“Ci stanno uccidendo”: un appello dalla Libia
care e cari, questo è un appello URGENTE…. al quale vi chiedo di aderire SUBITO e di far girare.
Se dovete ancora uscire comprate in edicola L’unità. Comunque vi riassumo io il contenuto drammatico di 8 pagine che il quotidiano dedica oggi a 250 eritrei (forse 300, il numero è incerto, pur se di alcune/i si conoscono i nomi) prigionieri in un lager libico e che ora sono deportati in due container di ferro “in condizioni inumane e degradanti per l’alta temperatura, il sovraffollamento e la mancanza d’aria”: stanno anche subendo maltrattamenti e torture, come riferiscono testimoni citati dall’Unità. Si tratta di persone, in fuga da una orribile dittatura, che sono state respinte dall’Italia (come racconta un servizio del bravissimo Gabriele Del Grande, fondatore del sito FORTRESS EUROPE) nonostante avessero avanzato la richiesta di asilo politico. Da giorni L’unità racconta, in quasi solitudine, di questa nuova tragedia.
Per salvare le loro vite – così scrive oggi L’unità in prima pagina sotto il titolo CI STANNO UCCIDENDO – il governo italiano deve muoversi IMMEDIATAMENTE; lo obbligano (o meglio lo obbligherebbero … se il nostro fosse un governo appena-appena decente) gli accordi internazionali.
Girano alcuni appelli: del Cir (consiglio italiano dei rifugiati) a Napolitano e dell’Unità appunto che chiede di inviare un msg al ministro MARONI (l’indirizzo è info@interno.it) con questo testo o uno simile: “Io (nome e cognome) sono convinto che un Paese civile non possa essere complice di un crimine contro l’umanità. Fermate il massacro dei prigionieri eritrei in Libia”
Sempre su L’unità si racconta che oggi a Francoforte gli eritrei organizzano una cerimonia in memoria di 77 persone lasciate morire al largo di Malta nell’agosto 2009; un anno dopo altri 250-300 eritrei potrebbero aggiungersi a un troppo lungo elenco, crepando in un lager di Gheddafi o nelle carceri della dittatura dove li si vuole rimpatriare (in spregio a ogni convenzione e accordo internazionale per la protezione di chi è in fuga da Paesi dove rischia la vita).
Perciò facciamo quel poco che ci è possibile fare: scriviamo, denunciamo, mobilitiamoci, dissociamoci..
AI SIGNORI DEL GOVERNO ITALIANO,
VOI CHE AVETE REALIZZATO IL FAMILY DAY NON POTETE VOLGERE LO SGUARDO DA QUESTO DRAMMA, VOI CHE AVETE FONDATO IL PARTITO DELL’AMORE SIATE AMOREVOLI.
VI SCONGIURO, SIATE CRISTIANI NEI FATTI NON A PAROLE.
ABBIATE PIETA’ PER CHI SOFFRE, NON GUARDATE AL COLORE POLITICO DI CHI SOTTOSCRIVE QUESTO APPELLO, INTERROGATE PIUTTOSTO LA VOSTRA COSCIENZA DI UOMINI LIBERI.
BUONA FORTUNA A VOI ED ALLE VOSTRE FAMIGLIE.
Carlo Enrico Leale
” Chi di noi vorrebbe vivero nel lagher di Libia?Chi di noi sarebbe disposto ad accettare i consigli degli altri, che lo invitano ad aspettare pazientemente? Il mondo, riconosce la libertà per tutti in tutti i Paesi del mondo..si voleva forse dire che è libero per tutti, MA NON PROPRIO TUTTI?……che non ci sono ghetti nè razze privilegiate, eccetto per quanto riguarda i deportati di Lbia?”
M.L.K
Non facciamoci carnefici dei nostri fratelli, si fermi il massacro.
Raffaela Antonacci
Caro Daniele, stiamo diffondendo e diffondendo la notizia. Grazie per questo post. Se non lo avessi ricevuto non ne avrei saputo nulla.
care e cari,
più che un commento un piccolo AGGIORNAMENTO. Oggi “L’unità” dedica ancora tre pagine a questa tragedia: molte le minacce e le preoccupazioni ma poche le novità. A fianco dell’articolo di cronaca c’è una intervista a Livia Turco. Mi pare che sia sconclusionata, reticente, ambigua esatamente come (a mio giudizio) è da sempre la linea del Pd su immigrazione, asilo, respingimenti e sugli infami accordi (a suo tempo infatti firmati dal cosidetto centro-sinistra) con Gheddafi. Una contraddizione palese, a mio parere, fra il coraggio del quotidiano e la viltà del Pd.
In un altro articolo di oggi “L’unità” fa sapere che ieri il ministero degli Interni è stato sommerso di mail… a tal punto che la casella di posta del Viminale è andata in tilt. Sembrerebbe una buona notizia ma FORSE la faccenda è più complicata. Io infatti ho provato molto presto a inviare il mio msg e mi è tornato indietro (sia dall’ info@interno.it che “L’unità” consigliava sia da un altro indirizzo – cioè libertaciviliimmigrazione@interno.it – che poi mi è stato passato dalle Mafalde, un attivissimo gruppo di Prato). Dicevo che FORSE la ricostruzione non è esatta (o completa) perchè, per quanto siano le mail in arrivo, una normale casella istituzionale non può crollare subito, senza azionare un qualche dispositivo di emergenza. I casi sono due: o quel servizio del ministero Interno MAI funziona (come certi numeri telefonici istituzionali sedicenti verdi cioè gratuiti e presuntamente attivi per 24 ore al giorno … quasi sempre spenti) oppure ieri si è deciso – per il tema? perchè era sabato? – di disattivarlo. Ove esistesse una terza spiegazione plausibile, GRAZIE a chi me la fornirà.
Oggi una lettrice de “L’Unità” consiglia di inviare il proprio msg a corrispondenzaviminale@interno.it e proverò subito.
Ieri ho seguito il consiglio di “Come un uomo sulla terra” e Fortress Europe; scrivere (passando dai loro siti) alla Presidenza della repubblica: capperi funziona e poco dopo mi è arrivata anche richiesta di confermare.
Naturalmente resta aperta la discussione sulla forza e l’utilità di simili appelli in queste forme ma io sono del parere di percorrere tutte le strade che restano aperte mentre lavoro (con altre/i) per costruire altre vie all’impegno civile, sociale e politico.
Dunque invito tutte/i a proseguire la mobilitazione così urgente e/o a inventare altre forme di denuncia e azione.
Il mio blog (per piccolo che sia) resta aperto.
db
PS: quando scrivevo “in quasi solitudine” intendevo dire che qualche altro giornalista (“il manifesto” anche oggi infatti o il Tg-3 per esempio) ha avuto il coraggio – o forse solo la decenza – di cercare notizie e darle, di considerare persona anche chi viene da lontano, di chiamare “assassini” quelli che tali sono.
A proposito di forme efficaci di lotta e di sensibilizzazione: ho proiettato “Come un uomo sulla Terra” in aula ai miei studenti grazie alla meritoria associazione “Bicocca per la pace”. Hanno partecipato circa 100 ragazzi/e. Se il 20% dei professori facesse lo stesso raggiungeremmo in una settimana MIGLIAIA di giovani.
ricevo e subito inserisco (db)
Dopo lunghi mesi di continui abusi, soprusi e spietate repressioni contro i circa 700 profughi eritrei incarcerati arbitrariamente e senza difesa nelle prigioni libiche, in questi giorni drammatiche notizie fatte pervenire dalla comunità eritrea in Libia, ci obbligano, ancora una volta, a denunciare con forza al mondo intero le gravissime azioni intraprese dalle autorità libiche nei confronti delle nostre sorelle e fratelli eritrei.
La decisione di deportare, dentro dei container completamente sigillati, verso il carcere di Al-Biraq, nella provincia di Sebha, un numero che varia tra i 250 e 300 rifugiati eritrei, in seguito al loro rifiuto di compilare un modulo prestampato di espatrio “volontario” preparato dall’ambasciata del regime eritreo a Tripoli, ha suscitato vasta indignazione e la condanna da parte di diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani.
Già lo scorso gennaio, le autorità libiche avevano cercato di imporre ai profughi eritrei, con l’uso della forza e del ricatto, la compilazione del sucitato modulo di identificazione e la loro schedatura fotografica. Al loro rifiuto di compilare il sudetto modulo, la polizia libica, aveva scatenato contro i profughi eritrei pesanti torturare accompagnate perfino da scariche elettriche.
Questa ennesima grave azione intrapresa da parte delle autorità libiche, ha suscitato allarme e ferma condanna degli eritrei residenti all’estero. Un’azione di rimpatrio forzato di questi profughi verso l’Eritrea, oltre a mette in serio pericolo la loro sorte, apre le porte a nuove torture e condanne di persone innocenti, costrette ad emigrare per scampare da una spietata dittattura instaurata nel paese. Di fatti, sono tutt’ora fresche nella memoria della popolazione eritrea, le brutalità che hanno subito i profughi eritrei deportati da Malta nel 2002, dalla Libia nel 2004 ed infine dall’Egitto nel 2008, che una volta scaricati all’aeroporto di Asmara, sono stati direttamente accompagnati dentro i lager del regime e fatti letteralmente scomparire.
