CONA…ti (parte seconda)

[Continua il rapporto della Campagna LasciateCIEntrare e Melting Pot Europa sull’ ‘hub’ per migranti di Cona, dove era reclusa Sandrine Bakayoko. La prima parte è qui.]

Entriamo nelle tendostrutture e vediamo decine e decine di letto a castello dove ognuno cerca di ritagliarsi una propria minima intimità, utilizzando coperte per sottrarsi allo sguardo degli altri ed accatastando bagagli ed oggetti temporanei sotto o sopra il letto. Restiamo piuttosto sgomenti.
Il sovraffollamento è evidente.
Gli stessi letti a castello sono a gruppi di 4 (due letti sopra e due sotto tra di loro attaccati) e quindi la promiscuità e la mancanza di un minimo di privacy sono assolute.
Le due tendostrutture ospitano circa la metà delle persone (160 in una e più di 100 nell’altra). “Quando arrivano nuove persone chiediamo a chi è presente se sono d’accordo che arrivino altre persone, di fare posto. Purtroppo i Comuni non li vogliono” – così ci racconta uno dei mediatori che era prima responsabile alla Prandina. Proviamo a chiedere ad alcuni migranti come si trovano qui; “tutto bene, nessun problema”, ma probabilmente ci dicono così perchè ci vedono insieme ai responsabili di Ecofficina ma si vede che c’è un’aria di diffidenza e tensione.
E la nostra delegazione è circondata dai responsabili e dagli operatori che non ci perdono di vista un momento. Avremmo voluto parlare con calma ed in privato con i migranti, ma la visita dura un’ora, così come scritto nell’autorizzazione. Una visita lampo e disumana che non ci permette, se non con pochissime persone, di raccogliere testimonianze sufficienti e soprattutto reali.

Diversi i mediatori presenti, anche se, pare manchino del tutto i mediatori in lingua per i cittadini eritrei; non abbiamo avuto modo di verificare per le altre tipologie di migranti presenti.
Abbiamo chiesto nel dettaglio di poter ricevere dati a riguardo ed anche una lista con la specifica dei tempi di permanenza e la percentuale dei trasferimenti di richiedenti asilo verso centri SPRAR o altri centri così come informazioni precise sulla presenza di percorsi di formazione lavoro o di accompagnamento ad attività lavorative, come ci ha detto il mediatore di cui sopra.
L’assistente sociale e il responsabile ci hanno promesso che, su nostra richiesta via mail, manderanno quanto richiesto.
In generale abbiamo notato come vi fosse una certa reticenza a fornire e inviare dati precisi su accordi, numeri, ispezioni, nominativi e per questo faremo richiesta di alcuni documenti ufficiali per verificare quanto affermato dai responsabili della struttura.
Sarebbe interessante anche definire la questione dell’assistenza legale, non solo prima dell’intervista in commissione, ma in particolare dopo.
Due infatti sono le versioni che abbiamo ricevuto parlando con gli operatori: “qui i ricorsi non possiamo farli” e “abbiamo avvocati esterni per i ricorsi”.
O l’una o l’altra. I ricorsi si fanno o no?
In che maniera i richiedenti asilo vengono realmente seguiti per quella parte fondamentale dell’accoglienza che riguarda la preparazione alla commissione e l’eventuale ricorso avverso la decisione negativa della stessa?
In un momento in cui le percentuali in Italia di diniegati sono in aumento impressionante, è fondamentale che la questione legale venga seguita con particolare attenzione e professionalità. Se, come comunicatoci da alcuni operatori, gli avvocati che seguono i ricorsi sono tre, come si pretende di poter garantire un vero e proprio diritto alla difesa? Tre avvocati per 620 persone?
Pare che questi avvocati svolgano percorsi di formazione presso la struttura e che la preparazione delle memorie da portare in commissione venga effettuata da mediatori ed operatori formati adeguatamente. All’interno della stessa struttura viene preparato il C3, il fondamento per l’intervista in commissione. Ci auspichiamo che davvero ci sia l’attenzione necessaria per questo passaggio vitale per chi arriva in Italia in cerca di asilo politico. E in ogni caso anche qui non ci sono stati forniti documenti ufficiali con i nominativi degli avvocati che seguono i richiedenti asilo.

