Colombia: cambiamento o status quo?

Oggi, 19 giugno, ballottaggio fra Gustavo Petro e Rodolfo Hernández. Da una parte la visione di uno Stato progressista, dall’altro quella di un Paese che è sempre stato amministrato da un’oligarchia senza scrupoli. Petro e Francia Márquez, costretti a fare i conti con la guerra sporca delle destre, rappresentano il vero cambiamento di una Colombia stremata da violenza e disuguaglianze sociali.

di David Lifodi

Oggi, 19 giugno, per la Colombia potrebbe essere una giornata storica se la coppia Gustavo Petro – Francia Márquez riuscisse a conquistare Palacio Nariño. Si vota, infatti, per il secondo turno delle presidenziali.

Al primo turno, a soffiare la palma di sfidante a Petro a Federico Gutiérrez è stato Rodolfo Hernández: la destra guarda all’ex sindaco di Bucamaranga e alla sua vice, Marelen Castillo, della Liga Anticorrupción, per strappare la vittoria al Pacto Histórico.

Gli ultimi giorni della scorsa settimana sono stati caratterizzati, ancora una volta, da una serie di omicidi contro i leader sociali. Ad essere stati assassinati sono stati in sei: il sindacalista Cèsar Ojeda Jara, del Sindicato Único de Trabajadores Educadores del Valle (Sutev), l’esponente delle comunità indigene José Ernesto Cuetia Yajue, nella Valle del Cauca, Danilo de Jesús Madrid López e Clara Isabel Samudio Perafán, persone di alto profilo all’interno delle rispettive comunità, Óscar Parada Torres, del coordinamento Lgbtqi+ di Bogotá e, infine Jesusita Moreno, a Cali (Valle del Cauca), dove si era rifugiata a seguito delle minacce di morte dovute alle sue attività nel municipio di Istmina (Chocó).

Secondo i dati in possesso di Indepaz (Instituto de estudios para el desarrollo y la paz), sotto la presidenza uscente di Iván Duque sono stati assassinati 930 militanti sociali.

Tutta la campagna elettorale è stata caratterizzata da episodi di questo tipo e gli stessi Gustavo Petro e Francia Márquez sono stati vittime di pesanti intimidazioni.

L’improvvisa comparsa sulla scena, per quanto non del tutto inattesa, dell’ingegnere settantasettenne Hernández rischia di scompaginare le carte in tavola, sebbene Gustavo Petro, al primo turno, abbia ottenuto il 12% di voti in più rispetto al suo rivale.

Molto dipenderà anche da come sceglierà di votare la destra uribista, rimasta spiazzata dal fallimento di Federico Gutiérrez. Nonostante Hernández abbia dichiarato più volte di non accettare alcun compromesso con gli altri candidati rimasti esclusi dal ballottaggio, allo scopo di cavalcare fino in fondo il suo ruolo di candidato anticorruzione né di destra né di sinistra (“Mi compromiso no es con la derecha ni con la izquierda”, ha ribadito), è probabile che la borghesia colombiana farà di tutto per sbarrare al strada al tanto atteso cambiamento promesso da Gustavo Petro.

Inoltre, a non far dormire sonni tranquilli al Pacto Histórico vi è il timore che Gustavo Petro abbia già raggiunto quasi il massimo dei voti che poteva ottenere, circa due milioni e mezzo in meno della somma somma Gutiérrez-Hernandéz, che si presenta sui social network, compreso Tik-Tok, come viejito pero sabroso”. Cavalcando l’onda delle campagne politiche degli ultimi anni, Hernandèz rifiuta i confronti pubblici, è molto più presente nelle reti sociali rispetto a Petro e strizza l’occhio al peggior qualunquismo con slogan come questo: “La mujer metida en el gobierno a la gente no le gusta. Es bueno que ella haga los comentarios y apoye desde la casa”.

A dominare è la paura che la destra si sposti quindi su Rodolfo Hernandéz, un candidato mascherato come super-partes, ma in realtà molto legato a quella vecchia politica che non vuole assolutamente il centro-sinistra al governo e, ancor meno, figure come Francia Márquez, esponente di spicco dell’afrofemminismo colombiano, a Palacio Nariño.

Attivista a difesa dei territori ancestrali della sua comunità, a partire dalle battaglie contro l’estrazione mineraria, Francia Márquez ha vissuto sulla propria pelle l’esclusione sociale in un paese dove la questione della terra, e il furto da parte delle risorse da parte delle multinazionali, rappresentano una pratica comune. I richiami di Francia Márquez all’urgenza di “femminizzare la politica” e la sua partecipazione ai negoziati tra l’allora presidente Santos e la guerriglia delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, insieme alle coraggiose denunce delle violenze commesse dalla polizia, le hanno dato una forte statura morale di rappresentante delle donne afrocolombiane, ma dall’altro hanno attirato su di lei l’odio delle milizie paramilitari.

Sull’esito elettorale pesa inoltre il ruolo delle Forze Armate. Gustavo Petro è già stato definito come il nemico interno. È stato lo stesso leader delle Forze Armate, Eduardo Zapateiro, nominato da Duque, a rivolgersi così, su Twitter, all’ex sindaco di Bogotá: “Usted como senador hace parte del colectivo al cual señala como politiqueros del narcotráfico”. Questo tweet, insieme ad altri, non solo non sono mai stati cancellati, ma hanno ottenuto moltissimi “like” e condivisioni, tra cui quelle dell’Asociación de Oficiales Retirados. In pratica, si è trattato di un messaggio dal tipico stile mafioso, quello utilizzato spesso dai cartelli del narcotraffico, nonostante la Costituzione vieti ai militari di rilasciare dichiarazioni sullo scenario politico del paese.

A rincarare la dose non poteva mancare l’ex presidente Álvaro Uribe, quello che i paramilitari li ha fatti entrare direttamente all’interno del Congresso: “Petro, para congraciarse con narcoterroristas, cambió la extradición que les harían; ofrece al narcoterrorismo el seguro de no extradición”.

In Colombia si trova la maggior parte delle basi militari Usa presenti nel continente latinoamericano e il paese si colloca in una posizione strategica fondamentale per controllare, ed eventualmente attaccare o destabilizzare, gli altri paesi insurgentes del Sudamerica, come già accade da anni con il Venezuela.

In definitiva, ha senz’altro ragione il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador nel dire che Petro è costretto ad affrontare una “guerra sucia de lo más indigno y cobarde”.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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