L’Italia, ha una sua responsabilità politica, pertanto occorre che le autorità politiche e diplomatiche italiane, intervengano con la massima urgenza presso le autorità libiche, affinchè gli abusi, le torture ed i massacri indiscriminati contro i profughi eritrei, non si consumino nel silenzio sotto gli occhi del mondo intero ed in particolare sotto quelli dei loro cari genitori, in questo momento in apprensione.
La nostra associazione:
• esprime una ferma condanna delle azioni repressive attuate dalle autorità libiche;
• chiede che i profughi eritrei vengano liberati immediatamente e trovata una soluzione che possa dar loro l’opportunità al trasferimento verso altri paesi disposti ad accoglierli dignitosamente;
• si appella all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi, affinchè si impegni a trovare un’appropriata soluzione del caso;
• chiede alle forze politiche italiane, le associazioni umanitarie, le organizzazioni del lavoro e al popolo italiano ad unirsi alla nostra voce di denuncia e intraprendere azioni urgenti in difesa dei rifugiati eritrei.
Associazione di Solidarieta per la Giustizia e la Democrazia in Eritrea (A.S.G.D.E.)
Milano, 03 giugno 2010
via F. Casati, 7/9 – 20123 Milano, Italia – Indirizzo email: eridemocrat@yahoo.it
Solidarity Association for Justice and Democracy in Eritrea
Fate presto…! Fate tutto ciò che è nelle vostre possibilità…! Fate come se fra quelle 300 persone ci fossero dei vostri cari. Non guardate da un’altra parte!
Beppe Orlandi
care e cari,
altro aggiornamento. Oggi “L’unità” apre ancora (e poi dedica 6 intere pagine all’interno)con il dramma dei detenuti eritrei nei lager libici. In un sms scrivono di essere “allo stremo”: “siamo innocenti, non lasciateci morire”. Giustamente la prima pagina de “L’unità” fa notare “il silenzio pesante dei media”, anzi “L’ALTRO BAVAGLIO” cioè i quotidiani (salvo “il manifesto” e “Avvenire”) e i tg (salvo il Tg-3) censurano del tutto o minimizzano quel che sta accadendo. Non è il bavaglio del Pdl, la censura imposta, l’infame gangster che ci s/governa: sono i giornalisti che si auto-censurano o che si fanno bloccare dai loro editori, dal misto di egoismi, pregiudizi e ignoranze che è entrato a far parte del loro background, dall’ingannevole “buon senso” forcaiolo. Importante su “L’unità” di oggi un apello di Giancarlo De Cataldo e Carlo Lucarelli, intitolato “ADOTTIAMO I PROFUGHI”. La proposta è proprio questa: “Chiediamo agli scritori, ai giornalisti, ai religiosi, agli spiriti liberi (…) di fare un gesto di buona volontà. (…) che si attivino nelle procedure per la concessione del diritto d’asilo e (…) ci dichiariamo pronti ad ADOTTARE un profugo e la sua famiglia”.
Un appello forte, concreto, coraggioso. Io credo che città per cità la società civile, gli antirazzisti, gruppi già organizzati o che nascono per questa occasione devono sostenere l’appello e dichiararsi disponibili. Io credo che in Italia esistano 300 associazioni (o persone) disponibili a compiere questo minimo gesto di umanità. Possiamo farlo, dobbiamo farlo.
un’amica eritrea da molti anni in Italia(ma che non può firmarsi perchè teme rappresaglie contro la sua famiglia rimasta in Eritrea)mi manda questo msg che ieri ha spedito a Roberto Maroni.
Gentile Ministro,
sono una cittadina europea di origine eritrea. In
nome della nostra storia in comune, in nome degli ascari morti per l’Italia, La prego di salvare i 250 eritrei e somali che dalla Libia chiedono soccorso.
Se Le è possibile anche agli altri che stanno nelle
loro condizioni. Si ricordi anche che 60 milioni di oriundi italiani stanno nel mondo. Spero che Lei abbia visitato la mostra del Vittoriano
sulla emigrazione italiana.
Cordiali saluti
Ho girato e diffuso l’appello. Credo che non basti. Occorre fare in modo che della notizia si appropri la c. d. opinione pubblica, quella che di fatto sposta il consenso elettorale da una parte o dall’altra. Credo anche che una parte o l’altra possano essere interessate in qualche modo ad “appropriarsi” del problema e dal tema che va dall’abusato (ma sostanzialmente vero) “diritti umani”, a “apertura di nuovi mercati”, a “scambi culturali” e via dicendo. Quindi, chiunque di noi abbia la capacità di farlo faccia tramutare l’appello in articoli sui giornali, reportage, interviste a eritrei fuoriusciti,
“raccomandazioni” a politici più o meno buoni, che siano di destra o di sinistra va bene lo stesso. Insomma, è quello che farò io. Poi occorre che i molti eritrei che vivono in Italia si costituiscano in “forza politica” e alzino la voce. Noi possiamo aiutarli a rischiare la pelle il meno possibile.
care e cari,
sulla tragedia dei profughi eritrei (e somali) in Libia eccovi due segnalazioni di oggi.
“L’unità” intervista Laura Boldrini dell’Unhcr e registra le stronzate di Maroni che parla d’altro: nel forum delle lettere (oltre una pagina) sotto la testata “un crimine contro l’umanità” Luigi Cancrini scrive: “è davvero incredibile il silenzio di Maroni, di Frattini, di Berlusconi e del papa”. Mi permetto di aggiungere che anche gli esponenti della sinistra (ammesso che sia il nome giusto) risultano perlopiù distratti, silenziosi.
Sempre oggi ma su “il manifesto” Stefano Liberti è riuscito a intervistare uno dei 245 deportati mentre Angelo Del Boca chiede al figlio di Gheddafi di intervenire.
Il tempo incalza, la disperazione purtroppo cresce, continuiamo a impegnarci. ognuna/o faccia quel che può.
db
ricevo da un amico
A: – Ogg: LAGER LIBICI
signore/signori,
chi fa la scuola a chi? Italia a Libia oppure viceversa? I massacri dei richiedenti asilo in Libia è voluto dall’Italia e la Libia gioca il ruolo
del boia. Vi pare che questo fa onore all’Italia a livello internazionale? I due Paesi hanno stracciato i diritti sanciti dall’ONU e sono corresponsabili
di crimini contro l’umanità. VERGOGNA!
Oladejo Olawale.
MOBILITAZIONE NAZIONALE
PER LA LIBERAZIONE DEI 250 ERITREI
DEPORTATI NEL DESERTO LIBICO
8 LUGLIO
ROMA dalle 18.30 davanti all’Ambasciata Libica in Via Nomentana 365
NAPOLI dalle 19.00 in Piazza Bellini
9 LUGLIO
in tutta Italia davanti alle Prefetture
Portiamo tutti una candela davanti all’ambasciata libica e manifestiamo davanti alle Prefetture
UNA LUCE PER LA DIGNITA’
Libertà e diritto d’asilo per 250 profughi eritrei deportati nel deserto Libico
Fermiamo le violenze della polizia libica contro i migranti
Rivediamo gli accordi Italia – Libia e fermiamo la politica dei respingimenti
Da giorni gli appelli dei 250 eritrei rinchiusi nella prigione di Brak, in Libia, ed esposti ad ogni tipo di violenza e al rischio di morte stanno raggiungendo l’Italia e cercando di risvegliare le nostre coscienze. Le torture e le violazioni subite da queste persone legittimamente in fuga da guerra e persecuzione non sono un caso isolato. Che la Libia sia un paese non democratico e senza alcun rispetto dei diritti fondamentali della persona umana è una realtà che solo per convenienza e calcolo i governi europei fingono a volte di dimenticare. Quelle torture, quelle violenze, ci raccontano però, soprattutto, della disumanità e dei crimini contro la vita umana di cui i governi italiani degli ultimi anni si sono macchiati delegando alla terra di Gheddafi la gestione di migliaia di profughi, ovvero il potere e l’arbitrio assoluto su migliaia di esseri umani inermi e titolari di diritti fondamentali come quello di chiedere e ottenere asilo politico. I respingimenti definiti con crudeltà e ipocrisia da Maroni come “una grande vittoria contro l’immigrazione clandestina” sono solo l’ultimo atto di una storia di complicità e ridefinizione di equilibri politici ed economici che ha usato e continua ad usare il corpo vivo dei migranti come moneta di scambio, la vita delle persone come una merce qualunque. Tutto ciò è avvenuto e sta avvenendo ad opera del governo italiano con un cinismo e un’indifferenza degni dei periodi peggiori del Novecento europeo. Con i respingimenti verso la Libia la classe politica al potere in Italia sta dichiarando a gran voce che la vita umana non vale nulla, specie se si tratta di quella di persone considerate ormai sotto-uomini. I richiedenti asilo come tutti gli altri migranti sono stati stigmatizzati e criminalizzati da leggi come quella sul reato di immigrazione clandestina e da decenni di razzismo istituzionale che ha imbarbarito questo paese e i suoi cittadini. Restare in silenzio mentre le donne, gli uomini e i bambini respinti dall’Italia stanno morendo in Libia significa rendersi complici di questa vergogna. Salvare le centinaia di persone che stanno morendo in Libia, anche a causa delle politiche migratorie italiane, significa lottare per i diritti e le libertà di tutti, per il diritto di ognuno di noi di vivere in un paese civile.
