Clandestino nell’utero-valigia
di Daniela Pia
Noi donne sappiamo cosa significa “trasportare” un bambino.
Ce lo portiamo appresso per nove mesi, quando tutto va bene. Lo culliamo nel liquido amniotico, gli parliamo senza proferir parola. Lo accarezziamo attraverso il ventre. Lo partoriamo nel dolore per godere subito dopo della gioia della sua pelle, del vagito, del pugno che stringe il dito e delle labbra che si attaccano al seno.
Sappiamo che ogni distacco è fonte di dolore, ansia e preoccupazione.
Ma, nel nostro mondo fatto di tutele e certezze, il tempo del distacco possiamo gestirlo, sappiamo che nessuno potrà frapporsi, senza fare i conti con la legge, a volte un poco miope, al ricongiungimento di una madre con il proprio figlio. Questo “naturalmente” se sei una madre dell’opulento Occidente industrializzato, membro dunque della “civilissima” Europa, quella trincerata dietro il filo spinato di una linea Maginot tesa a escludere gli ultimi, i fratelli e i figli più bisognosi: quelli che eravamo noi… non molto tempo fa.
Perchè se sei nato dalla parte sbagliata del mondo – quello che fa partorire infinite volte nel dolore, nella fame, nella guerra – il distacco si fa odissea. E il mare non è liquido amniotico ma nemico, una scommessa che sai di poter perdere ma che devi fare se vuoi far sopravvivere i tuoi figli. «Fatti non fummo a viver come bruti, ma seguir virtute e conoscenza» ma quella conoscenza pare perduta nel nostro comodo experire il mondo.
Quando non è il mare, il limbo da attraversare per trovare una parvenza di futuro si fa aria. Cercare di ritrovare una madre attraverso l’aria è un poco più arduo. Il cordone ombelicale si avviluppa e si annoda, persino in un trolley: solo che il neonato è già cresciuto, ha 8 anni ormai, eppure non ha dimenticato la postura fetale. La tiene per ore. Infinite. Il grembo di plastica non lo culla; non è l’ ecografia che lo indaga per tutelarlo, è uno scanner che lo rivela per denunciarlo: clandestino. Bimbo clandestino alla ricerca del suo destino che ha nome di madre. Bizzarro bagaglio in mano a una fanciulla, nipote di Nessuno, 19 anni a sfidare il filo spinato che separa madri e figli.
Sento di non poter contenere questa infamia. Mi arrogo il diritto di donna di appellarmi a tutti i tribunali del mondo perché facciano propria la postura fetale di un figlio che sfida la sorte e sceglie di rattrappirsi in un utero di plastica per ritrovare sua madre.
grazie, cara daniela, per l’umanità del messaggio nei tempi,detti
“nostri”…
ai lettori del blog informo sul contributo di augusta de piero:
http://diariealtro.it/?p=3756
Un ottimo pezzo. L’ho riportato nel mio blog e trascrivo il mio commento di oggi nel mio blog diariealtro{punto it]. Grazie
L’articolo che ho trascritto è molto bello. Sono certa che emozionerà molte donne, molte persone. Ha emozionato anche me, lo confesso, anche se sono allergica alle emozioni che ci giustificano quando ci rifiutiamo di uscire da noi stessi e agire su un piano di tutela di altrui diritti.
Chiedo però a tutte le donne italiane che si sono sentite coinvolte da questo scritto di simpatizzare anche con le madri che – a causa della lettera g del comma 22 dell’art. 1 del pacchetto sicurezza (legge 94/2009) – hanno paura a registrare la nascita del proprio figlio.
Ne ho scritto tante volte, riporto il link all’ultima relazione organica (2 maggio) che ho trascritto, cui faccio seguire doverosamente il link dal blog di Barbieri.
Grazie Bozidar e grazie Augusta.
Bellissimo!
Pubblicato nella mia pagina Facebook, BoscoCeduo.
Sta girando questa petizione al governo spagnolo: “Restituite alla sua famiglia il bambino ivoriano entrato clandestinamente in un trolley, e restituite a lui la sua famiglia naturale regolarmente residente”.
Io l’ho appena firmata.
Puoi saperne di più e leggere la petizione qui:
https://www.change.org/p/governo-spagnolo-restituite-alla-sua-famiglia-il-bambino-ivoriano-entrato-clandestinamente-in-un-trolley-e-retituite-a-lui-la-sua-famiglia-naturale-regolarmente-residente-2?recruiter=19461845&utm_source=share_petition&utm_medium=email&utm_campaign=share_email_responsive
LEGGETE ANCHE: «Il bambino nascosto nel trolley: c’è vita là dentro»
di Alessandro Ghebreigziabiher
È qui in bottega (lo trovate sul colonnino di sinistra) e/o qui: http://www.storieenotizie.com/2015/05/il-bambino-nascosto-nel-trolley-ce-vita.html#sthash.s0naOOhk.dpuf
Grazie Daniela! Mi hai fatto venire in mente gli ultimi versi di “Solo andata” di Erri De Luca:
“Siamo gli innumerevoli, raddoppio a ogni casa di scacchiera
lastrichiamo di scheletri il vostro mare per camminarci sopra.
Non potete contarci, se contati aumentiamo
figli dell’orizzonte, che ci rovescia a sacco.
Siamo venuti scalzi, invece delle suole,
senza sentire spine, pietre, code di scorpioni.
Nessuna polizia può farci prepotenza
più di quanto già siamo stati offesi.
Faremo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.
Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.
Grazie Pierpaolo, “commossa sono” dalle parole di De Luca.