Dopo quattro giorni di mobilitazione, il piano del ministro Salvini contro l’accoglienza di Bologna è stato disinnescato.
Una comunità si è battuta trovando un punto comune nelle differenze. Una storia che merita di essere raccontata perché può essere un paradigma di un diverso modo di fare politica.
Come combatte una comunità accogliente
La battaglia contro il trasferimento coatto dei migranti dall’hub di via Mattei.
La vicenda che ha riguardato l’hub di via Mattei merita di essere raccontata, perché parla sia dell’arroganza del potere sia della forza di una comunità che, quando si batte unita, può anche vincere.
Tutto nasce dallo strappo della Prefettura, su evidente commissione del Ministero dell’Interno.
Venerdì la prefetta Patrizia Impresa manda poche scarne righe ai gestori del centro di smistamento regionale di via Mattei a Bologna: in una settimana si chiude baracca e burattini, il centro deve essere svuotato per non meglio precisati lavori di ristrutturazione, i richiedenti asilo, salvo rare eccezioni, verranno trasferiti in modo coatto a Caltanisetta.
Nessuno sapeva niente, il Comune non era stato informato, le cooperative restano sgomente e 35 dei loro operatori rischiano concretamente il posto di lavoro.
Una modalità inusuale, uno sgarbo istituzionale senza precedenti a Bologna.
Appresa la notizia dalla stampa, sabato lavoratrici e lavoratori dell’accoglienza, appoggiati da due sindacati di base (Adl Cobas e Usb) improvvisano una protesta. Approfittando della presenza di Rep Idee in piazza Maggiore, fanno un blitz per avere un po’ di visibilità e far sapere all’opinione pubblica cosa sta accadendo.
Ne ricevono applausi dal pubblico e sostegno da Aboubakar Soumahoro e Don Luigi Ciotti, in quel momento sul palco.
Lo stesso copione si ripete domenica, quando Mimmo Lucano cede il proprio microfono ai manifestanti.
In attesa del lunedì, lavoratrici e lavoratori si riuniscono in assemblea, discutono il da farsi e convengono che la lotta è una sola: migranti e operatori. I diritti dei primi non vengono dopo quelli dei secondi: le rivendicazioni fanno parte di un’unica vertenza.
Potrà sembrare un dettaglio, ma è un passaggio cruciale in un’epoca in cui si parcellizza e frammenta, in cui i penultimi vengono messi contro gli ultimi.
Lunedì, terzo giorno di mobilitazione, operatori e migranti si danno appuntamento sotto la Prefettura, intenzionati a chiedere conto di quel folle piano.
All’interno dovrebbe svolgersi un incontro con gli enti gestori, che però viene annullato.
Le persone fuori non demordono e alla fine vengono ricevute.
Chiedono il ritiro dei trasferimenti coatti e l’apertura di un tavolo di trattativa. Viene loro risposto picche.
Allora vanno in Consiglio comunale dove, grazie ad un odg presentato da consiglieri sensibili al tema, incassano sostegno e un incontro con assessori che mostrano loro solidarietà e una certa irritazione per il metodo utilizzato dalla Prefettura.
A parte la solidarietà espressa a parole, dopo il terzo giorno di mobilitazione ben poco sembra essersi smosso. Anzi, arriva la notizia che la Prefettura, forse proprio per il montare della protesta, ha intenzione di accelerare i tempi. Non più trasferimenti entro venerdì 14 giugno, ma entro martedì 11.
Questa notizia costringe i manifestanti a indire un presidio davanti all’hub alla mattina presto. In questa occasione scende in campo anche la Cgil, la Chiesa e un’altra serie di associazioni antirazziste.
Durante la notte, gli operatori fanno le ore piccole per spiegare agli ospiti del centro quello che sta accadendo, informandoli sui loro diritti: l’hub non è un Cie, nessuno può deportarli contro la loro volontà.