Agenzia Habesha
Amnesty International
Come un uomo sulla terra
Fortress Europe
Melting Pot
Stalker – Primavera Romana
Welcome! Indietro non si torna
per info e adesioni
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com
http://fortresseurope.blogspot.com
per organizzare e segnalare le vostre iniziative: gabriele_delgrande@yahoo.it e comeunuomosullaterra@zalab.org
per info sulle manifestazioni del 9 luglio
http://www.meltingpot.org/
care e cari,
ecco gli aggiornamenti di oggi.
La notizia più importante è quella (qui sopra) della mobilitazione di domani (Roma e Napoli) e poi del 9 davanti alle prefetture (ovunque si potrà).
Oggi “L’unità” dedica ancora 3 pagine alla “vergogna libica”: raccontando che il Consiglio d’Europa chiede conto all’Italia, che cresce la protesta e con un pezzo di Andrea Segre (uno dei tre registi di “Come un uomo sulla terra”, film che sarebbe opportuno rilanciare in questi giorni; è uscito anche in un libro-dvd).
Su “il manifesto” si urla in prima pagina “LA NOSTRA AFRICA” e si ricorda che se davvero Maroni (o chi per lui) vuole avere i nomi dei rifugiati beh l’elenco completo è nelle mani di Stefano Liberti (giornalista de “il manifesto”) che è disposto a renderli pubblici ma a certe condizioni perchè, è ovvio, quell’elenco NON deve finire nelle mani del boia di Asmara, cioè della dittatura eritrea. Scrive Liberti: “L’unica cos giusta da fare ora è andare a prendere i 205 ragazzi in fondo all’inferno e portarli in Italia”.
Tristi (ma purtroppo non sorprendenti) il silenzio e/o la minimizzazione degli altri giornalisti italiani e di molti politici anche della (cosiddetta, a mio avviso) opposizione. Ieri su il “Corriere della sera” ha scritto un pezzo Massimo Alberizzi; non un brutto articolo ma colpisce al cuore la scelta di impaginazione, cioè di gerarchia delle notizie: nella stessa pagina il “Cor-sera” ha scelto di dare spazio all’allarme fasullo cioè campeggia Maroni a dire che è Malpensa, “la nuova frontiera della emergenza clandestini”; poi di lato, più piccolo, il pezzo di Alberizzi.
La parola coscienza su alcuni vocabolari si trova fra coscia e cosciotto; la parola giustizia invece è pressata sopra da giustificazionismo e sotto da giustiziere.
l’autrice (Cristiana Fiamingo) mi chiede di inserire questo suo msg nel mio blog e lo faccio con grande piacere.
Andrea Segre prima e Daniele Barbieri ora han portato alla mia attenzione una situazione sulla quale non si può soprassedere. Io ho reagito così, come avevo fatto per Africom (vedete http://conoscereperdecidere.weebly.com)
diffuso, chissà perchè, solo dalla stampa “alternativa” on-line.
Rinunciando alle testate, dunque, credo che si debba reagire. Se condividete lo spirito della lettera, vi esorto a sostituire le parti personali e ad adottarla come modello per fare pressione. Ho inviato il testo ai colleghi e spero che mi imiteranno.
Un paio di giorni fa l’Unità ha dedicato ampio spazio alla questione e dettagli sulla campagna li trovate su http://www.redattoresociale.it/
Gli indirizzi e-mail sono ampiamente testati dalla sottoscritta
Un saluto caro
Cristiana Fiamingo
Subject: Eritrei prigionieri in Libia
Lettera inviata al Presidente della Repubblica
(https://servizi.quirinale.it/webmail/)
al Ministero degli Interni (info@interno.it)
al Ministero degli Esteri(segreteria.frattini@esteri.it
Egregio Presidente della Repubblica On. Napolitano, On. Ministro Maroni, On. Ministro Frattini,
come docente di Storia e Istituzioni dell’Africa sono afflitta in modo crescente dalle posizioni assunte dalla politica estera e da quella interna del mio Paese nei confronti di un Continente e dei suoi figli
verso i quali tanto debito abbiamo accumulato. Le sconfitte del passato e l’oblio collettivo verso il capitolo coloniale della nostra storia comune non han certo pareggiato i conti coi vantaggi di prestigio e profitto che l’Italia accumula e che continuano a
richiedere un prezzo altissimo, ancora e sempre, a chi in quel Continente vive.
Il nostro è un Paese che definendosi “civile” tratta con Gheddafi, tenta di conferirgli lauree honoris causa, stipula contratti miliardari, legittimando una leadership indifendibile e facendosi, di fatto, collaborazionista di sistematiche lesioni dei diritti umani.
Infatti, forniamo anche alla Libia (così come al Niger, ultimamente e ad altri Stati) – in nome della sicurezza dell’Europa – i mezzi per accanirsi su quanti cercano di ottenere una vita migliore, anziché
selezionare le leadership con cui trattare, mettendo al primo posto, quale discriminante, il rispetto per i diritti dei cittadini di quei Paesi e investire gli stessi sforzi e denaro in politiche economiche e
pratiche della formazione e dell’aggiornamento professionale che potrebbero emancipare la fasce più deboli di quelle popolazioni.
La campagna che si sta portando avanti anche sul sito Fortress Europe e il documentario “Come un uomo sulla terra” di Segre che denunciano da anni quanto sta avvenendo in Libia con il cosciente e consapevole aiuto dell’Italia, e i danni, poi, inferti
sistematicamente al popolo eritreo, non lasciano nessuno assolto e ci chiama responsabili di un eccidio lento, costante, inesorabile
nonostante l’attitudine solidale di una vasta parte della Cittadinanza Italiana, purtroppo solo in minima parte consapevole.
Quale Cittadina Italiana, Vi prego di dare segni forti al Governo della Libia dell’opposizione di questo Paese alle torture inferte ai cittadini eritrei, di negoziare per ottenere il loro rilascio e di farVi garanti della loro sicurezza facendo approdare i prigionieri in un luogo sicuro, possibilmente in una struttura “accogliente” nel
nostro Paese assicurando loro la dignità cui aspirano e cui hanno diritto.
Sperando nel Vostro senso di responsabilità
Cristiana Fiamingo
Università degli Studi Milano
cristiana.fiamingo@unimi.it
SIT-IN a Napoli domani
(ricevo da SARA)Cerchiamo di organizzarci e di partecipare tutte/i. L’iniziativa si tiene tra giovedi e venerdi in una quindicina di città italiane, oltre che a Roma sotto la sede dell’ambasciata libica e sotto palazzo Chigi. E’ importante: questa gente sta rischiando la morte in Libia o nel rimpatrio in Eritrea dopo aver subito “i respingimenti collettivi” della marina militare italiana. Il carcere di Misratah in cui i profughi si sono ribellati dopo la detenzione di un anno è stato costruito con soldi italiani… Almeno il livello della denuncia è fondamentale.
L’UMANITA’ NON E’ UNA MERCE
Giovedi 8 luglio dalle ore 19 in piazza Bellini:
SIT-IN
in contemporanea con altre analoghe iniziative promosse in tutta Italia
per il diritto d’asilo dei rifugiati eritrei respinti dall’Italia e segregati nella prigione di Brak (Libia)
Intervengono di persona o in diretta streaming:
RIFUGIATI IN CAMPANIA che hanno conosciuto le violenze e il carcere libico
AGENZIA ERITREA ABESHA
DAGMAWI YIMER (regista di Come un uomo sulla terra)
FULVIO VASSALLO PALEOLOGO (Docente università di Palermo e membro dell’ASGI)
VIDEO-PROIEZIONI: Estratti da “Come un uomo sulla Terra”, “L’amico Isaias”, “Morire nel deserto”, “Welcome”… Pannelli e materiali informativi
APELLO:
Da giorni gli appelli dei 250 eritrei rinchiusi nella prigione di Brak, in Libia, ed esposti ad ogni tipo di violenza e al rischio di morte stanno raggiungendo l’Italia e cercando di risvegliare le nostre coscienze. Le torture e le violazioni subite in Libia da queste persone legittimamente in fuga da guerra e persecuzione non sono certo un caso isolato!
