Colombia: gli omicidi mirati non si fermano
Nel 2023 sono stati compiuti 93 massacri e circa 200 i lottatori sociali assassinati. La pace totale resta un obiettivo difficile da raggiungere di fronte alla forza dell’oligarchia, delle transnazionali e delle milizie paramilitari di estrema destra.
di David Lifodi
“No me gusta para nada”. Esattamente un mese fa, il 28 dicembre scorso, il presidente colombiano Gustavo Petro commentava così l’alto numero di massacri avvenuti in Colombia nel 2023, ben 93, solo uno in meno rispetto al 2022.
La situazione più preoccupante si registra nel Cauca, dovuta, ha spiegato ancora Gustavo Petro, al tentativo delle organizzazioni armate di prendere il controllo delle comunità e dei movimenti popolari e marcare il territorio per gestire il narcotraffico. La strategia per raggiungere la pace totale, a cui aspira lo stesso presidente colombiano, sembra essere in difficoltà di fronte alla crescente presenza della criminalità organizzata e dei gruppi paramilitari, da sempre al servizio dell’oligarchia e delle transnazionali che operano nel paese.
Nell’articolo pubblicato lo scorso 1° gennaio su Resumen Latinoamericano, significativamente intitolato “Colombia. 90 masacres en 2023: hay autores, hay responsables”, Cecilia Zamudio spiega che è in atto la pianificazione di un vero e proprio genocidio politico dovuto non solo agli attori armati, ma anche al grande capitale, molto spesso responsabile dell’uccisione di contadini, lottatori sociali e afrodiscendenti che si battono contro il furto della terra. Sono infatti le multinazionali, spesso in collaborazione con l’esercito, a perpetrare quello che ancora oggi può essere definito come saccheggio coloniale di un paese ricco di risorse naturali.
Resta difficile raggiungere la pace se non saranno debellate le cause dell’ingiustizia sociale. Nel solo 2023 ricorda l’Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz), i leader sociali assassinati sono stati quasi 200, ponendo l’accento, in particolare, sui venti morti di età compresa tra i 16 e i 18 anni. Sempre Indepaz ha evidenziato che, negli ultimi 11 mesi, si sono verificati 167.540 eventi di sfollamento forzato (desplazamiento forzado) e indicato i dipartimenti di Cauca, Antioquia, Nariño e Valle del Cauca come quelli dove la situazione è maggiormente fuori controllo.
In questo contesto, di fronte alla violazione “persistente, grave e generalizzata” dei diritti dei lottatori sociali, la Corte costituzionale colombiana ha chiesto per loro misure di protezione urgente che fanno comprendere la difficoltà dell’ambizioso piano del presidente Gustavo Petro, speranzoso di poter raggiungere, al termine del suo mandato, l’obiettivo della pace totale. Probabilmente, dopo i 4 anni di presidenza di Petro, sarà più realistico dire che il suo governo ha gettato le basi per una pace possibile, soprattutto a seguito dei negoziati con i gruppi armati e con il sostegno ad un movimento sociale che resta però, ogni giorno di più, decimato dagli omicidi mirati.
La vera sfida resta quella di risolvere i problemi strutturali alla base della violenza, dall’impunità all’esclusione sociale fino al furto della terra: un compito non facile in un paese dove sono ancora troppi i nemici della pace totale, come dimostra il gran numero di uccisioni dei lottatori sociali e il conseguente stallo dei negoziati con i gruppi armati, dalla guerriglia elenista a quello della dissidenza delle Farc, la “Nueva Marquetalia”, e con le organizzazioni criminali o legate al narcotraffico come il Clan del Golfo.
Proprio il Clan del Golfo si è celato dietro lo sciopero minerario (paro minero) nel Bajo Cauca e, insieme alle milizie paramilitari delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia, nel marzo scorso, ha cercato di boicottare l’impegno del governo contro l’estrazione mineraria illegale. Inoltre, le difficoltà nel progredire del processo di pace dipendono anche dal ruolo del cosiddetto periodismo hegemónico, il giornalismo legato alle grandi corporations all’estrema destra che ha rivestito un ruolo di primo piano nel trattare volutamente con scetticismo le iniziative governative volte alla pacificazione.
I grandi gruppi economici colombiani, (Suramericana, Sarmiento, Angulo, Bolívar, Ardila Lule, Santodomingo, Gilinski) che controllano i principali network di comunicazione, hanno giocato un ruolo di primo piano nel delegittimare il processo di pace e, ad approfittarne, è stata l’ultradestra che ha visto nel potere mediatico un arma per sostituire la democratura interrotta a seguito dell’elezione di Gustavo Petro, cercando, al tempo stesso, di congelare le speranze di pace dei colombiani tramite la diffusione di notizie volte a decostruire o a distorcere la realtà.
Di fronte ad una sorta di vera e propria guerra mediatico-culturale contro i settori popolari, veicolare la pace rimane un esercizio molto complesso per un paese che, dopo decenni di violenza, è stanco di guerra.