Clima: conferenze co-petrolizzate

L’amministratore delegato di una compagnia petrolifera presiederà la COP28

di Maxime Combes (*)

Non è uno scherzo: l’amministratore delegato di una compagnia petrolifera presiederà la COP28 sul clima che si terrà a Dubai nel dicembre 2023.
Piuttosto che disperare di tutto, perché non fare di questo appuntamento, perfetta incarnazione delle contraddizioni e delle tensioni globali di fronte all’emergenza climatica, un elettroshock globale?
Di certo c’è da sbattere la testa contro i muri: come accettare che la presidenza della COP28 che ospiterà i prossimi negoziati internazionali sul clima sia affidata a un amministratore delegato di una compagnia petrolifera?
Adesso però è ufficiale: Sultan Al Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti e amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), presiederà la 28a conferenza Onu sul clima che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai.
Quindi, sì, sicuramente molti di noi vogliono urlare “sono impazziti? “.
Si leggono molte reazioni in questa direzione.
A rischio, però, di generare intorno a noi un contagio di rancore, e/o di unirci al flusso di chi ripete più e più volte che “le COP sono inutili”.
Come se l’eliminazione delle COP ci facesse andare avanti: la lotta al riscaldamento globale, con la solidarietà internazionale obbligatoria, richiede comnque negoziazioni internazionali. COP quindi – se possibile migliorate nel funzionamento e più ambiziose nei contenuti – che sono indubbiamente il peggior sistema internazionale possibile ad esclusione di tutti gli altri.
Dietro a queste numerose reazioni – che comprendo e in gran parte condivido – emerge l’idea che una COP28  non presieduta da questo amministratore delegato degli Emirati avrebbe potuto farci progredire più rapidamente nella lotta contro il riscaldamento globale.

Se siamo seri sull’argomento e riconosciamo che per questo dobbiamo andare avanti sulla strada dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili (vedi i recenti rapporti dell’IPCC e dell’AIE per esempio), allora Niente è meno sicuro.

In effetti, le COP (**) non sono proprio attrezzate per porre fine ai combustibili fossili.
Dovremo riconoscerlo collettivamente per andare avanti: possa questa nomina del sultano Al Jaber accelerare questo “test di realtà”.
Per dirla in un altro modo, in modo un po’ provocatorio, se ti aspettavi che le COP mettessero fine ai combustibili fossili – o ci facessero progredire in questa direzione – è perché non avevi capito bene il film.
Anche se significa ripetermi ancora una volta (vedi questa nota pubblicata a novembre 2021 per spiegazioni più dettagliate):- la riduzione della produzione di combustibili fossili non rientra legalmente nel mandato dei negoziati sui cambiamenti climatici: la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale (UNFCCC), redatta nel 1992, non menziona i combustibili fossili, né nel suo capitolo che fissa l’obiettivo di “ stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera” (articolo 2) né negli impegni che gli Stati hanno preso collettivamente in questa occasione (articolo 4);- le negoziazioni funzionano come se fossero “neutre” dal punto di vista delle fonti energetiche e del mix energetico, quest’ultimo considerato dagli Stati come un elemento non negoziabile della sovranità nazionale;

dopo l’indipendenza, il principio della sovranità permanente di uno Stato sulle proprie risorse naturali è stato sancito dall’ONU e progressivamente introdotto nel diritto internazionale, e i Paesi, tra cui il Nord, vi sono particolarmente legati;

nessuno Stato, nessuna istituzione internazionale, ha mai proposto alla COP sul clima di limitare alla fonte la produzione di carbone, gas e petrolio in quasi trent’anni di trattative;

l’accordo sul clima di Parigi non menziona i combustibili fossili, né i mix energetici globali o nazionali;

si è dovuto attendere fino alla COP26 di Glasgow per veder menzionati i combustibili fossili nel testo finale di una COP, in una forma poco invitante e con ambizioni più che limitate.
Sperare che la COP28 e le successive ci facciano progredire velocemente sulla strada verso la fine dei combustibili fossili è quindi un’aspettativa irragionevole.
Nel 1992, e da allora, gli Stati del pianeta, Francia e Unione Europea comprese, si sono trovati d’accordo sul principio che la lotta al cambiamento climatico dovesse avvenire senza alcuna possibile negoziazione dei mix energetici nazionali.