Così come i corpi dei profughi e dei migranti abbandonati a morire nel deserto sono una realtà che solo per convenienza e calcolo i governi europei fingono spesso di dimenticare. Quelle torture, quelle violenze, ci raccontano però soprattutto della disumanità e dei crimini contro la vita umana di cui i governi italiani degli ultimi anni si sono macchiati delegando alla politica di Gheddafi la gestione di migliaia di profughi, ovvero il potere e l’arbitrio assoluto su migliaia di esseri umani inermi e titolari di diritti fondamentali come quello di chiedere e ottenere asilo politico. Prima con l’embargo e la minaccia di esclusione da Euromed, poi con accordi e finanziamenti, si è spinto la Libia a fare il lavoro sporco della “Fortezza Europa”. A operare quei soprusi che è meglio tenere il più lontano possibile da telecamere e informazione…
I “respingimenti collettivi“ violano ogni minimo principio di protezione internazionale, ma sono definiti con crudeltà e ipocrisia da Maroni come “una grande vittoria contro l’immigrazione clandestina”! Sono in realtà solo l’ultimo atto di una storia di complicità e ridefinizione di equilibri politici ed economici che ha usato e continua ad usare il corpo vivo dei migranti come moneta di scambio, la vita delle persone come una merce qualunque. Con i respingimenti verso la Libia la classe politica al potere in Italia sta dichiarando a gran voce che la vita umana non vale nulla, specie se si tratta di quella di persone considerate ormai sotto-uomini da sfruttare e dominare. I richiedenti asilo come tutti gli altri migranti sono stati stigmatizzati e criminalizzati da leggi come quella sul reato di immigrazione clandestina e da decenni di razzismo istituzionale che ha imbarbarito questo paese. Restare in silenzio mentre le donne, gli uomini e i bambini respinti dall’Italia rischiano la morte in Libia o la deportazione verso l’Eritrea, dove subirebbero altre persecuzioni, significa rendersi complici di questa vergogna! Salvare queste persone significa lottare per i diritti e le libertà di tutti, per il diritto di ognuno di noi di vivere in un paese civile. Mobilitarci è una nostra responsabilità comune!
Libertà e diritto d’asilo per 250 profughi eritrei deportati nel deserto Libico
Fermiamo le violenze contro i migranti e i rifugiati
Rivediamo gli accordi Italia – Libia e fermiamo la politica dei respingimenti
FORUM ANTIRAZZISTA DI NAPOLI
per adesioni: dirittodasilo@gmail.com
Cari tutti,
Sul mio blog le motivazioni della mia partecipazione alla manifestazione di sabato prossimo: Chiudere i Cie subito! E subito è già tardi.
RICEVO (da Torino) E VOLENTIERI “BLOGGO”
http://karim-metref.over-blog.org/article-sabato-io-vado-a-manifestare-contro-i-cie-voi-che-fatte-53583299.html
buona lettura
—
Karim METREF
http://www.karimmetref.info
ricevo (ancora da TORINO)
+
Manifestazione contro i CIE. a Torino
Chiudere i CIE. Subito! E subito è già tardi.
Siete scandalizzati dal dramma dei profughi eritrei in Libia? Non capite perchè ci si accanisce su persone innocenti? Vi chiedete cosa si può fare?
E allora: ….. Tutti a manifestare contro i lager per migranti! Contro tutti i lager in Italia e altrove. Per la chiusura di tutti i CIE e simili.
Appuntamento per una manifestazione popolare unitaria di tutti quelli che non accettano che degli INNOCENTI SIANO RECLUSI PER MESI.. Solo perché sognano una vita migliore.
SABATO 10 LUGLIO ORE 16 PIAZZA SABOTINO
a seguire
Concerto ore 21 in C.so Brunelleschi (di fronte al CIE) con Fucktotum, Paranza del Geko, Nadya…
Hanno dato sinora la loro adesione:
Collettivo immigrati autorganizzati
Collettivo Gabelli
Federazione Anarchica Torinese – FAI
CSOA Askatasuna
CSOA Gabrio
Torino Squatter
Circolo di cultura GLBT Maurice
Sinistra Critica
Confederazione Unitaria di Base – Federazione di Torino
Unione Sindacale di Base – Federazione di Torino
No Tav – Autogestione – Torino
No Tav Torino
Comitato antifascista “18 giugno”
Comitato pace di Robassomero
Cast – Collettivo Anarchico Studentesco Torinese
Laboratorio Anarchico “Perlanera” – Alessandria
FAI del Monferrato
CSA Lacandona – Valenza
Circolo Vighetti Meyer – Rifondazione Comunista – Bussoleno
CanaveseRosso – Collettivo Resistente
Gruppo L’Erba – Casatenovo
Circolo Zabriskie Point – Novara
Partito Comunista dei lavoratori
Gruppo Emergency – Torino
Coordinamento “Non solo Asilo” per i Rifugiati
Convergenza delle culture – Torino
—
Collettivo immigrati Auto-Organizzati Torino
Email: collettivo@ciao-to.org
Telefono: 3771870977
Facebook: Immigrati Auto-Organizzati Torino
Twitter: Immigraorgto
pagina web: http://www.ciao-to.org/
Ciao Daniele,
ti segnalo l’appello della rete Welcome per le inziative davanti alle Prefetture nelle varie città italiane. A Bologna l’appuntamento è venerdì 9 luglio alle 17 in piazza Rossvelt.
qui i link
http://www.meltingpot.org/articolo15683.html
appello Bologna:
http://www.meltingpot.org/articolo15685.html
grazie e a presto
Neva
care e cari,
ecco le novità di oggi.
Poco fa il Gr-1 parlava di un accordo (che non c’è) fra Italia e Libia per far lavorarare i “reclusi all’inferno”.
FALSO spiegano oggi “L’unità” e “il manifesto”, i quali giustamente tengono la notizia in prima pagina sotto un’altra vergogna italiana, cioè il selvaggio assalto ai terremotati dell’Aquila.
Come spiega il bravo Stefano Liberti su “il manifesto” (titolo: “Le bugie di Maroni”) non c’è accordo; in ogni caso la Libia non ha firmato la convenzione sull’asilo, dunque “semplicemente non possono restare in quel Paese”. Forse l’unica buona notizia – se non è l’ennesima tragica beffa – è che “l’Italia potrebbe accoglierne alcuni” (parola della sotto-segretaria Stefania Craxi).
L’accordo con la libia è un bluff, “per salvare la faccia” dice “L’unità” che titola: “Gli eritrei spostati dal lager ai lavori forzati”. Dal carcere rispondono: “Non vogliamo restare, rischiamo la deportazione”. Sempre su “L’unità” intervista a Cristopher Hein, direttore del Cir (il Consiglio italiano dei rifugiati) col titolo: “Il caso non è chiuso, sono rifugiati devono venire in Italia” e poi: “non c’è nessuna garanzia, a rischio anche i loro familiari in Eritrea”.
Molto interessante quello che scrive (nella pagina lettere de “L’unità”)il bravo Luigi Cancrini; nella risposta a un lettore spiega: “Sono convinto anch’io che una delegazione di parlamentari italiani e/o europei potrebbe (dovrebbe) chiedere (esigere) la possibilità di recarsi a Braq (…) dove sono gli eritrei che chiedevano (e chiedono) asilo politico in Italia e in Europa. (…) La necessità di agire con tempestività e autorevolezza è evidente (…) Io personalmente, come ex parlamentare e come medico, sono disponibile a partecipare ma il problema non è personale (…)”. Se altri politici raccolgono subito questo impegno forse qualcosa può sbloccarsi.
Fra oggi (Roma e Napoli) e domani o sabato (in altre città, davanti alle Prefetture) si svolgono sit-in o manifestazioni: se potete partecipate, comunque fate girare l notizia, continuate a matetellare i politici del vostro partito (se l’avete) di riferimento.
Ricordo che domani la gran parte dei giornalisti sciopererà contro il “bavaglio”: qualunque cosa pensiate di questo sciopero (c’è chi lo considera ambiguo) io credo che potrebbe essere l’occasione per farvi un giro in rete sul giornalismo alternativo e vedere la differenza. Intendo dire che domattina invece di sfogliare i quotidiani (a casa, al bar, in biblioteca o dove siete) potreste vedere il sito di Gabriele Del Grande o quello di Redattore sociale: c’è chi in italia prova a fare ancora il giornalismo d’inchiesta senza i bavagli di una prossima legge berlusconiana ma anche senze le manette di proprietà e padroni politici perfino liberandosi dello “sbirro che abbiamo nella testa” come avrebbe detto Augusto Boal (l’inventore del Teatro dell’oppresso). Il mio blog resta aperto alla discussione; se per esempio qualcuna/o vuole raccontare cosa davvero accade in Eritrea, un Paese dominato da una orribile dittatura e dove fra l’altro il fratello di Silvio Berlusconi sta facendo buoni affari.
