Colombia: una vergogna italiana targata Enel
di David Lifodi
L’Enel non lascia, anzi, raddoppia, per la disperazione di popoli indigeni, campesinos e comunità che vivono a poche centinaia di metri dalle sponde dei fiumi. Non contenta di aver perseguito a qualsiasi costo la costruzione delle centrale idroelettrica nel municipio di Cotzal (dipartimento del Quiché), Guatemala, l’impresa italiana ci riprova in Colombia ed utilizza gli stessi metodi: repressione, violenza ed intimidazione. Se nel paese centroamericano Enel, con la complicità dell’ambasciata italiana, aveva invocato l’intervento dell’esercito (con il risultato di far piombare di nuovo gli abitanti nell’incubo dell’operazione anni ‘80 Tierra Arrasada), in Colombia sono state le truppe dell’Esmad (Escuadrón Móvil Antidisturbios de la Policía Nacional) a sgomberare con violenza gli oppositori alla diga.
Paicol, cittadina del dipartimento colombiano di Huila, ha la sfortuna di essere adagiata lungo le valli del Rio Magdalena, quello che Enel vorrebbe deviare in nome del progetto idroelettrico denominato “El Quimbo”. Solo pochi giorni fa l’Asociación de Afectados por la Hidroeléctrica El Quimbo (Asoquimbo) aveva indetto una marcia pacifica per fermare le opere di costruzione della diga e denunciarne gli effetti negativi sul territorio e sulla popolazione. “Soy desplazado por el Estado” era scritto sulle magliette degli abitanti della zona, e in effetti lo stato colombiano condivide con Enel un’ampia parte di responsabilità verso gli sfollati di Paicol, costretti ad abbandonare le loro poche cose per evitare di essere affogati dal mostro idroelettrico in fase di costruzione. “El Quimbo” è stato inaugurato un anno fa dal presidente Santos grazie ad una furbata del suo predecessore Uribe, abile a modificare gli standard di rilascio delle licenze ambientali in modo tale da favorire le imprese appaltatrici dei lavori. Tutto ciò ha aumentato ancora di più le responsabilità italiane in merito al progetto di deviazione del Rio Magdalena, poiché all’edificazione della diga provvederà la locale Emgesa (Empresa Generadora de Energía, è una affiliata di Endesa) in collaborazione con una vecchia conoscenza italiana, Impregilo. Ancora una volta un paragone con il Guatemala: nel 1982 Impresit-Cogefor (l’attuale Impregilo) impose la costruzione della diga Chixoy in Verapaz. Insieme ad Enel opera la spagnola Endesa, di cui la stessa multinazionale italiana è proprietaria: l’inondazione di circa 8500 ettari di terra e lo sgombero obbligato di oltre tremila persone dovrebbero convincere il governo italiano ad attivarsi, ma gli interessi in gioco sono tanti, e nessuno ha intenzione di muoversi seriamente a livello internazionale per bloccare la costruzione della diga. Nel nostro paese si è mosso qualcosa a livello di società civile, con un presidio organizzato a Roma sotto la sede nazionale di Enel a cui hanno partecipato, tra gli altri, l’associazione Yaku ed il Comitato Carlos Fonseca. In realtà le proteste per scongiurare la costruzione della diga non sono recenti: il contenzioso tra le comunità locali e la coppia Enel-Endesa dura almeno dal 2008, anno in cui la multinazionale italo-spagnola si aggiudica l’appalto dei lavori grazie ai buoni uffici dell’allora presidente Uribe. E’di pochi giorni fa, invece, la bufera su German Vargas Lleras, ministro dell’Interno responsabile di aver inviato gli squadroni dell’ Esmad a reprimere la protesta e finito nell’occhio del ciclone per un caso evidente di conflitto d’interesse: suo fratello sarebbe infatti direttore di Codennsa, partecipata di Endesa ed impresa che genera energia nella capitale Bogotà. Da allora è un tira e molla tra le popolazioni che abitano sul Rio Magdalena da un lato e le istituzioni dall’altro: attualmente la Contraloria General de la Republica ha aperto un’indagine sulla concessione delle licenze ambientali, ma ciò che preoccupa fortemente è la politica di estrazione mineraria e sfruttamento energetico intrapresa dalla Colombia. Secondo uno schema consolidato si prova a strappare la benevolenza delle comunità offrendo risarcimenti irrisori ed al tempo stesso si distrugge l’economia locale di un intero territorio: pesca e agricoltura, le attività di sussistenza grazie alle quali sopravvivevano gli abitanti della zona, sono già al collasso. Non regge nemmeno la scusa della diga come opportunità per rilanciare uno sviluppo economico già depresso: se è vero che nella costruzione della represa saranno impiegate almeno tremila persone, è altrettanto evidente che tutto ciò finirà per avere un impatto sociale e culturale devastante su Paicol e sulle valli del Rio Magdalena. Inoltre, saranno molto pochi coloro che saranno assunti con contratti a tempo indeterminato per lavorare alla manutenzione della diga una volta ultimati i lavori di costruzione.
Le comunità in resistenza difendono il proprio territorio, il diritto alla vita, il futuro dei loro figli, ma nessuno le tutela dai disastri targati Enel in nome di un presunto progresso dietro al quale si nascondono gli interessi di banche, multinazionali ed imprese appaltatrici rapaci come avvoltoi.
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