Resta però il ricatto della fuoriuscita dal sistema dell’accoglienza, che per molti vuol dire anche la perdita degli anni passati in attesa di una risposta alla domanda di asilo.
Il presidio in via Mattei comincia alle 8. Fin da subito i manifestanti fanno sapere che hanno intenzione di bloccare i pullman in arrivo per trasferire gli ospiti.
Appena fuori dalla struttura viene allestito un angolo per fornire ulteriore supporto legale.
L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, insieme ad altri giuristi, studia il caso ed esce con un comunicato in cui evidenzia come la decisione della Prefettura sia illegittima sotto diversi punti di vista.
Nel frattempo, i migranti che decidono di non essere trasferiti firmano un foglio per la rinuncia all’accoglienza, ma contestualmente sottoscrivono un ricorso contro il provvedimento prefettizio.
In contemporanea, si contattano le realtà cittadine che possono offrire un tetto a persone che si ritroverebbero improvvisamente per strada. Viene fatto anche un appello ai privati, perché i richiedenti asilo sono tanti e nelle strutture associative i posti non sembrano bastare.
I Comuni hanno atteggiamenti diversi.
All’hub in via Mattei arrivano amministratori di Sasso Marconi e Casalecchio, insieme a consiglieri comunali bolognesi.
I manifestanti vorrebbero che il Comune riaprire il piano freddo e che anche il sindaco Virginio Merola o qualche assessore della sua giunta raggiungesse fisicamente il presidio. Merola, però, affida la sua presa di posizione ad un video su Facebook, in cui accusa direttamente il ministro Salvini di essere responsabile delle tensioni create.
Nel frattempo, nel pomeriggio, i suoi assessori insieme ai colleghi regionali tengono un vertice in Prefettura che però, a giudicare dal comunicato stampa diramato al termine, non sembra essere andato bene: la prefetta sembra irremovibile.
Il lavoro di operatori, avvocati e società civile, nel mentre, ottiene un primo risultato: delle 183 persone ospitate al Mattei, solo 39 accettano di essere trasferiti a Caltanisetta.
L’operazione salviniana sembra così essere stata sgonfiata.
Per questo il presidio smobilita e si dirige verso piazza Nettuno, dov’è stata indetta un’assemblea pubblica cittadina.
Ora il problema principale è trovare un tetto ad una cinquantina di persone che sono rimaste escluse dai vari ricollocamenti e dalla disponibilità privata o associativa di posti letto.
Una folla riempie piazza Nettuno e le pressioni sulle istituzioni continuano.
Gli avvocati sono pronti a presentare decine di ricorsi, i movimenti a pungolare l’Amministrazione comunale su una sistemazione per tutti.
Il braccio di ferro continua fino alle 21.30 quando la delegazione ricevuta in Municipio comunica alla piazza che la Prefettura è pronta a sbloccare una sessantina di posti sul territorio emiliano romagnolo.
A quel punto la protesta si trasforma in una festa: è una vittoria piena di una comunità antirazzista ed accogliente che, nelle profonde diversità, ha saputo condurre una battaglia comune, senza arretrare di un passo.
Quando le istituzioni hanno mostrato totale chiusura, quelle persone non si sono fatte prendere dallo sconforto.
Quando lo Stato ha detto “arrangiatevi”, la solidarietà si è fatta avanti con molteplici colori.
Quando il pubblico è stato messo spalle al muro davanti alle sue responsabilità, alla fine ha ceduto.
Quello che è accaduto negli ultimi cinque giorni a Bologna dovrebbe finire sui manuali di pratica politica: una comunità che sa ritrovarsi tale può affrontare e sconfiggere le storture cui spesso assistiamo singolarmente inermi.
La stessa determinazione andrebbe messa in campo ora per tutte le persone oppresse da un sistema socio-economico profondamente ingiusto.
Spero sia di esempio x tutti gli altri Comuni italiani