PROFUGHI/ERITREI IN LIBIA. GRUPPO EVERYONE: “PROPOSTA GOVERNO TRIPOLI E’ PUNITIVA E NON GARANTISCE ALCUNO DEI LORO DIRITTI. NAZIONI UNITE E CONSIGLIO D’EUROPA INVIINO DELEGAZIONE ISPETTIVA”
Il 30 giugno è giunta segnalazione dall’Agenzia Habeshia che circa 350 profughi prevalentemente di nazionalità eritrea, tra cui 80 bambini, sono stati trasferiti su camion dalla prigione di Mishratah (Misurata) a quella di Al Braq. Molti di loro hanno subito in passato respingimenti in acque territoriali italiane e maltesi, in violazione della Convenzione di Ginevra. Ad Al Braq, a partire dalla stessa notte dell’arrivo, hanno subito pestaggi e torture, un vero e proprio “bagno di sangue”, secondo i testimoni, nell’iniziale indifferenza internazionale. “Grazie ad alcuni contatti telefonici diffusi dall’Agenzia Habeshia, è stato possibile entrare in contatto con i profughi ed essere aggiornati passo dopo passo su ciò che accadeva” spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, organizzazione per i diritti umani con sede in Italia. Il 2 luglio i profughi comunicavano ai difensori dei Diritti Umani di aver subito nuovi trattamenti inumani e degradanti e di essere a rischio di deportazione. Solo l’intervento di Thomas Hammarberg, Commissario per i Diritti Umani al Consiglio d’Europa, induceva un riluttante Ministero dell’Interno italiano a chiedere alla Libia una soluzione umanitaria. Il 7 luglio il Ministero degli Esteri italiano comunicava la stipula di un impegno formale da parte del Governo libico per la liberazione dei profughi, in cambio di ‘lavori socialmente utili’ resi dagli stessi nei vari comuni in cui verranno smistati. “Si tratta di un accordo contrario alla legislazione internazionale in materia di diritti umani, perché i ‘lavori socialmente utili’ sono in realtà una forma di punizione alternativa al carcere,” spiegano gli attivisti di EveryOne, “che non offre garanzie per il futuro riguardanti la paga, gli orari e le condizioni di lavoro, la sistemazione in alloggi, l’esistenza di condizioni dignitose e di diritti civili”.
“La Libia non è nuova a questi progetti,” continua Don Mussie Zerai, presidente di Habeshia, “che non garantiscono alcuna protezione ai rifugiati, i quali potrebbero essere imprigionati ancora e deportati fra qualche settimana. In Libia non esiste il diritto all’asilo, quindi è necessario che i profughi siano accolti in Europa e prima di tutto in Italia, Paese da loro scelto”. Il Gruppo EveryOne e l’Agenzia Habeshia chiedono con urgenza all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navy Pillay, nonché all’Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Antonio Guterres, e al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, di vigilare affinché i diritti dei profughi, e soprattutto dei minori coinvolti e delle loro rispettive famiglie, siano rispettati e che non vengano abbandonati a se stessi in Libia senza garanzie di protezione internazionale. “Chiediamo loro, inoltre” concludono Malini, Pegoraro e Picciau, “di inviare una delegazione delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa in visita ispettiva in Libia, per assicurarsi delle buone condizioni di salute e del rispetto della dignità dei profughi eritrei”.
Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
+39 393 4010237 :: +39 331 3585406
info@everyonegroup.com :: http://www.everyonegroup.com
dal COMITATO PRIMO MARZO
Sugli eritrei detenuti in Libia non deve calare il silenzio e il Governo italiano non può sottrarsi alle proprie responsabilità
L’accordo “di liberazione e residenza in cambio di lavoro” negoziato dal governo italiano in queste ultime ore è inaccettabile e ha il sapore della beffa. I cittadini eritrei detenuti ingiustamente e in
condizioni disumane nel carcere libico di Brak non chiedono, infatti, un’occupazione in Libia ma di veder riconosciuto lo status di rifugiati al quale hanno diritto e di essere accolti in un Paese
democratico.
Il movimento Primo Marzo chiede alla diplomazia internazionale di attivarsi affinché:
– venga riconosciuto lo status di rifugiato alle 250 persone deportate nel carcere di Brak e sia trovata per loro una sistemazione degna e sicura in Paesi che abbiano sottoscritto la Convenzione di Ginevra;
– sia rispettato l’anonimato di queste persone, così da non mettere a repentaglio la vita dei loro parenti e amici rimasti in Eritrea;
– cessino immediatamente i respingimenti in mare da parte dell’Italia e il governo italiano risponda del proprio operato al riguardo, avendo agito in totale violazione dei fondamentali diritti umani e delle
norme comunitarie in materia di protezione internazionale;
ricorda:
che l’Eritrea è sottoposta una delle più brutali e oppressive dittature contemporanee e che lasciare il Paese rappresenta per molti eritrei l’unica possibilità di salvezza;
che almeno 11 tra le 250 persone deportate a Brak sono state respinte in mare lo scorso 1° luglio da una nave italiana senza che nessun accertamento venisse fatto sulla loro condizione o fosse presa in
considerazione la loro richiesta di asilo politico;
esorta
i comitati locali a mobilitarsi per promuovere iniziative di solidarietà e sensibilizzazione e sostenere quelle che si stanno svolgendo in tutta Italia, e invita le associazioni e le singole
persone impegnate nella difesa dei diritti umani e nella costruzione della giustizia sociale a fare altrettanto.
Domani, venerdì 9 luglio, ci saranno presidi davanti alle prefetture in diverse città italiane. Queste iniziative coincidono con la Giornata del Silenzio indetta dalla stampa italiana e dalla società
civile per protestare contro la legge bavaglio.
Primo Marzo si unisce alla protesta e rileva che oggi più che mai è indispensabile in Italia una stampa libera dalle censure ma, anche, dal conformismo e dall’opportunismo, dalla superficialità e
dall’indifferenza. Da questi vizi nasce infatti l’assordante silenzio che, con poche eccezioni, ha finora accompagnato le vicende eritree sui media italiani.
Milano, 08 luglio 2010
care e cari,il consueto aggiornamento.
I due giornali (“il manifesto” e “L’unità”) che hanno coraggiosamente roto il silenzio assassino sulla Libia anche oggi tengono alta l’attenzione.
Fin dalla prima pagina “il manifesto” denuncia che sono scomparsi tre dei ragazzi rinchiusi a Braq, “rapiti dalle guardie”. Sul fronte italiano Napolitano risponde al Cir: “la vicenda continuerà a essere seguita con la dovuta urgenza”. Erano 200 ieri all’ ambasciata libica e il gruppo Stalker ha costruito una grande gabbia di legno. Con una certa sfrontatezza Stefania Craxi (intervistata da “il manifesto”) afferma che sui respingimenti l’Italia ha “sicuramente” la coscienza a posto, “l’Europa invece no”.
Su “l’Unità” due pagine. Il titolone è “Tripoli ammette, sono 245 gli eritrei consegnati dall’ Italia”, si cita Napolitano, si ricorda che oggi si manifesta a Bologna e Firenze. Il giurista Fulvio Vassallo Paleologo ricorda che lavori socialmente utili nela Libia di Gheddafi significa “lavori forzati in campi segregati”; il documento redatto da Fulvio Vassallo Paleologo (chi lo trova può mandarlo a codesto blog? GRAZIE)si intitola “Arbeit macht frei” come la scritta che campeggiava all’ingreso del campo di Auschwitz. Infine “L’unità” registra che da Bruxelles il tragico guitto dal quale ci lasciamo s/governare rivendica addiritura che gli accordi con la Libia sono “un trattato modello che va replicato”.
Su “Il fatto” oggi una pagina con tre servizi. In un box si riportano le parole (“cinismo di Stato”) del ministro Frattini. Accanto Furio Colombo parla di “un governo collaborazionista” e di “vergogna Frattini”. Sotto c’è un interessante reportage dalla “prigione a cielo aperto, in guerra da 20 anni” cioè l’Eritrea. Nel pezzo (da Asmara) Gianni Perrelli ricorda “le ong cacciate, l’opposizione repressa, le prigioni piene di dissidenti”. In questo reportage (ma per la verità altre volte “Il fatto” ne ha parlato)manca la denuncia dei buoni – cioè loschi – affari che l’Italia (a partire da Paolo Berlusconi) sta facendo con la dittatura; questi interessi economici sono una delle spiegazioni (non l’unica) del complice silenzio sui crimini del dittatore Isaias Afewerki al quale tanti giornalisti si sono associati èer ignoranza o più spesaso per viltà.
Ecco il pezzo di Fulvio, tratto dal sito http://www.meltingpot.org
Arbeit macht frei 2.0 – In Libia ancora ricatti e imbrogli contro gli eritrei
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Mentre i mezzi di informazione italiani, con l’eccezione dell’Unità, di Raitre e di pochi altri, hanno steso una cortina di silenzio sulla sorte degli oltre 200 eritrei detenuti e abusati nel carcere di Brak, in Libia, una agenzia AFP chiarisce meglio la portata dell’accordo, un vero e proprio “patto leonino” che il governo libico, con la mediazione dell’OIM, avrebbe imposto ad una parte dei detenuti, mentre circa un terzo sembra che ancora si rifiuti di sottoscrivere l’”accordo di regolarizzazione”, che secondo le autorità di quel paese “ li sottrarrebbe alle bande di criminali” trafficanti ovviamente, e conterrebbe addirittura”misure per l’accoglienza e l’integrazione”.
