Colazione al crepuscolo di Philip K. Dick
Un racconto esemplare. Non eccellente: esemplare.
di Mauro Antonio Miglieruolo
Una tranquilla famigliola, come ce ne sono tante nel lontano West e nella vicina Europa, si trova ad affrontare una grave contingenza: il ritrovarsi coinvolti in una guerra del vicinissimo futuro (da lì a pochi anni avanti). All’origine di quella straordinaria contingenza (si chiarirà subito) c’è uno smottamento temporale provocato da uno dei tanti bombardamenti nemici, uno particolarmente intenso. Le conseguenza sono che l’intera casa della famigliola di Tim McLean viene risucchiata in una dimensione disastrosa, lontana appena sette anni, ma sono sette anni che ne valgono mille. Il mondo in cui entrano è fatto di sola polvere, radiazioni e rovine. Il morbo cinereo imperversa. La società è militarizzata, vige una sorta di segregazione sessuale-lavorativa (gli uomini combattono, le donne si occupano delle fabbriche, i bambini sono in costretti in Centri di Ricollocamento) che minaccia di smembrare l’intera famiglia.
Le condizioni di vita agli sventurati crononauti per caso sono tali che essi decidono di restare in casa e esporsi ai pericoli di un nuovo intensissimo bombardamento che potrebbe riportarli nel tempo di origini. La sfida di nessun pericolo sembra a loro adeguata a dissuaderli dal non porre in atto quel disperato tentativo.
(Racconto incluso nell’antologia Fanucci “Tutti i Racconti 1954” – Euro 9,90)
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Come puntualizzato sin dall’intitolazione il racconto, pur essendo molto buono, non risulta eccezionale. Troppo rapido lo svolgimento e troppo poco sbozzati i caratteri per risultare tale. Tuttavia può bene essere scelto per illustrare determinate caratteristiche della fantascienza, le caratteristiche salienti, a causa proprio di questa sua voluta sinteticità, alla quale occorre aggiungere la semplicità (relativa scarsezza degli elementi fantascientifici messi in gioco, nonché degli espedienti narrativi), che la rendono appunto una storia esemplare (va diretta allo scopo). Una storia che meglio di tante altre permette di illustrare i meccanismi che presiedono alla costruzione di una storia di fantascienza: della vera fantascienza. Cioè a quel fenomeno letterario che, pur restando immersa nella letteratura di consumo, nella quale può essere incluso il genere quando presenta gli elementi “cosali” che si presume la caratterizzino, è riuscito a emanciparsene sovrapponendo a tali elementi, le aspirazioni profonde che hanno attraversato il Novecento.
Esemplare dunque per poter illustrare ciò che è, o può e dovrebbe essere la fantascienza; nonché farla meglio conoscere a coloro che, pur non frequentandola abitualmente, non hanno rifiuti viscerali e aprioristici a comprenderla.
Il primo punto è presto detto, presto esaurito: la fantascienza non parla d’altro, lo vediamo bene nell’esempio portato, che del presente; delle pulsioni, preoccupazioni e problemi del presente. Al quale (per meglio manifestare, mentre le maschera) sovrappone uno o più “se”, operazione essenziale per questa letteratura, tutta proiettata verso la speculazione. Cosa succederebbe se… quali nuovi problemi sorgerebbero se… quali verrebbero risolti se… la nostra vita migliorerebbe se… Tanti, tanti se, una infinita successione di se.
Proprio per il fatto di porsi tali domande, per poterle porre al lettore e insieme fornire una risposta; e proprio per averle sapute porre all’interno della formula tecno-avventurosa prevalente alle sue origini (e prevalente oggi nelle proposte cinematografiche) che la fantascienza è riuscito a trovare le proprie motivazione e nello stesso tempo il successo. Cioè l’essere rimasta ancorata alla letteratura popolare da una parte; e dall’altra avere inserito quegli elementi di speculazione, che sono anzitutto elementi valoriali, in grado di valorizzarla e orientarla diversamente. Il cui primo valore è l’accessibilità della lettura (al contrario del mainstream che quasi nello stesso tempo spesso si sperdeva nelle ostinate fughe in avanti – e nel nulla – dell’avanguardia) di linguaggi che dovrebbero essere di tutti, ma che non sempre di tutti sono. Seguito dalla grande capacità, particolarmente rilevante in Dick, di servirsi del tritume quotidiano, delle vite spese dietro le piccole cose, per approdare ai grandi temi, alle grandi domande che assillano gli uomini e li guidano sulle vie impervie del progresso. Rendendo possibile in questo modo (unità di semplicità, avventura e contenuto) un livello di identificazione e di gratificazione nella lettura che altrimenti le scelte stilistiche elementari e gli scarsi approfondimenti psicologici e esistenziali impedirebbero di realizzare.
