Come si ferma il «suprematismo macho»
di Piero Bernocchi
Il suprematismo macho non si ferma solo con ondate massmediatiche ed “educazione ai sentimenti”. Alla sua forza omicida va opposta analoga forza e organizzazione pratica
Come se in questi giorni non fosse successo niente, come se la valanga fisica e mediatica prima, durante e dopo l’oceanica manifestazione di sabato scorso, non li avesse manco sfiorati di striscio, gli orridi assassini di donne hanno ripreso il loro macabro lavoro quotidiano. Se fino a ieri la media di questo anno era stata di un assassinio ogni 3,3 giorni, oggi, 28 novembre, hanno superato abbondantemente la media con due e forse tre omicidi, da Sud a Nord in par condicio, alla faccia di manifestazioni di decine di migliaia di persone, convegni, dibattiti, paginate di giornali e di servizi televisivi. Il suprematismo macho se ne fotte e non rinuncia al proprio miserabile potere “familiare” per la pressione mediatica: o ad un potere dispotico e alla sua forza feroce si oppone una forza uguale e contraria, una organizzazione pratica, diffusa sul territorio e operante quotidianamente e capillarmente, oppure, come insegnano tutti i poteri dittatoriali, non è solo con “l’educazione ai sentimenti”, il dibattito, la convinzione e la pressione mediatica che, chi ce l’ha, cede pacificamente il proprio potere.
Il primo assassinio ad Andria. Donna di 42 anni uccisa dal marito (separazione in casa, la situazione più rischiosa in assoluto) accoltellata con decine di colpi davanti ai figli ai quali non è stato risparmiato niente, seguita da telefonata ai carabinieri, senza almeno il rituale suicidio. A Salsomaggiore invece è stato un indiano a massacrare la moglie di 66 anni con una mazza da cricket (gli indiani adorano, residuo coloniale, questo sport assurdo) colpendo la poveretta per decine di volte fino a quando non è intervenuta, purtroppo troppo tardi, una carabiniera. Ce ne sarebbe forse un terzo, a Fasano, con una donna trovata impiccata a simulare un suicidio ma alcune telefonate lasciano credere che invece si sia trattato di omicidio da parte di due uomini complici.
Nel frattempo, il sindaco leghista di Ladispoli ne ha fatto una giusta, annullando il concerto di tal Emil Killa, un rapper mascalzone che, in combutta con un altro analogo sciagurato, tal Gue Pequeno, ha nel suo repertorio musicale (si fa per dire) non solo una valanga di testi macho-suprematisti ma in particolare uno che è il racconto di un femminicida che narra spudoratamente e con un certo compiacimento, fin nei dettagli, come ha ammazzato la “sua” donna e perchè. E’ vero che già nel ’69 il brano “Lella” di Edoardo De Angelis, seppur musicalmente di ben altra categoria e di raggelante drammaticità e freddo orrore nel testo, entrò a far parte del repertorio della canzone romanesca. Ma, a parte che per anni venne vietato per radio e in TV, comunque era un testo isolato, non una sorta di manifesto di una miserabile “filosofia di vita”, modello di tanti trapper e rapper odierni, sulla scia dei delinquenziali gangsta-rapper USA, semi-criminali ultra macho-suprematisti. In più, altri tempi, altra qualità musicale ma soprattutto brano circolante in una umanità italiana ben altrimenti “vaccinata” e consapevole, e altro potere di influenza sui giovani del ’68 e degli anni ’70, lontani anni luce dal suprematismo macho che affascina oggi tanti giovanotti rintronati dai social. E, dettaglio finale non proprio trascurabile in quel di Ladispoli, ai due sciagurati il Comune avrebbe versato ben 200 mila euro per le loro insopportabili macho-imprese.
28 novembre 2023
La vignetta – scelta dalla redazione della “bottega” – è di Mauro Biani.
Un argomento questo che tocca corde profonde. E lascia interrogativi. Tanti e senza una risposta chiara sul cosa e come fare. Il problema non è solo italiano. Ho recentemente visto un serial spagnolo (La chica de nieve) dove un telegiornale scandisce i numeri delle violenze subite dalle donne. Mentre gli Usa dedicano all’argomento una serie TV estremamente longeva: sono ben 24 le stagioni di Law & Order Special Victim Unit. Sto parlando, ovviamente di finzione. Eppure quella finzione fa riferimento a un fenomeno che ha agganci fortissimi con la realtà. Non sono un sociologo e ho pochissime conoscenze in materia eppure la trasversalità del problema è evidente: basta pensare all’India dove non sono pochi i casi di stupri e violenze domestiche che si sono guadagnati il dubbio onore delle cronache. Se lo si esaminasse a fondo, probabilmente si scoprirebbe che questa vera e propria piaga attraversa l’intero mondo e si presenta in forme e manifestazioni spesso sovrapponibili in entrambi gli emisferi. È dunque una costante del pensiero maschile? Qualcosa che fa parte di una cultura del patriarcato che resta agghiacciante e uguale dappertutto, sotto ogni latitudine? Quali rimedi approntare per uscire da questo vicolo cieco dell’evoluzione umana? Intervenire con l’educazione, con la cultura? Ma se questo virus (pericoloso tanto e quanto quelli contro i quali l’umanità combatte) è così diffuso, come raggiungere un punto di equilibrio? Ecco, vedo che già in questo mio modestissimo intervento si susseguono gli interrogativi e sono così tanti da rendere difficile – perlomeno per me – trovare risposte convincenti. Credo quindi che un’azione collettiva sia indispensabile ma a questa deve necessariamente corrispondere un esame critico della nostra capacità di uscire dagli schemi di comportamento che trovano radici proprio in quello che l’amico Bernocchi individua come “suprematismo macho”. Aggiungo in coda a queste mie note un’ultima considerazione relativa alla situazione italiana: nel nostro codice penale è esistita fino al 1981 la categoria del “delitto d’onore”, abolita con estremo ritardo (il divorzio, si ricorderà è stato inserito nel nostro ordinamento da una legge del 1970 e l’aborto nel 1978 con la legge 194). Da allora sono trascorsi poco più di quarant’anni. Ma niente sembra essere cambiato nella testa di molti, troppi uomini.