Il dato più inquietante resta comunque il luogo alieno dove risulta impossibile qualsiasi processo di inclusione.
Qui non c’è nessuno, nemmeno per prendere un caffè. L’unica alternativa alla desolazione dell’ex caserma è una gita a Padova con un pullman messo a disposizione da Ecofficina. Non ci è dato sapere se questa possibilità è prevista per tutti e con quale turnazione, sta di fatto che nel giorno della nostra visita dei cartelli affissi nella tendostruttura centrale informano le persone che il servizio di trasporto è sospeso per alcuni giorni.
Verso la fine della visita uno dei ragazzi con cui avevamo parlato in merito alla questione della minore età corre da noi per chiedere supporto. Non parla bene le lingue e chiede ad un amico, anche lui in difficoltà, di spiegare la sua situazione.
Mentre cerchiamo di capire, si avvicina con fare piuttosto arrogante ed inopportuno il cosiddetto “Presidente del campo” (un richiedente asilo autoletto o nominato dagli operatori di Ecofficina?) che ripete continuamente “queste cose le devi dire a me. Non a loro. A me, non a loro”.
Il ragazzo chiede solo che venga riconosciuta la sua minore età e vuole sapere quando verrà trasferito.
Quando segnaliamo al prefetto questa esigenza va in escandescenza sottolineando che “gli operatori sanno fare il loro mestiere” e dicendoci “voi che ne sapete?”, “li riconoscete ad occhio i minori?”.
E’ incredibile questa forma di risposta di fronte ad un‘esigenza così fortemente espressa da uno dei migranti lì accolti.
Ci auguriamo davvero che vengano prese in considerazione le vulnerabilità delle persone all’interno del centro. 620 persone. Un numero gigantesco. Un numero in cui le singole persone e le vulnerabilità scompaiono con estrema facilità. Oltretutto a proposito di soggetti vulnerabili ci è stata fornita un’informazione palesemente falsa: “qui le donne e i minori non rimangono o al massimo restano per 24 o 48 ore”, mentre, dalle informazioni da noi raccolte nel coro delle ultime settimane, ci risulta che nei mesi scorsi siano rimaste nel centro di Cona sia donne che minori (poi trasferiti in altri luoghi) per settimane o addirittura per mesi.

La responsabile della Prefettura continua a ripetere che è tutto in ordine e con insistenza ci invita ad uscire. Quasi in preda ad un isterismo mal celato. Si inalbera quando uno di noi si attarda per parlare con alcuni dei migranti raccogliendo (finalmente) qualche informazione non “filtrata” da responsabili e mediatori.
I migranti ci dicono che vivono in condizioni di estremo sovraffollamento, “come animali” (frase che abbiamo sentito da più di uno di loro), che lì ci sono zanzare e anche serpenti e che molti di loro sono qui dalla scorsa estate.
La responsabile della Prefettura dopo la sfuriata nei confronti del “ritardatario” ci dice che loro fanno così “per la nostra sicurezza”, scusa ormai tanto banale quanto pericolosa che giustifica tutto e alimenta le dinamiche di “animalizzazione” degli stessi migranti (i quali non ci sono sembrati affatto un pericolo per la nostra “sicurezza” durante la visita).
La visita guidata è finita. Aspettiamo i migranti all’esterno per un po’, ma nessuno esce. Avremmo voluto ascoltarli, raccogliere le loro testimonianze, invece la frase più ricorrente della nostra visita è quella “ufficiale” e cioè: “ va tutto bene”. (Continua)

alexik

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