Coisp: gas Cs, Ferrara e molto altro
due articoli di Lorenzo Guadagnucci e Marco Trotta
Il sit-in in favore degli agenti condannati per l’uccisione di Federico Aldrovandi ha un preciso brodo di coltura: l’erosione progressiva dello spirito democratico che ispirò la riforma dell’81. Dopo Genova G8 il vertice di polizia ha favorito il corporativismo e il rifiuto di ogni autocritica, accentuando la deriva. Oggi servirebbe una nuova, profonda riforma
di Lorenzo Guadagnucci per Altreconomia
Il sit-in del sindacato Coisp sotto il Comune di Ferrara e la sua difesa degli agenti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi, sta scandalizzando mezza Italia, spaventata da ciò che bolle in pentola nel ventre delle forze dell’ordine, un universo assai poco conosciuto e sempre più opaco.
Gli altri sindacati di polizia, il ministro dell’Interno, l’ex capo della polizia De Gennaro si sono affrettati a precisare che il Coisp è una piccola organizzazione dai modi provocatorii e che non esprime il sentire comune del corpo di polizia. Effettivamente è così e ci mancherebbe altro che non lo fosse…
E tuttavia, liquidare questa vicenda come un caso isolato di estremismo sarebbe un grave errore. Il caso è semmai una spia del brodo di coltura nel quale il sindacato Coisp è nato e cresciuto: un contesto nel quale i valori che ispirarono la smilitarizzazione della polizia di stato (1981) e la sua apertura alla società sono un ricordo più che sbiadito.
Da tempo l’idea di una “polizia democratica”, cioè aperta, trasparente, responsabile, svincolata da poteri oscuri, cioè l’idea che mosse alcuni poliziotti coraggiosi a sfidare i divieti e promuovere i primi sindacati clandestini fino a ottenere la riforma del 1981, è un’idea minoritaria. Il sindacalismo di polizia si è sfaldato e ha generato innumerevoli sigle, per lo più corporative, nate per difendere microinteressi o addirittura su indicazione (o almeno con il patrocinio) dei vertici di polizia.
L’erosione della riforma dal suo interno è stata progressiva ma ha subito un’accelerazione impressionante nell’ultimo decennio. La terribile vicenda di Genova G8, invece d’essere l’occasione per un’autocritica e l’avvio di un’inversione di tendenza, è stata usata per accentuare la chiusura corporativa e ingaggiare una prova di forza coi poteri elettivi, per affermare cioè un’indipendenza che va ben oltre la lettera e la prassi della Costituzione. È una prova di forza che il vertice di polizia ha vinto facilmente, per la complicità di forze politiche deboli e in crisi di identità e per l’assenza di un sindacalismo democratico cosciente del rilievo politico della posta in gioco.
La polizia di stato è uscita dalla prova post-Genova G8, giocata soprattutto nei tribunali, nel peggiore dei modi. Il vertice formato da funzionari fedeli alla gestione De Gennaro-Manganelli è stato letteralmente decapitato l’estate scorsa dalla sentenza definitiva della magistratura sul caso Diaz. Altissimi dirigenti (Gratteri, Caldarozzi, Luperi) hanno subìto pene importanti e sono stati in aggiunta sospesi per cinque anni dai pubblici uffici.
La sentenza è arrivata nonostante il pervicace tentativo della polizia di stato, ossia del suo vertice, di ostacolare il corso della giustizia, sia sul piano pratico con il boicottaggio dell’inchiesta, sia su quello politico e simbolico con le promozioni degli imputati e la loro conferma anche dopo le sentenze di condanna di secondo grado.
E niente è cambiato dopo il giudizio di Cassazione. In qualsiasi altro paese dopo una così grave sconfessione il capo della polizia avrebbe presentato immediate dimissioni e tutti i condannati (anche chi ha beneficiato della prescrizione) sarebbero stati sospesi. Niente del genere è avvenuto.
Il capo della polizia Manganelli si è limitato a dire “è arrivato il momento delle scuse”, con un gesto ambiguo, tardivo (da almeno dieci anni è accertato sul piano storico che alla Diaz furono commessi abusi e falsi clamorosi) e privo di qualsiasi conseguenza pratica.
Tutti i condannati sono rimasti al loro posto, salvo quelli colpiti dalla pena accessoria stabilita dal giudice, e non risulta che siano state avviate azioni disciplinari di alcun tipo contro chicchessia. Fra 5 anni, una volta scaduta l’interdizione, i funzionari condannati potranno tornare al loro posto!
Nella sua lotta contro la magistratura, nella sua difesa cieca e corporativa di se stesso, nella sua assoluta incapacità di autocritica e quindi di prevenzione di abusi futuri, il gruppo dirigente che ha guidato la polizia da Genova G8 in poi, si è reso responsabile di un grave degrado dell’etica democratica all’interno di quell’istituzione.