E’ proprio il caso di ripetere, purtroppo, “ARBEIT MACHT FREI”, il lavoro rende liberi. Secondo l’accordo imposto dal governo libico ad una parte degli Eritrei, che probabilmente avrebbe firmato qualsiasi pezzo di carta pur di lasciare il carcere militare di Brak nel quale vengono abusati da giorni,”l’ambasciata eritrea in Libia consegnerà dei documenti, e dunque identificherà, i detenuti” al fine di permettere “a quanti lo desiderano di insediarsi in Libia”. L’insediamento dovrebbe avvenire non certo per libera scelta delle persone ma esclusivamente all’interno di uno dei campi di lavoro socialmente utile che la Libia esibisce con orgoglio per dimostrare il carattere socialista del suo regime. Ma la sorte degli eritrei dispersi in questi campi ed affidati alla rigida organizzazione dei tanti gerarchi libici appare segnata, ed una volta considerati come migranti economici rimane ancora assai alto il rischio che alla prima occasione vengano espulsi nel paese d’origine, dove ad attenderli troverebbero carcere e torture. Il regime eritreo ha buona memoria.
E’ rimasto in ombra in questa soluzione il ruolo dell’Italia, che pure era stata sollecitata dal Commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa ad un “chiarimento” con la Libia sulla vicenda della deportazione degli eritrei da Misurata a Brak.. Come sono rimasti inascoltati i numerosi appelli per un ritrasferimento (resettlement) dei profughi dalla Libia in Italia, come già avvenuto negli anni passati, seppure in poche decine di casi.
Il capo della missione OIM in Libia Laurence Hart ha dichiarato, sempre secondo l’AFP, che la soluzione è stata individuata dalle autorità libiche “per integrare gli immigrati eritrei in attività di lavoro socialmente utile, come è stato fatto in passato nel caso di altri immigrati somali”. Tutti dovrebbero sapere però la sorte di sfruttamento sistematico e di abusi quotidiani a danno dei somali e degli eritrei in Libia, come si ricava dai rapporti di Human Rights Watch e di Amnesty International. E come gli eritrei anche i somali avrebbero avuto, ed hanno diritto, ad ottenere tutti non solo un permesso di soggiorno per lavoro, magari in una condizione di grave sfruttamento, ma il riconoscimento dello status di protezione internazionale, e dunque della libera circolazione sotto la sorveglianza dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Un ruolo di garanzia che cessa quando un migrante non è riconosciuto come rifugiato ma come un comune migrante economico, magari da fare rientrare nel paese di origine alla prima occasione. La soluzione adottata dal governo libico mette “fuori gioco” ancora una volta l’UNHCR che peraltro in Libia ha sempre avuto una limitata capacità di azione.
La stessa agenzia riferisce poi la vera ragione della chiusura della piccola delegazione dell’UNHCR a Tripoli, che aveva riconosciuto lo status di rifugiato a 8.951 persone e ne aveva riconosciuto altre 3.689 come richiedenti asilo. Per il governo libico si trattava invece di “immigrati clandestini”, che “in nessun modo potevano essere considerati come rifugiati o richiedenti asilo” . Ecco perché all’inizio di giugno l’ufficio dell’UNHCR a Tripoli veniva chiuso, proprio perché, a detta delle autorità libiche, avrebbe posto in essere “attività illegali”. Adesso sembrerebbe che sia stata consentita la riapertura dell’ufficio, ma con un mandato limitato soltanto ai casi già trattati in passato. E poi, se tutti i potenziali richiedenti asilo sono considerati come migranti economici, che senso può avere la presenza dell’UNHCR a Tripoli? Una domanda alla quale dovrebbe fornire risposta anche l’Ufficio centrale dell’UNHCR a Ginevra, anche perché la Libia non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ginevra.
E’ caduto intanto nel vuoto l’appello del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa Hammarberg che sollecitava l’Italia i ministri Maroni e Frattini a chiarire la situazione con la Libia ed a trasmettere informazioni allo stesso Consiglio d’Europa in merito alla vicenda degli eritrei arrestati in Libia, anche alla luce dei numerosi report di agenzie internazionali che indicavano tra i deportati eritrei trasferiti a Brak ed a rischio di ulteriore deportazione nel loro paese di origine, anche migranti che lo scorso anno “avevano cercato di raggiungere l’Italia per cercare di ottenere uno status di protezione internazionale” ed “erano stati respinti in Libia senza avere la possibilità di inoltrare la relativa domanda”. Probabilmente, come ha detto lo stesso Gheddafi in diverse occasioni, in particolare nel suo viaggio a Roma lo scorso anno, anche Maroni risponderà adesso al Consiglio d’Europa quanto affermato da Berlusconi lo scorso anno, che in Libia non esistono richiedenti asilo, che si tratta solo di migranti irregolari, anzi “clandestini”, e che dunque non ci sono problemi di violazione di norme internazionali.
Questi i fatti, e le menzogne, come sta venendo fuori dalle numerose testimonianze che smentiscono Maroni e confermano che tra gli eritrei deportati a Brak ve ne sono parecchie decine che lo scorso anno l’Italia ha intercettato in acque internazionali, mentre cercavano di raggiungere l’Italia per chiedere asilo, e che ha riconsegnato alle motovedette italo-libiche, che li hanno poi ricondotti nei centri di detenzione come quello di Misurata. Persone che se avessero raggiunto un qualunque paese europeo avrebbero avrebbero avuto diritto al riconoscimento di uno status di protezione internazionale.
Ma sta succedendo qualcosa di ancora più grave che i comunicati ufficiali nascondono. La circostanza che la maggior parte degli eritrei trasferiti da Misurata a Brak si stia rivolgendo ( meglio, sia stata costretta con la forza a rivolgersi) al proprio consolato per il rilascio di documenti identificativi, e che questi documenti permetteranno l’inserimento in una “comune di lavoro”, come quelle presenti in Libia, uno degli ultimi baluardi evidentemente del socialismo ( e infatti in quel paese è vietata la proprietà privata della terra), comporta alcune conseguenze assai gravi, che alleggeriscono le responsabilità dei governi e costituiscono la premessa per la dispersione dei duecento rifugiati eritrei, declassati adesso a semplici migranti economici, che il “magnanime” governo libico accetterebbe di “regolarizzare”.
La identificazione di queste persone da parte del governo eritreo le rende ricattabili a vita, anche per le “attenzioni” che questo governo riserva a madri, mogli, figlie e sorelle di quanti tentano la via della fuga all’estero in cerca di asilo. Inoltre avere accettato, meglio essere stati costretti dai libici, con le violenze subite da giorni, a sottoscrivere un “accordo di integrazione” fissa a tempo indeterminato gli eritrei nella comune di lavoro nella quale verranno assegnati,ed impedisce loro qualsiasi futuro riconoscimento dello status di rifugiato, sia per i ricatti che potrebbero subire sui loro parenti in Eritrea, sia soprattutto perché una volta qualificati come migranti economici, e dopo avere chiesto “protezione”, attraverso la richiesta dei documenti identificativi, alla loro rappresentanza diplomatica in Libia, potrebbe ritenersi venuta meno la ragione per riconoscere loro, anche da parte dell’UNHCR, lo status di protezione internazionale.
Un trabocchetto in uso in Italia fino a qualche anno fa, quando ancora non era entrata in vigore la normativa comunitaria attuata con il decreto legislativo n.25 del 2008, consisteva nel chiedere e verbalizzare alle persone appena sbarcate se volessero lavorare in Italia. Tutti naturalmente rispondevano affermativamente, e tanto bastava alle forze di polizia per respingere immediatamente e ritenere infondata la domanda di protezione internazionale, con la successiva adozione di provvedimenti di espulsione o di “respingimento differito”. Un “trucchetto” che il d.lgs n.25 del 2008 ha in qualche modo ridimensionato, togliendo alla polizia di frontiera qualunque potere discrezionale nell’esame della domanda di asilo che adesso è di pertinenza esclusiva della competente commissione territoriale. Ma evidentemente la “formazione congiunta” italo-libica produce i suoi frutti ed ecco che adesso la polizia libica, e il governo che la dirige, hanno imparato lo stesso “trucchetto” che anni fa si praticava in Italia, e in certi casi, come alle frontiere portuali dell’Adriatico, si continua a praticare ancora oggi per impedire ai potenziali richiedenti asilo l’accesso alla procedura.
