Cile, resta la Costituzione di Pinochet
redazione Diogene*
La nuova Costituzione proposta dal presidente cileno Gabriel Boric è stata bocciata dagli elettori, resta in vigore quella introdotta durante la dittatura militare di Augusto Pinochet. Un pronunciamento chiaro e senza equivoci, con il 60% degli elettori schierato contro la riforma. Boric, eletto presidente sull’onda delle rivolte sociali scatenate tre anni fa dalla condizione di grave crisi economica in cui versa il Cile, guida una coalizione di centrosinistra che dovrà molto riflettere sul significato di questo voto.
Si apre adesso una grave crisi politica nel mezzo di una tempesta istituzionale. Il messaggio di una parte del Paese alle aspirazioni sociali ugualitarie di Boric è chiaro, ma per sostenere il Presidente e la sua riforma in queste settimane sono scesi nelle piazze movimenti di lavoratori, ambientalisti, femministe, convinti e convinte di poter finalmente trasformare una realtà sociale su cui continua a incombere il fantasma di Pinochet. Al tempo stesso la discussione sui contenuti della riforma ha ricompattato un pezzo della destra conservatrice orfana del golpista, incapace però tre anni fa di fermare l’onda progressista culminata con l’elezione di Boric.
Ciò su cui s’interroga il Cile è l’interpretazione della volontà popolare, capire cioè se si tratta di un voto limitato alle questioni poste dalla nuova Costituzione o si è saldato nuovamente un blocco conservatore che guarda con favore alle tragiche vicende politiche del passato cileno. A favore della prima ipotesi, relativa soltanto al gradimento o meno della riforma, c’è che soltanto due anni fa l’82% dei cileni votò con lo scopo preciso di modificare la Costituzione. In fatti, nei primi commenti del dopo voto, la strada scelta da Boric è guardare avanti.
Anche se l’attuale testo è stato respinto dall’elettorato, l’Assemblea costituente resta in carica e potrà scriverne un altro da sottoporre nuovamente al voto. Un aspetto importante della Costituzione bocciata riguardava fin dal primo articolo “l’esistenza di un rapporto di interdipendenza tra gli esseri umani e la natura. E rompe con il paradigma moderno in cui la natura è solo un territorio di sfruttamento al servizio dell’economia umana”.
Adesso però il governo dovrà discutere in particolare sui punti che hanno scatenato più divisioni nel Paese, la questione dei nativi e le tematiche legate all’inclusione di genere.
I nativi rappresentano il 13% della popolazione e fin qua non erano minimamente menzionati nella Costituzione cilena. La riforma prevedeva per gli indigeni 17 seggi su 155 e riconosceva loro nuovi diritti, a cominciare dalla definizione del Cile come uno Stato “plurinazionale”.
Il testo varava poi una società inclusiva con al centro l’uguaglianza di genere a cui dedicava 35 articoli, specificando il diritto all’aborto per le donne e il principio di parità che impone che in tutti gli incarichi pubblici ci siano almeno il 50% di donne.
E proprio le elette all’Assemblea Costituente, a cominciare da Manuela Rojo, ambientalista e femminista, avevano lanciato un segnale d’allarme nei giorni scorsi su quale sarebbe stato l’esito del referendum, raccogliendo gli umori popolari durante le assemblee.
Molti osservatori hanno ritenuto la proposta di Costituzione bocciata la più progressista del mondo. Il punto di partenza è stato proprio il risultato elettorale che ha portato nel 2021 alla presidenza Gabriel Boric con circa il 56% dei voti sul candidato della destra José Antonio Kast. L’assemblea costituente ha elaborato un testo che non è piaciuto a oltre il 60% dei cileni. I costituenti dovranno partire da questi due dati non soltanto numerici per capire come proseguire il cammino democratico.
*articolo in origine pubblicato su https://diogeneonline.info/cile-resta-la-costituzione-di-pinochet/
Sul referendum in Cile la Bottega consiglia anche la lettura di
“Cile, bocciata la nuova Costituzione” di Checchino Antonini per Popoff