Colombia: estrattivismo a tutti i costi
La multinazionali svizzera Glencore, nel dipartimento di La Guajira, gestisce la più grande miniera di carbone a cielo aperto del paese, ha deviato il corso di un torrente e costretto le comunità indigene wayúu ad abbandonare i territori ancestrali.
di David Lifodi
foto: https://ejatlas.org/
L’estremo nordest della Colombia è nelle mani della multinazionale svizzera Glencore che, nel dipartimento di La Guajira, gestisce la più grande miniera di carbone a cielo aperto del continente latinoamericano, el Cerrejón.
Nel dipartimento La Guajira abitano anche le comunità indigene wayúu, costrette da decenni a fare i conti con la miniera di carbone, fino al 2021 di proprietà delle transnazionali minerarie BHP e Anglo American, prima della cessione delle azioni a Glencore.
I danni delle imprese minerarie sono quelli purtroppo già verificatisi in molti altri paesi latinoamericani: comunità costrette ad abbandonare la loro terra, crescita dell’inquinamento e della devastazione ambientale, ma soprattutto la deviazione dei corsi d’acqua, che ha spesso privato dell’oro blu gli afrodiscendenti, a partire dal torrente Bruno, il cui letto è stato spostato di 700 metri più a nord rispetto alla sua collocazione naturale. È proprio per questo motivo che le comunità wayúu hanno presentato una Acción de Tutela alla Corte Costituzionale colombiana che, nel 2017, aveva dato loro ragione ordinando a BHP e Anglo American di sospendere le attività per ingrandire la miniera.
Tuttavia, forte del suo potere finanziario, Glencore ha proseguiro nel disattendere l’ordine della Corte, come BHP e Anglo American, ed ha presentato una domanda di arbitrato internazionale contro lo Stato colombiano, accusato di impedire alla multinazionale di sfruttare il torrente Bruno. Per fermarsi, Glencore ha richiesto alla Colombia un risarcimento in denaro, una storia purtroppo già vista in molti paesi sudamericani, a partire dalla Bolivia, quando il primo governo Morales si scontrò con il Ciadi (il Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti della Banca mondiale, con sede a Washington) per tutelare le proprie risorse idriche e non vedersele soffiare dalle transnazionali.
Ritenuto dalle comunità indigene wayúu non solo una fonte d’acqua molto importante, ma anche dal forte valore spirituale e culturale, il torrente Bruno è il principale corso d’acqua della regione e gli afrodiscendenti hanno accusato di furto Glencore. “El Arroyo Bruno nos lo robaron. El Arroyo Bruno está agonizando. Nosotros lo estamos defendiendo para que no lo maten”, denunciano gli indios.
Peraltro, il torrente Bruno non è l’unico corso d’acqua ad esser stato deviato, denuncia il Colectivo de Abogados Cajar, ricordando che sono almeno 44 i fiumi e ruscelli ad esser stati modificati per lo sfruttamento del carbone, la cui estrazione genera da tempo problemi di salute alle comunità indigene poiché l’aria è contaminata dalle particelle che fuoriescono dalla miniera e da quelle che vengono trasportate lungo la ferrovia verso i porti del Caribe.
Presentata come un progetto di sviluppo, l’estrazione mineraria finora ha danneggiato profondamente lagune, ecosistemi e, più in generale, il territorio ancestrale abitato dagli indios wayúu, tanto da provocare malattie respiratorie tra la popolazione, a partire dai neonati. Nonostante tutto, Glencore e le imprese da cui ha acquistato le azioni del Cerrejón si sono rivolte al Ciadi invocando il meccanismo Investor-State Dispute Settlement, un sistema capestro che tutela esclusivamente le multinazionali, come dimostra l’iniquo Trattato bilaterale di investimenti sottoscritto nel 2006 tra Svizzera e Colombia, che in pratica serve proprio per soccorrere le imprese minerarie in casi del genere.
L’istanza al Ciadi presentata da Glencore è del 28 maggio 2021 e, poco più di un mese dopo, lo stesso ha fatto anche Anglo American. Entrambe le imprese hanno parlato di “misure discriminatorie, arbitrarie e irragionevoli”, riferendosi alle proteste delle comunità e alla loro volontà di difendere il territorio bloccando l’attività estrattiva.
Peraltro, occorre ricordare che lo Stato colombiano, almeno fino allo scorso aprile, non si era particolarmente adoperato per fermare la deviazione del torrente Bruno, sia per il legame dei precedenti esecutivi con le imprese minerarie sia per le minacce di rivolgersi al Ciadi, come in effetti è poi avvenuto, in modo tale da dissuadere lo Stato da eventuali azioni a sostegno delle comunità danneggiate dalla miniera a cielo aperto.
La capacità delle transnazionali di oltrepassare la sovranità degli Stati è tale che le imprese già sanno che vinceranno in una eventuale controversia arbitrata da un giudice, il Ciadi, tutt’altro che equo. I paesi latinoamericani sono stati costretti a versare oltre 33 milioni di dollari alle multinazionali dopo che quest’ultime hanno deciso di rivolgersi al Ciadi per controversie di questo tipo.
In America latina è in vigore un sistema neocoloniale estrattivista da cui è difficile sottrarsi se non percorrerendo la strada impervia di rinegoziare tutti i singoli trattati di questo tipo. Lo scorso 9 febbraio un gruppo di organizzazioni colombiane e internazionali, insieme al Colectivo de Abogados Cajar, ha promosso una petizione rivolta al governo di Gustavo Petro affinché il suo governo ritiri la Colombia dal Ciadi e riveda i negoziati capestro che includono come risoluzione il vantaggio degli investitori, in questo caso le multinazionali, rispetto allo Stato.
NOTA
L’articolo originale, dedicato a raccontare la storia della multinazionale Glencore in Colombia, è
El negocio de Glencore en Colombia: carbón sin freno y demandas de arbitraje . Da qui ho ricavato tutte le informazioni necessarie per scrivere questo articolo.