Ci manca(va) un venerdì – 71
Imperando il calcio, Fabrizio Melodia – astrofilosofo nonché allenatore abusivo – si mostra assai indeciso: a centrocampo meglio Sun Tzu o Machiavelli?
Probabilmente conoscete Sun Tzu, autore del famoso «L’arte della guerra», citato spesso a sproposito quasi come Von Clausewitz. Ma forse non sapete che Mark Perryman – in «Pensieri nel pallone: Philosophy Football»: Bompiani 1998, traduzione di Alberto Cristofori – schiera proprio Sun Tzu numero 8, dunque centrocampista in una “squadra ideale”. Ecco gli altri: Albert Camus portiere, Simone de Beavoir e Jean Baudrillard terzini, stopper Friedrich Nietzsche, Ludwig Wittgenstein libero, regista William Shakespeare, alle ali Oscar Wilde e Bob Marley, Antonio Gramsci interno sinistro e Umberto Eco centravanti. Per oggi non approfondiamo la questione di un terzino donna ma solo accenno che, con tutta la stima per Simone de Beauvoir, in una squadra d’attacco io vedrei meglio l’anarchica Anna Kuliscioff, “motivatrice” ottima: «Mi auguro, per il trionfo della causa del mio sesso, solo un po’ più di solidarietà fra le donne. Allora forse si avvererà la profezia del più grande scrittore del nostro secolo – Victor Hugo – che presagì alla donna quello che Gladstone presagì all’operaio: che cioè il secolo XX sarà il secolo della donna».
Fermiamoci invece un attimo sul concetto d’onore – quello che veniva definito il “Wu” – connesso necessariamente alla capacità di giocare lealmente ma conoscendo e prevedendo le mosse dell’avversario. In tal senso, è la stessa filosofia degli scacchi: un gioco estremamente violento, dove solo il più lungimirante rimane in piedi. Ma forse Perryman avrebbe dovuto mettere Niccolò Machiavelli al posto di Sun Tsu; sentite qua: «Camminando gli uomini quasi sempre per vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con delle imitazioni , né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiungere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare; acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore: e fare come gli arcieri prudenti, a quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiungere con la loro freccia a tanta altezza, ma per poter con l’aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro». In sostanza, oltre a designare un gioco prudente, attento, accorto, con strategie ben disegnate, il celebre Niccolò sembra interpretare bene il ruolo di centrocampista e appare perfetto per le punizioni, soprattutto a foglia morta… ma lui magari l’avrebbe chiamata “a freccia morta”.
Resta un quesito millenario: giocare sempre all’attacco è la giusta filosofia? «E’ un po’ come nel calcio / E’ la dura legge del goal / gli altri fanno un bel gioco però / se non hai difesa / gli altri segnano / e poi vincono / Loro stanno chiusi ma / alla prima opportunità / s’alzan subito e la buttano dentro a noi»: così il cantautore pavense Max Pezzali, mettendo in luce fra l’altro che la metafora calcistica sia quanto di più wittgensteiniano possa esserci.
Resta un altro dubbio di fondo: se nel calcio oggi giocato esista un’etica profonda contro i grandi club che la fanno da padrone in virtù delle ricchezze. Ancora spazio a Pezzali: «E’ la dura legge del goal / gli altri segneranno però / che spettacolo quando giochiamo noi, non molliamo mai / loro stanno chiusi ma / cosa importa chi vincerà / perchè in fondo lo squadrone siamo noi».
Soldi e imbrogli a parte, i filosofi – con le loro tattiche, dialettiche, applicazioni pratiche allo schema – però sono quanto di più calcistico ci sia. Kant sarebbe stato allenatore fenomenale, con il suo schematismo a priori che definisce in modo necessario le categorie della conoscenza; invece Hegel… ottimale per il Totocalcio.
Il calcio è un sistema chiuso ma allo stesso tempo aperto, con unità di tempo, luogo e azione in perfetta sintonia con Aristotele, il quale, nella «Poetica», descriveva così il teatro dei suoi compatrioti: «la favola deve essere compiuta e perfetta». Ma potete anche smentirmi.