Per negare tutela e riconoscimento ai potenziali richiedenti asilo basta considerarli e trattarli come “migranti economici”, e dunque “clandestini”, se tentano di accedere al territorio senza i necessari documenti di ingresso e soggiorno. Quello che prima si faceva in Italia, a Lampedusa, adesso si fa in Libia, con l’aggravante che le persone vengono trattenute in condizioni disumane, esposti a continui abusi, cosa che capitava e capita anche in Italia, ma certamente non ai livelli di “raffinatezza” della polizia libica. La scelta di passare per migranti economici, e dunque di “regolarizzarsi” per andare a lavorare come schiavi, potrebbe dunque apparire per gli eritrei di Brak l’unica via per porre fine a giorni interminabili di torture e soprusi di ogni genere. E chissà che fine faranno quelli che non firmeranno questi “accordi di integrazione”, e i tanti che sono stati feriti e che vengono ancora picchiati se solo chiedono di essere curati.
L’accordo di “integrazione” e dunque la “regolarizzazione” forzata, con l’avvio degli eritrei ai “campi di lavoro socialmente utile”, ha altri importanti risvolti che certo faranno dormire sonni più tranquilli ai nostri ministri che da anni negano la presenza in Libia di richiedenti asilo e giustificano anche in questo modo i respingimenti collettivi in acque internazionali, praticati con tanto successo, prima dalle nostre unità navali, in particolare dalla Guardia di finanza, ed adesso subappaltati ai mezzi navali donati ai libici. I quali non hanno certo problemi di doversi adeguare agli scomodi standard dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa in materia di diritti umani, e alla Convenzione di Ginevra, soprattutto per quanto concerne il divieto di respingimento (refoulement) affermato dall’art.33 della stessa Convenzione. E infatti, se di migranti economici si trattava, e dunque di irregolari, o di “clandestini”,che magari avrebbero attentato alla “sicurezza” degli italiani, anche nel caso di somali ed eritrei, come di nigeriani o togolesi, ben potevano giustificarsi sia le retate a terra che la polizia di Gheddafi ha intensificato proprio a partire dagli accordi con l’Italia, quanto i respingimenti collettivi in acque internazionali, senza alcuna identificazione, vietati dall’art.4 del protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’auomo e dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, documenti che evidentemente sono carta straccia non solo per la Libia ma anche per l’Italia.
Chiediamo ancora una volta che la Corte Europea dei diritti dell’uomo pronunci finalmente la sua sentenza per i respingimenti collettivi in Libia praticati il 6 e 7 maggio del 2009 dalla nave Bovienzo, altrimenti se passerà ancora del tempo, dopo fatti come la deportazione da Misurata, dei ricorrenti non ne resterà più traccia.
Attendiamo adesso con angoscia crescente altre notizie sulla sorte dei profughi eritrei, anche dopo la loro “liberazione”, magari per conoscere le tappe della loro “integrazione” in Libia. E vorremmo anche avere notizie al più presto sulla sorte dei numerosi feriti di Brak e delle donne e dei bambini rimasti a Misurata, come delle migliaia di migranti che la Libia continua a trattenere nei propri centri di detenzione, ancora inaccessibili, a parte qualche “visita guidata”, usata come al solito per ingannare l’opinione pubblica internazionale, o almeno quanti si accontentano delle liturgie sulla sicurezza recitate dai ministri sulla pelle di persone esposte giorno per giorno a detenzione illegale e ogni sorta di trattamenti inumani o degradanti.
Vorremmo anche che l’OIM e l’UNHCR chiarissero il senso della loro attuale presenza in Libia, magari facendo sapere quali garanzie sono previste perchè non venga coartata la scelta verso i cd.”rimpatri volontari” e quale sorte attende coloro che ancora si trovano in quel paese e sarebbero nelle condizioni di fare valere il diritto di asilo o un altro status di protezione internazionale in un qualunque paese che aderisca, a differenza della Libia, alla Convenzione di Ginevra.
– Arbeit macht frei – Riconosciuta ai profughi eritrei in Libia la libertà di lavorare come schiavi
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
[ venerdì 9 luglio 2010 ]
in realtà i documenti di Fulvio Vassallo Paleologo erano due; ecco quello del 7 luglio
Arbeit macht frei – riconosciuta ai profughi eritrei in Libia la libertà di lavorare come schiavi.
Chi garantirà il diritto d’asilo e chi salverà i feriti e le vittime di tortura?
Un”Accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro”, secondo il ministro della Pubblica Sicurezza Libico, il generale Younis Al Obeidi, dovrebbe consentire ai 250 rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere libico di Brak, nei pressi di Sebha, in Libia la libertà: la libertà di essere schiavi a tempo indeterminato in un campo di lavoro libico senza alcun riconoscimento del loro diritto di asilo e senza alcuna garanzia che gli abusi che hanno già subito non continuino.
Il”lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia”, loro promesso, che una parte soltanto dei detenuti di Sebha ha accettato, non permetterà loro alcuna libertà di circolazione, come spetterebbe a qualunque titolare del diritto di asilo, e li consegnerà ad una rigida catena gerarchica che esigerà da loro un vero e proprio lavoro forzato.
Che fine faranno poi coloro che non accetteranno l’imposizione di questa ulteriore deportazione? Quali mezzi di persuasione verranno impiegati?
Il lavoro promesso in cambio della libertà appare solo come un tentativo di disperdere il gruppo di profughi eritrei, da giorni vittima di torture e violenze da parte della polizia libica, e rendere più difficili le inchieste internazionali sulle responsabilità di questa ennesima deportazione violenta subita da persone che avrebbero dovuto essere accolte come rifugiati.
Se questo è anche il risultato dell’intervento del governo italiano non ci si può certo stupire per tanta “umanità”, nelle stesse ore nelle quali a Roma la polizia di Maroni ha caricato a freddo, con una violenza che purtroppo sta diventando consuetudine in ogni manifestazione di protesta, migliaia di cittadini aquilani che protestavano per l’abbandono nel quale il governo ha lasciato il loro territorio dopo i mesi di propaganda elettorale.
I rifugiati eritrei, che si trovano nel centro di detenzione di Braq da 8 giorni, durante i quali sono stati maltrattati e torturati, nel silenzio di tutte le autorità italiane che si sono dovute accorgere del caso soltanto dopo che alcune associazioni umanitarie, RaiTre e l’Unità avevano avviato una mobilitazione che ogni giorno va crescendo, avevano fatto appello all’Italia e all’Europa per essere inseriti in un programma di ritrasferimento in Europa verso paesi che avrebbero riconosciuto effettivamente il loro diritto di asilo.
Maroni non può affermare che “Il governo italiano non ha alcuna responsabilità nella vicenda dei profughi eritrei trattenuti in Libia”, per il ministro “resta indimostrato che gli eritrei abbiano fatto parte degli 850 respingimenti”. Le sue dichiarazioni sono smentite da diverse testimonianze, una delle quali, raccolta da un giornalista del Manifesto, conferma che tra i reclusi di Brak vi sono diversi migranti respinti lo scorso anno in Libia dai mezzi militari italiani. E su queste vicende, presto, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo potrebbe emettere una sentenza di condanna per i respingimenti collettivi verso la Libia, vietati da tutte le convenzioni internazionali, effettuati dal nostro paese a partire dal 7 maggio dello scorso anno.
Maroni afferma oggi che “se si chiederà al nostro governo di fare una missione umanitaria in Libia, il ministro degli esteri ne vaglierà l’opportunità, ma. Dall’Europa non è venuto nessun interessamento, cosa davvero singolare e incredibile perchè dovrebbero essere proprio le istituzioni europee ad intervenire e non a chiedere ad altri di farlo”. Quella missione è doverosa perchè la impone un ordine del giorno già approvato lo scorso anno quasi all’unanimità dal Parlamento ( ordine del giorno Marcenaro), e l’Europa non è tenuta a risolvere i guai che combina la collaborazione del governo italiano con il regime di Gheddafi.
Da parte sua l’Europa, meglio, il Parlamento Europeo lo scorso 17 giugno hanno ricordato a tutti, e dunque anche al governo italiano, che in Libia vengono violati i diritti fondamentali dei migranti e dunque dovrebbero cessare quelle forme di collaborazione, come i respingimenti, che rendono possibili le più terribili violazioni dei diritti fondamentali della persona. Quelle violazioni che qualcuno forse in Italia ritiene accettabili, come effetti collaterali del “successo storico” consistente nel blocco degli arrivi, in gran parte di potenziali richiedenti asilo come appunto erano e sono gli eritrei incarcerati a Brak. Domandiamo agli italiani se si sentano più sicuri dopo questo scempio di umanità.
Maroni non può eludere le responsabilità che anche a livello internazionale vengono attribuite all’Italia ed al suo governo. E’ vero che esistono accordi bilaterali con almeno 30 Paesi ma non si può concordare con il ministro dell’interno quando afferma che “questo non vuol dire che dobbiamo occuparci di quello che accade in ciascuno di essi. Certo, la Libia ci è vicina, non avrei obiezioni personalmente a un’azione di tipo diplomatico, ma più e meglio di noi dovrebbe fare l’Unione europea”. Secondo il ministro, da parte dell’Europa c’è stato “un atteggiamento di disinteresse incredibile e singolare’’.
