Colombia: gli ostacoli dei paras sulla via della pace
Narcotraffico, oligarchia e milizie paramilitari contro il processo di pace che il governo di Gustavo Petro sta cercando faticosamente di costruire. Senza un radicale cambiamento di rotta, che metta fine alla violenza sistematica dello Stato, la strada verso la pace totale auspicata da Petro resterà impervia.
di David Lifodi
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Il mese scorso, a Caracas, si è chiuso il nuovo ciclo di negoziati tra il governo colombiano e la guerriglia dell’ Ejército de Liberación Nacional (Eln), conclusosi con la creazione di zone umanitarie dopo il “cessate il fuoco” dichiarato il 14 agosto. Nelle zone umanitarie si getteranno le basi per progetti di sviluppo e partecipazione sociale delle comunità.
Contemporaneamente, il presidente colombiano Gustavo Petro sta cercando di raggiungere un accordo anche con la dissidenza delle Farc che ha scelto di non condividere la trasformazione in partito politico. Anche in questo caso, i negoziati e una tregua sembrano essere le condizioni imprescindibili di un processo che metta al centro del dialogo l’applicazione del diritto umanitario internazionale. Attualmente, la dissidenza delle Farc che non ha sottoscritto gli accordi di pace del 2016, si trova in sedici dipartimenti del paese.
La più grande sfida di Petro, il raggiungimento della pace totale, iniziata nel 2022 con la sua proposta di aprire dei negoziati con i differenti gruppi armati, sembra quindi procedere nonostante nel paese continuino ad accadere numerosi episodi di violenza. La scommessa di pacificare la Colombia resta comunque complessa, anche per presenza del narcotraffico, a partire dal Clan del Golfo, fino alle milizie paramilitari di estrema destra come le Autodefensas Gaitanistas de Colombia.
Una vita all’insegna della pace totale e senza violenza significherebbe depotenziare la criminalità organizzata, nei confronti della quale il governo sta scontando un approccio più problematico. Inoltre, l’opinione pubblica concorda sul fatto che a Gustavo Petro non basterà certo un solo mandato per raggiungere dei risultati accettabili e che le modalità di mediazione con i gruppi guerriglieri non potranno essere utilizzate anche con i clan del narcotraffico.
Inoltre, un altro ostacolo non da poco riguarda la presenza di un’oligarchia che, come ovvio, non solo non si riconosce in Gustavo Petro, ma che non vuol perdere i suoi privilegi, a partire da quelli economici: è proprio dal commercio delle armi che trae i suoi maggiori ricavi, tanto da aver ostacolato, anche all’epoca della presidenza di Juan Manuel Santos, il suo non disinteressato tentativo di raggiungere la pace allo scopo di conseguire il Nobel.
Effettivamente la comandancia della guerriglia elenista non ha tutti i torti quando ricorda che raggiungere la pace non significa esclusivamente sottoscrivere un accordo su un foglio di carta, ma creare delle premesse per un radicale cambiamento di rotta: la violenza armata è solo una piccola parte se paragonata alla violenza sistematica dello Stato.
La pace totale non può che passare dalla costruzione di una società dialogante che risponda alle storiche aspettative della popolazione colombiana. Del resto, per raggiungere la pace, Petro considera ineludibili due aspetti: l’urgenza di porre fine alla violenza politica e che i risultati dei negoziati di pace siano il frutto di un ampio e partecipato accordo politico a livello nazionale. Lo stesso Eln ribadisce che sia la popolazione ad essere protagonista delle tanto auspicate trasformazioni di carattere sociale, economico e politico.
A mettere in pericolo il processo di pace restano infatti sia il paramilitarismo, figlio delle politiche di contrainsurgencia dello stato colombiano sia il narcotraffico, sotto certi aspetti legato a sua volta alle milizie, a partire dalle modalità di omicidi selettivi e dalle operazioni terroristiche condotte spesso anche contro le comunità per impaurirle in collaborazione con i gruppi armati privati delle multinazionali, con i quali condividono la volontà di cacciare intere popolazioni dai propri territori.
Non meno importante, e tutt’altro che risolto, è anche il problema degli omicidi contro leader sociali, comunitari ed ex esponenti della guerriglia delle Farc: molti di loro, dopo aver scelto la strada del reinserimento nella vita civile, sono stati uccisi.
I paramilitari delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia si sono scontrati più volte con l’ Ejército de Liberación Nacional e rappresentano una delle principali minacce al processo di pace. Garantire alle comunità indigene e contadine il diritto di vivere in pace senza correre il rischio di essere vittime del desplazamiento forzado restano due difficili traguardi da raggiungere sulla strada dello slogan ripetuto più volte dal presidente Gustavo Petro: “Colombia Potencia Mundial de la Vida”.
L’esercito colombiano chiede perdono per i civili uccisi. Il mio commento per l’agenzia Dire
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