alla rovina, quando è solo fanatismo, chiusura nei propri schemi e generatrice di violenza per autoaffermarsi: ecco che ogni organizzazione civile viene a mancare, schiacciata nelle paure e nelle necessità fasulle così che l’umanità rimane divisa, diffidente e bellicosa, pronta a tutto pur di difendere quel poco d’inutile che ha e che costituisce il “senso” di una vita fasulla.
In questa confusione – creata ad arte da chi sicuramente ha ben chiaro cosa vuole davvero nella vita, arroccarsi nel potere – una via verso la salvezza si potrebbe cercare in questa affermazione dello psicologo Carl Gustav Jung: «Il nostro atteggiamento razionalistico ci porta a credere di poter operare meraviglie con organizzazioni internazionali, legislazioni e altri sistemi ben congegnati. Ma in realtà solo un cambiamento dell’atteggiamento individuale potrà portare con sé un rinnovamento dello spirito delle nazioni. Tutto comincia con l’individuo».