La verità che il governo italiano non vuole ammettere è che gli altri accordi bilaterali sono solo accordi di riammissione, ma non prevedono il respingimento collettivo in acque internazionali, come nel caso degli accordi con la Libia, in particolare per effetto dei protocolli aggiuntivi stipulati dallo stesso Maroni con il ministro dell’interno libico nel corso di una missione lampo nei primi giorni di febbraio dello scorso anno. Lo stesso accordo tra Spagna e Marocco, troppo spesso richiamato a sproposito, ha consentito il respingimento di natanti fermati in acque marocchine, e non i acque internazionali, ed in ogni caso il Marocco, a differenza della Libia, aderisce alla Convenzione di Ginevra e consente, sia pure con gravi limiti le attività dell’UNHCR ( Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati).
Il ministro Maroni dovrebbe ricordare bene la differenza degli accordi con la Libia rispetto agli altri accordi di riammissione che l’Italia ha stipulato con altri paesi dal 1998 in poi, perché è stato proprio lui l’artefice delle nuove regole operative che nel febbraio 2009 ( quando restò chiuso all’interno di un ascensore guasto in un ministero libico, tanto per ricordare) hanno integrato i protocolli firmati da Amato nel dicembre del 2007, poi recepiti ed espressamente richiamati nel Trattato di amicizia italo-libico sottoscritto da Berlusconi nell’agosto del 2008. Contro tutte le ipocrisie e le manovre strumentali coperte da una disinformazione sistematica che il governo impone o suggerisce alla maggior parte degli organi di stampa, con la coraggiosa resistenza di Rai Tre, dell’Unità e di qualche altro giornale, continuiamo a chiedere la liberazione immediata e incondizionata di tutti i profughi eritrei detenuti a Brak, l’accesso per tutti coloro che lo chiedano alla procedura di asilo e ad un ritrasferimento in un paese firmatario della Convenzione di Ginevra. Chiediamo anche che la Libia, con la copertura politica e finanziaria del governo italiano, cessi le deportazioni di potenziali richiedenti asilo e di soggetti vulnerabili come donne e minori verso paesi dittatoriali nei quali potrebbero subire torture o trattamenti inumani o degradanti. Nei giorni scorsi centinaia di nigerini presenti in Libia sono stati deportati in Niger, come riferisce la stessa agenzia di stampa ufficiale Jana, senza che a nessuno di essi fosse consentito chiedere asilo in Libia o far valere la protezione internazionale.
Chiediamo ancora una volta ai parlamentari italiani di impegnarsi per la sospensione del Trattato di amicizia con la Libia, in base al quale l’Italia dovrà pagare a Gheddafi diversi miliardi di euro nei prossimi anni per continuare a garantirsi il blocco degli sbarchi, e lucrosi affari per alcune nostre imprese. Un blocco che produce esattamente quella tragedia umanitaria e quei corpi violati, nel carcere di Brak come in altre parti della Libia, che nessuna velina ministeriale potrà mai occultare. Il lavoro forzato non rende liberi, “Arbeit macht frei” stava scritto sulla porta del lager di Auschwitz.
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo – mercoledì 7 luglio 2010
care e cari,
poche notizie mi sembra.
Su “il manifesto” (pagina 8) oggi c’è una intervista interessante a Juan Fernando Lopez Aguilar, attuale presidente della Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo che si dice “preoccupato” per la sorte dei 205 eritrei nei lager libici. Pur con le ovvie cautele diplomatiche, Aguilar è netto sulle questioni-chiave e per esempio dice: è fattibile che l’Europa riprenda gli europei respinti dall’Italia. E poi: “l’accotdo Italia-Libia è stato censurato per la sua segretezza, un fatto stupefacente anche per gli esperti di dirito internazionale”. L’ultima domanda dell’intervista è questa: “C’è il rischio che l’Europa ricalchi l’accordo Italia-Libia invece che sostenere il rispetto dei diritti?”. La risposta purtroppo è questa: “Il rischio c’è, bisogna vigilare. Il caso degli eritrei è importante anche per questo”.
Vigilare dunque che l’Europa non segua il pessimo esempio italiano. (db)
care e cari,
il consueto aggiornamemto. Oggi su “L’unità” una pagina con due cose interessanti.
La prima è una lunga intervista a CHRISTOPHER HEIN, il fondatore di Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) e autore di “Vent’anni di storia del diritto d’asilo in Italia”, edito da Donzelli. Fra l’altro, Hein parla di schizofrenia e dice: “penso al governo Berlusconi che prima fa la legge Bossi-Fini e poi, nel 2002, la più grande sanatoria di tutti temoi: quella dei 700mila immigrati regolarizzati. Ma allora che necessità c’è di respingere con la forza 700 o 1000 o 1500 eritrei e somali se allo stesso tempo vari la sanatoria per badanti e lavoratori domestici che ha riguardato circa 200mila persone? Perchè rischiare conflitti internazionali, condanne per violazione del dirito d’asilo, e questo per 700-1000 persone?”.
C’è poi una seconda cosa interessante ovvero l’annuncio che Gheddafi aprirà “una indagine”. Segno che “gli articoli di stampa e le prese di posizione internazionali” pesano, commenta “L’unità” che però annuncia che non mancherà di vigilare… sui vigilatori. (db)
MARONI APRE UN NUOVO FRONTE (RICORDO CHE LE ESPULSIONI COLLETTIVE SONO VIENTATE DAI TRATTATI INTERNAZIONALI):
Accordo con Tunisia ed Algeria: da oggi possibili le espulsioni di gruppo.
Telegramma del Dipartimento pubblica sicurezza alle Questure che chiede di organizzare le scorte per i rimpatri. Maroni: “svolta nella politica della sicurezza”.
Possibili da oggi le espulsioni di gruppo per algerini e tunisini grazie ad un’intesa raggiunta dal Viminale con i governi dei due Paesi.
A darne notizia è stato un telegramma “urgente” alle Questure da parte della Direzione centrale dell’immigrazione del Dipartimento di pubblica sicurezza.
“A decorrere dal prossimo 12 luglio – si legge nel telegramma – questa direzione, in esito a specifiche intese raggiunte con le autorità diplomatiche tunisine e algerine, provvederà a organizzare, con cadenza giornaliera, il rimpatrio scortato di un elevato numero di cittadini provenienti da tali Paesi, destinatari di provvedimenti di espulsione dall’Italia e attualmente trattenuti presso diversi Cie nazionali”.
Nel telegramma si invitano inoltre i questori e i dirigenti degli uffici ad assicurare “fino a cessate esigenze, la massima disponibilità del personale dipendente, che sarà impiegato a vario titolo nell’ambito delle operazioni in argomento, con particolare riferimento a quello abilitato all’impiego in servizi di scorta a persone da rimpatriare”.
Per il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, l’accordo “segna una svolta nella politica della sicurezza”.
Maroni sottolinea che “l’effetto positivo del patto non è solo svuotare i Cie, bensì fissare un principio, quello di un provvedimento deterrente rispetto a nuovi possibili ingressi”.
Tratto da http://www.immigrazioneoggi.it
care e cari,
qualche novità importante. “Male nostrum” titola oggi la prima pagina de “il manifesto” e l’occhiello spiega: “credevano di aver conquistato l’Italia, li hanno riportati in Libia senza nemmeno controllare chi fossero. Un video, inviato al Manifesto da Tripoli, mostra il momento in cui i rifugiati eritrei oggi detenuti a Braq vengono ‘salvati’ dai militari italiani e rispediti indietro. E svela le bugie del Viminale”. All’interno Stefano Liberti racconta e commenta.
Meno spazio invece su “L’unità” che parla delle carceri di Gheddafi solo all’interno di un breve servizio – “Nel lager di Kufra lavori forzati, botte con cibo e acqua solo a pagamento” – con testimoianz di eritrei e somali al meetig antirazzista dell’Arci che si è aperto a Cecina.
Qualche giorno fa in una intervista al Tg3 (che è stata duramente commentata su “Il fatto” da Furio Colombo)il ministro Frattini ha ironizzato sui detenuti con telefonini: se avesse visto “Come un uomo sulla Terra” (o se chiedesse in giro o se comunque gliene fregasse qualcosa) saprebbe bene perchè accade: i detenuti vengono rivenduti dai loro carcerieri (è l’unico modo per uscire da questi lager) e le vittime devono dunque, attraverso amici e familiari, procurarsi soldi che non hanno. Adesso se le testimonianze continuano – e fanno paura – di certo verrà l’ordine (da Tripoli? da Roma?) di sospendere questa vwendita e dunque sequestrare i cellulari così … Frattini sarà più sereno.
Forse ricorderete che in uno dei programmi-proclami del guitto Sb (tessera P2 1816) si parlava delle tre “i”… il ministro Frattini le incarna e mostra tutte: ignoranza, incapacità, inumanità. (db)