Chi, infatti, non sia aprioristicamente dedicato ai soli “autori mitleuropei” (ne conosco anche di particolarmente intelligenti), negherebbe a se stesso il piacere di riconoscersi con gli eroici McLean? O con il giovane Earl, costretto a ritornare sbigottito a casa ricacciato indietro da un manipolo di soldati? Qui sono in gioco, e sono apprezzabili, numerosi elementi di normalità, normali i protagonisti stessi (così lontani degli eroi di oggi, tutti più o meno inquinati da superomismo), ai quali viene offerto l’opportunità di giocare il ruolo più alto che in effetti giocano: quello di protagonisti della Storia. Soltanto che in una storia nella quale non sono più oscuri e silenziosi, come ordinariamente avviene, ma gli attori principali.
Priva di tali elementi la fantascienza carente com’è sul piano stilistico strutturale (con le sue tendenze eversive), in un secolo cerebrale com’è stato il Novecento e continua a essere il Duemila, stante la tendenza generale al conformismo, non avrebbe avuto alcuna possibilità di affermarsi.
Lo stesso vale per il secondo punto. Essendo stato detto l’essenziale che occorreva fosse detto sul primo, sono sufficienti poche altre parole per offrire a coloro che mancano di familiarità con la fantascienza di scoprirne le più intime caratteristiche.
Benché essere una accozzaglia di storie più o meno ben fatte sui Marziani, Robot, Mutanti, UFO, Fenomeni Paranormali, Improbabili (per come sono descritti) attraversamenti di Galassie (le galassia medesime rappresentate molto discutibilmente); benché essere la paccottiglia di optional tecnologici e di cascami narrativi catturati da ogni genere di lettura, la fantascienza stessa permanentemente cannibalizzata; benché infine rilucere per le sua facoltà precognitive, cioè di anticipare il futuro o le tecnologie e gli assetti sociali del futuro; essa nella sua essenza ultima è letteratura valoriale, la letteratura che si è assunto il compito di esprimere speranze, ideali e utopie del periodo in cui opera. Anzi, è l’unica letteratura che per sua natura sistematicamente faccia ricorso a quegli ideali, quelle speranze, quelle utopie. A volte lo fa, come è nel racconto preso in esame, per manifestare o rafforzare il ripudio della guerra, altre invece per denunciare l’oppressione della dittatura pubblicitaria e i perduranti ristagno razzistici presenti nella società, oppure per imbastire una propria polemica contro le ingiustizie del mondo, contro l’arroganza dei potenti, i pericoli insiti nel progresso scientifico stesso, le paurose possibilità di totalitarismo non del tutto cancellato. E altri temi ancora, e ancora.
Rifiutarsi di comprendere tali peculiarità rende impossibile farsi un’idea propria di quel che è stato e tende tutt’ora a essere, nonostante le ricadute “cosali” sull’optional tecnologico, la fantascienza. Ma peggio è più grave ci si amputa la possibilità di pervenire a una comprensione più profonda di certi aspetti del XX Secolo. Non aspetti qualsiasi, quelli più significativi. Gli stessi che hanno mosso a due guerre mondiali e permettono oggi alla struttura di potere del Capitale Finanziario di devastare l’ambiente e le vite di miliardi di uomini.
Esemplare dunque il racconto per questo: perché rappresenta, ridotto all’osso, una sorta di concentrato di ciò che le masse hanno appreso dalle due devastanti crisi belliche del Novecento. La guerra. E permette di individuare nella fantascienza uno dei mezzi migliori per meglio illustrare questo rifiuto.
E i tanti altri rifiuti che l’oggi quotidiano esige da noi tutti.
concordo in buona parte con l’analisi… non raggiunge le vette di perfezione di racconti quali “Spero di arrivare presto”, “La Cosa Padre”, “La fede dei nostri padri”, “La formica elettrica” e “Ricordiamo per voi”, che considero in assoluto i migliori racconti del grande Phil, assolutamente paragonabili per prosa e invenzione fantastica alla narrativa del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, ma esprime altrettanto bene certe ossessioni di Dick, quali appunto lo straniamento, operato dallo scivolone nello spaziotempo, vera e propria metafora dell’estraneità dell’uomo a se stesso e al proprio ambiente, sempre in procinto di cadere a pezzi o palesemente falsificato dagli stessi protagonisti.
Bell’analisi, non c’è che dire… complimenti!
“la fantascienza non parla d’altro che del presente; delle pulsioni, preoccupazioni e problemi del presente”
molti non lo capiscono, aprioristicamente, dici bene..
qualche anno fa, anni 70, a Ursula Le Guin chiesero come mai la fantascienza fosse così in salute e rispose, vado a memoria, che era il “genere” letterario che meglio interpretava la realtà.
ma la memoria è fallace, a volte, lo ricordo solo io?
non ricordo questa frase ma è ben possibile. D’altro canto proprio zia Ursula in uno dei saggi raccolti in «Il linguaggio della notte» si mostrò moooooolto severa con la fantascienza banale (scritta – vado a memoria anche io – da maschi “alfa”, reazionari e imperialisti). Indagheremo ma per intanto io tengo buona l’idea che la fantascienza tenta (almeno tenta) di fare i conti con un nodo storico che quasi sempre le altre scritture rimuovono. Non è poco, non è poco, non è poco..