Si è tollerato e ammesso di tutto. Le bravate passate e presenti del Coisp, ma anche i tentativi di manipolare i processi e soprattutto si è permessa la permanenza in servizio di agenti e funzionari responsabili di abusi e falsi con la pericolosa “scusa” che è compito della magistratura l’accertamento dei reati (ma è compito della polizia punire chi sbaglia e prevenire ulteriori abusi!).
E come dimenticare l’incredibile ribellione degli agenti napoletani che nel 2002 arrivarono a circondare la questura per impedire l’arresto di alcuni loro colleghi per gli abusi commessi nel marzo 2001 in occasione della contestazione a un Forum internazionale. E non possiamo tacere del silenzio e dell’assenza di provvedimenti seguiti regolarmente a ogni denuncia circostanziata di abusi evidenti: dal lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo in Val di Susa al pestaggio di uno studente durante una manifestazione e via elencando.
La vicenda di Ferrara è odiosa e abnorme e dobbiamo ringraziare Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, per il coraggio e lo stile che ha adoperato per affrontare l’odioso sit-in, ma il malessere della polizia è molto più profondo e più grave di quel che appare in queste ore.
Per provare a ridare senso all’idea di “polizia democratica” coltivata da tanti agenti subito prima e subito dopo la riforma dell’81, oggi servirebbero provvedimenti forti.
1) Il commissariamento della polizia di Stato con un funzionario preso fuori delle forze dell’ordine e l’avvio di un ampio rinnovamento del vertice operativo;
2) la sospensione immediata di tutti gli agenti rinviati a giudizio o sotto inchiesta;
3) il licenziamento o il passaggio ad altri apparati amministrativi dello stato di tutti i condannati;
4) l’abolizione della norma che riserva l’accesso alla polizia di chi abbia prestato servizio militare volontario;
5) l’introduzione di una legge sulla tortura come reato specifico delle forze dell’ordine;
6) l’obbligo per gli agenti in servizio di ordine pubblico di indossare sulla divisa un codice di riconoscimento;
7) l’istituzione di un organismo indipendente di verifica dei comportamenti delle forze dell’ordine.
G8 di Genova e gas CS, le “parole” del Coisp prima di Aldrovandi
di Marco Trotta
La lista delle manifestazioni e delle uscite controverse del Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle forze di Polizia, meglio conosciuto come Coisp, che l’altro giorno ha manifestato sotto l’ufficio di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, è piuttosto lunga. Nelle ultime ore diversi politici, e perfino il ministro degli internet Cancellieri attaccata direttamente, hanno avuto parole di deplorazione. Eppure, in pochi si ricordano, per esempio, un comunicato datato 14 agosto 2011 nel quale il sindacato si scagliava contro il famoso menù a prezzi stracciati delle camere, simbolo da allora dei privilegi di casta, che veniva confrontato con i «poliziotti che guadagnano 1500 euro (quelli che ci arrivano) e che hanno in tasca qualche buono da 7 euro».
Forse il sito del sindacato è ancora inaccessibile dopo l’attacco di Anonymous, altrimenti lo potreste ancora leggere qui. Soprattutto per il finale decisamente proto-golpista: «Viene voglia di venire sotto Palazzo Madama e Montecitorio, magari il giorno di ferragosto, e spararvici all’interno i nuovi lacrimogeni in dotazione così si coglierebbero due piccioni con una fava, ovvero si otterrebbe lo sgombero immediato di certi ristoranti da politici mediocri e si testerebbero su quest’ultimi gli effetti dei nuovi artifici lacrimogeni in dotazione alle forze di Polizia, la cui lesività nonostante le numerose interpellanze parlamentari, è sempre stata tenuta nascosta da Lor Signori».
A questa uscita Beppe Grillodedicò un post sul sito, anche se ad onor del vero ha dato anche ampio spazio alla vicenda Aldrovandi. Ma in realtà l’aspetto più interessante è che per la prima volta anche dalle parti della polizia si faceva esplicito riferimento all’uso di gas CS vietati dalle convenzioni di guerra eppure utilizzati dalla polizia italiana in situazioni di ordine pubblico in Val Susa come 12 anni fa al G8 di Genova (un ottimo libro di Edoardo Magnone ed Enzo Mangini, «La sindrome di Genova», ricostruisce la questione).
