Come resistere alla comunicazione embedded in America latina
di David Lifodi
La recente morte di Augustín Edward Eastman, proprietario del quotidiano cileno di destra El Mercurio, offre l’opportunità di ragionare sulle modalità di comunicazione in e sull’America latina. La geopolitica del continente latinoamericano molto spesso è stata influenzata dalla comunicazione, come dimostra il caso recente del Venezuela, dove la manipolazione delle notizie è costante, ma già negli anni ’70 si può affermare con certezza che i media, a partire dalla carta stampata, giocarono un ruolo di primo piano nella preparazione, e nel sostegno, di numerosi colpi di stato.
In Cile, ad esempio, El Mercurio appoggiò apertamente il golpe pinochettista dell’11 settembre 1973 e sostenne apertamente le violazioni dei diritti umani. Lo stesso avvenne in Argentina con il Clarín, tuttora organo ufficiale della propaganda macrista e responsabile di aver dato vita ad una vera e propria macchina di fango contro il kirchnerismo. L’incessante disinformazione a proposito degli esiliati, dei desaparecidos e delle torture commesse dalle squadracce pinochettiste al tempo del colpo di stato, ma anche all’poca del ritorno del Cile alla democrazia, nel maggio 2015 (meglio tardi che mai) costò a Augustín Edward Eastman l’espulsione dal Colegio de Periodistas cileno, il corrispondente del nostro Ordine dei giornalisti. Augustín Edward Eastman svolgeva funzioni simili a quelle del nostro agente Betulla (Renato Farina) che lavorava per quel giornalaccio che è Libero. Fare informazione secondo i principi etici e democratici non era nelle corde di Augustín Edward Eastman, né degli attuali El Mercurio e il Clarín, ma in America latina c’è una vera e propria emergenza democratica dal punto di vista della comunicazione, colmata, per fortuna, dai tanti organi di informazione comunitari e indipendenti.
Tuttavia, il grande latifondo mediatico riesce a disinformare in maniera costante su quanto avviene in America latina e, quel che è peggio, le notizie provenienti da veri e propri gruppi di potere vengono riprese in Europa, Italia compresa. È anche attraverso la comunicazione che gli Stati uniti cercano di recuperare il controllo sul patio trasero, appoggiandosi alle forze neoliberiste latinoamericane che possiedono giornali e tv. Grandi gruppi mediatici come O Globo in Brasile, Televisa e Tv Azteca in Messico, il Grupo Cisneros in Venezuela, il già citato Clarín in Argentina e il Grupo Caracol in Colombia, solo per elencare i più conosciuti, si trasformano in strumenti del potere. Ad esempio, in occasione della destituzione di Dilma Rousseff, O Globo ha svolto un ruolo determinante (oltre alla quotidiana diffamazione dei movimenti sociali come Sem terra o Sem teto, definiti nel migliore dei casi come “terroristi”), per non parlare della campagna di stampa condotta dal gruppo Zuccolillo contro Fernando Lugo in Paraguay. In Bolivia, all’epoca dei tentativi di rovesciare Evo Morales, spesso alcuni inviati arrivavano sul luogo degli scontri tra golpisti e manifestanti pro-Evo addirittura prima che si verificassero, come se già sapessero, tramite l’intelligence Usa o i golpisti stessi, dove sarebbero scoppiati i disordini. Quanto al Venezuela, Gustavo Cisneros è indicato come tra i principali protagonisti del tentato colpo di stato che nell’aprile 2002 arrivò ad un passo dal cacciare Hugo Chávez da Miraflores. Del resto, non c’è da sorprendersi poiché, proprio in Venezuela, quattro canali tv su cinque sono di proprietà di compagnie private. Quanto al Messico, grazie al quotidiano britannico The Guardian, lo stesso che ha condotto un’ottima campagna di controinformazione per denunciare le responsabilità dello Stato honduregno nell’omicidio dell’attivista ambientalista Berta Caceres, è emersa la campagna di diffamazione a mezzo stampa messa in atto soprattutto da Televisa per screditare il candidato di centro-sinistra Andrés Manuel López Obrador (Amlo) e favorire il suo avversario Enrique Peña Nieto, che poi è riuscito a guadagnarsi Los Pinos in occasione delle ultime presidenziali.
Di fronte all’alleanza stretta tra mezzi di comunicazione dichiaratamente ultraconservatori e i think tanks delle destre latinoamericane, in tutto il Sudamerica sono cresciuti i processi di comunicazione popolari, il cui ruolo è stato imprescindibile nel denunciare gli abusi del neoliberismo, le violazioni dei diritti umani, ma, soprattutto, si sono imposti come catalizzatori di alternative politiche possibili rispetto al pensiero predominante. Radio libere, televisioni di quartiere, stampa alternativa e quotidiani on line hanno contribuito ad informare in maniera critica. Se Telesur rappresenta il principale strumento di informazione per resistere alle manipolazioni della realtà dell’impero, la fitta rete della comunicazione alternativa a livello municipale, comunitario e di quartiere si è rafforzata nel tempo costituendosi come forma di resistenza al monopolio comunicativo all’insegna di un processo di democratizzazione della comunicazione.
Tutto ciò fa pensare che, di fronte alle lobbies della comunicazione, esiste un’informazione resistente che non si fa annichilire, nonostante in tutto il continente gli omicidi nei confronti degli operatori dell’informazione siano in crescita grazie anche all’alleanza sempre più stretta, in certi casi, tra oligopolio mediatico, governi e narcos, come dimostrano soprattutto i casi di Messico, Paraguay e, a livello di singoli stati, Brasile.