Che un amministratore delegato di una compagnia petrolifera di una petromonarchia diventi presidente della COP ci pone quindi al centro delle attuali tensioni e contraddizioni: le politiche energetiche nazionali (o regionali) che determinano in gran parte il mix energetico globale, e quindi l’accelerazione del riscaldamento globale, non possono essere oggetto di trattative all’interno delle COP.
Pertanto, in questa fase, gli impegni presi in termini di riduzione delle emissioni di gas serra non si sono mai tradotti in impegni di riduzione della produzione di idrocarburi.
Nè in Europa che negli Stati Uniti o in Cina o nel resto dei Paesi del pianeta.
Né prima della COP21 né dopo.

Che questo amministratore delegato di una compagnia petrolifera sia allo stesso tempo un grande sostenitore dello sviluppo delle energie rinnovabili (si veda ad esempio questo articolo di Audrey Garric su Le Monde) è anch’esso sintomatico di queste attuali tensioni e contraddizioni.
Il futuro presidente della COP28 ha fondato Masdar, una società dell’energia rinnovabile, e ha contribuito a creare Masdar City, che è un modello di città ecologica che ospita la sede dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena).
Inoltre, gli Emirati Arabi Uniti stanno investendo massicciamente nelle energie rinnovabili, in particolare nel solare, mentre un terzo del loro PIL è legato allo sfruttamento delle loro risorse e i loro leader intendono aumentare la produzione di barili di petrolio di oltre il 40% entro 2030 (5 milioni di barili).

Affermare il massiccio sviluppo delle energie rinnovabili pur continuando a fare affidamento sui combustibili fossili non è fondamentalmente diverso da:

– cosa sta accadendo nel mix energetico globale e nel mix energetico di ogni Paese del pianeta: le energie rinnovabili si aggiungono sostanzialmente al mix esistente e difficilmente sostituiscono, in questa fase, i combustibili fossili;

– cosa stanno facendo i paesi europei, soprattutto dopo la guerra in Ucraina: negoziare a tutti i costi nuovi accordi per la fornitura di combustibili fossili (gas di scisto USA, gas del Qatar e dell’Algeria, diesel degli Emirati, ecc.) promettendo alle loro opinioni pubbliche di risolvere la crisi climatica e sviluppare le energie rinnovabili. Così la Francia, tramite Emmanuel Macron, Agnès Pannir-Runacher e Patrick Pouyanné, amministratore delegato di Total Energies, si è affrettata nell’estate del 2022 a firmare un accordo con gli Emirati Arabi Uniti per aumentare le importazioni di combustibili fossili in Francia dopo la guerra in Ucraina;

– cosa stanno facendo le multinazionali dell’energia come Total Energies: comunicare a tutto spiano l’aumento dei loro investimenti in energie rinnovabili quando i loro investimenti in combustibili fossili continuano a crescere ed hanno in programma di aumentare il loro sfruttamento nei prossimi anni.

La nomina di Sultan Al Jaber a Presidente della COP28 non fa che esporre agli occhi del maggior numero di persone le terribili contraddizioni in cui sono invischiati i nostri governi, le nostre multinazionali e le nostre economie e società: come svezzare l’economia mondiale dai combustibili fossili che rappresentano quasi l’80% del mix energetico globale e oltre l’82% delle emissioni globali di gas serra?
Possa questo appuntamento sollevare definitivamente il velo in cui i dibattiti sul riscaldamento globale spesso rimangono chiusi: la sfida che abbiamo di fronte è molto più gigantesca della presidenza unica della COP28.
A seconda delle vostre preferenze, vi suggerisco quindi di farvi una bella risata, o piangere e lamentarvi, o addirittura prendervi gioco di questa nomina del futuro presidente della COP28.
Quindi, per riunirci collettivamente:

-le COP non ci permetteranno di porre fine ai combustibili fossili per anni
-nessuno sa esattamente come farla finita su scala globale quando la produzione di petrolio e gas dovrebbe diminuire del 3% all’anno fino al 2050 e del 7% per il carbone.

Questa è la sfida che è collettivamente davanti a noi e che dovremmo considerare prioritaria. Speriamo che questa nomina dell’amministratore delegato di Adnoc alla presidenza della COP serva da shock globale.

Per vostra informazione, troverete una serie di proposte per includere l’uscita dai combustibili fossili nella governance climatica globale alla conclusione di questa nota pubblicata nel novembre 2021: Le COP possono organizzare l’uscita dai combustibili fossili?
Tratto da Mediapart.

(*) Maxime Combes è un economista, esperto di politiche climatiche, commerciali e d’investimento.

(**) COP è l’acronimo di Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC).

Immagini:

Logo COP28.
Oil Pump Jack, by Paul Lowry.Licenza CC BY 2.0.
Oil Rig And Shore, by mrpbps.Licenza CC BY 2.0.
Trans-Alaska Oil Pipeline, by rickz. Licenza CC BY-NC-ND 2.0.

alexik

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