E a proposito di G8 di Genova, il COISP non ha mancato di farsi sentire sul tema ogni anno. Se a Ferrara, per esempio, se l’è presa con «Estense», denunciando il direttore Marco Zavagli (nonché collaboratore del Fatto Quotidiano Emilia Romagna) all’ordine dei giornalisti che aveva stigmatizzato l’iniziativa del camper del Coisp che diffondeva un volantino dove Federico veniva definito “drogofilo” e solidarizzava con i 4 poliziotti condannati anche se nessuno di loro «ha mai neppure minimamente pensato di infierire su una persona inerme» (il segretario Maccari ha definito la foto di Federico insanguinato un fotomontaggio e per questo si prenderà una querela), a Genova nel luglio 2011 era il segretario provinciale Matteo Bianchi a prendersela con la stampa rea a suo dire di «pubblicare, ogni qualvolta i nomi e cognomi di poliziotti implicati in vicende giudiziarie, magari come semplici indagati o, peggio ancora, quando gli interventi vertono su fatti extragiudiziali». Ma che fossero fatti “extragiudiziali” era tutto meno che vero. Il riferimento era a voci di corridoio del tribunale di Genova intorno a un poliziotto definito “non gradito”.
Peccato che si trattasse – come ci conferma l’avvocato di parte civile Emanuele Tambuscio – di Antonio Del Giacco, uno dei 5 poliziotti della Digos di Genova che fu condannato in via definitiva per l’arresto di alcuni ragazzi fra i quali Marco Mattana, all’epoca minorenne. La sua foto col volto tumefatto dopo il calcio sferrato dal vice questore Alessandro Perugini fece il giro del mondo. Quei poliziotti non furono condannati per lesione ma per falso e calunnia nelle dichiarazioni nei verbali di arresto e non subirono sanzioni rispetto alla loro carriera. Comunque non certo il miglior viatico per poter collaborare con la procura successivamente.
E ancora, lo stesso Bianchi se la prese con l’allora sindaco di Genova Marta Vincenzi per la cittadinanza onoraria a Mark Cowel, il giornalista inglese lasciato in coma con denti e costole rotte di fronte alla Diaz. Peccato che per quel pestaggio il tribunale ha sancito un risarcimento di 350 mila euro ai danni del ministero degli Interni mentre il pm Zucca, nell’archiviare la posizione di 20 poliziotti indagati ha dovuto censurare «il malinteso spirito di corpo» che ha «di fatto impedito la doverosa collaborazione degli inquirenti con l’ufficio della Procura nell’individuazione delle responsabilità di coloro che, macchiandosi di reati gravissimi, hanno leso l’onore di tutta la polizia italiana».
E poi è ancora il Coisp a prendersela con il produttore Domenico Procacci per il film «Diaz» che venne definito «pericoloso» perché bisognava aspettare la sentenza definitiva, peccato che già allora il primo grado avesse sancito che quella sera «tutti gli operatori di polizia si sono scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero fermi con le mani alzate, e senza sentire ragione alcuna (né per l’età avanzata, né per l’atteggiamento remissivo, né per la rivendicazione della qualifica di giornalisti) hanno colpito tutti con i manganelli, con i cosiddetti “tonfa”, con pugni e calci; il tutto urlando insulti e minacciando di morte».
Ed è sempre il COISP a ricordare a suo modo ogni volta il G8 di Genova, per esempio nel decennale con grandi cartelloni su cui c’era scritto«”L’estintore quale strumento di pace”» per riportare «alla memoria degli italiani il terrore seminato dai no-global in quei giorni che hanno scritto una delle pagine piu’ buie della nostra storia contemporanea». Peccato che non abbiano ricordato anche che il segretario nazionale Maccari – che si definisce di destra e fu candidato negli anni ‘90 per Alleanza nazionale – ha accompagnato personalmente Gianfranco Fini nella famosa “visita di saluto” di 8 ore alla sala operativa con i carabinieri.
Qualunque giudizio si voglia dare su questa vicenda, un fatto è certo: il Coisp ancorché sindacato minoritario, rappresenta la spia di un malessere e di dinamiche presenti nella polizia italiana che escono fuori periodicamente quando si discute di ordine pubblico. E una volta di più è la politica a essere latitante in questo senso. La risposta di Gianni De Gennaro («Non sono più capo della polizia») alla domanda se ritenesse necessari provvedimenti nei confronti di quei poliziotti è del tutto insufficiente, detta soprattutto da uno che oggi è sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E ancora non si sono visti ministri chiedere conto all’unico responsabile dell’autorizzazione della manifestazione del COISP sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia Aldrovandi: il questore di Ferrara. E intanto nell’impasse generale della politica nazionale ci si sta scordando che nella legislazione italiana manca il reato di tortura. Uno dei pochi fatti – insieme a provvedimenti concreti nei confronti di poliziotti colpevoli – che potrebbero restituire un po’ di giustizia e dignità alle vittime di malapolizia di questo Paese, oltre le dichiarazioni di solidarietà di circostanza che abbiamo sentito negli ultimi tempi.