Contro la meritocrazia
un’altra interpretazione,
di Francesco Masala
le parole sono importanti (come diceva Nanni Moretti ) e la meritocrazia nasce da un imbroglio.
immaginiamo che le classi (se ancora si può dire) dominanti non riescano a produrre eredi dignitosi e le classi inferiori possano rovesciarle e sostituirle.
immaginiamo che i Che Guevara, i Malcolm X, i Frantz Fanon (per fare degli esempi) siano stati un pericolo grave per le classi dominanti.
occorre che non appaia più gente così.
ecco a cosa serve la meritocrazia, si cooptano le migliori menti delle giovani generazioni delle classi inferiori, offrendogli, in quanto meritevoli, posti importanti nella struttura di potere dominante, si parta dalle borse di studio, per arrivare agli organismi internazionali, al carrozzone dell’Unione Europea, fino a qualche ministero, al limite.
le classi dominanti, per i loro rampolli, usano il nepotismo, l’albero genealogico, ma si sa che il sistema cadrebbe nel giro di un paio di generazioni di inetti e incapaci figli di papà; hanno bisogno dell’intelligenza e delle capacità di quelli bravi davvero.
bisogna, però, staccarli dalle loro classi inferiori, dove sarebbero pericolosi per le le classi dominanti, sterilizzarli e renderli utili al sistema delle classi dominanti.
niente è casuale, tutto è scritto e deciso con accordi e trattati.
ecco un film che spiega bene come funziona il meccanismo delle classi e della meritocrazia.
l’Italia è un caso a parte, un vecchio sistema feudale dove le caste sembrano impermeabili, basta guardare i cognomi dei giornalisti della Rai, o le parentele dei professori universitari o i legami politico-mafiosi (ecco un film che sintetizza, con risate amare, il declino italiano, dell’università e della cultura), dove l’università (ancora per quanto?) è un serbatoio per le università straniere (un tempo esistevano, per i minatori, i trattati d’emigrazione).
a scuola, e non solo, si parla molto della meritocrazia, è il nome che danno al meccanismo per dividere i lavoratori, per far credere a qualcuno di essere meglio di altri, solo perché il padrone (si può dire ancora?) ha bisogno di servi molto fedeli.
come dice Giulietto Chiesa, buon viaggio intorno al Sole.
…Nella logica della meritocratica, il “merito” non è un valore naturale, universale (come “giustizia”, “amore”, “benessere”, per fare degli esempi) ma una vera e propria ideologia che:
- privilegia la dotazione iniziale degli individui offrendo opportunità a chi le ha già, più che offrire opportunità autentiche a chi ne ha già poche o non ne ha affatto,
- privilegia la visione di intelligenza come capacità di fare propri i valori e la cultura dominante, piuttosto che favorire il pensiero autonomo; una visione omologante più che di valorizzazione delle differenze,
- premia la produttività e la riproduttività del pensiero più che la sua generatività e creatività, • svaluta, mistificandolo, il concetto di uguaglianza,
- premia una caratteristica delle persone frutto delle condizioni socio-economiche in cui crescono (l’intelligenza), piuttosto che lo sforzo che queste fanno per migliorare…
da qui (Gianni Marconato)
…La meritocrazia pare oggi quasi una religione, a cui si aggiungono sacerdoti e credenti ogni giorno. Specie parlandone a proposito di scuola e università, formazione o ricerca. Premiare il merito, si dice. Onorarlo. Chi nega il contrario? Ma il concetto di merito, a ben pensarci, è anche profondamente antidemocratico. In palese conflitto d’interessi con l’articolo 3 della nostra Costituzione. Specie, poi, se utilizzato nella valutazione dei bambini. Il merito è oggi considerato un valore assoluto, al punto che attorno ad esso è nato un nuovo termine: “meritocrazia”. E il Corriere della Sera ha creato il blog specifico meritocrazia.corriere.it. Ma è inevitabilmente collegato a un’idea di esclusione – e neppure solo di alcuni, ma di tanti. E comunque mai di inclusione. Avrebbe a che fare con una vaga idea di bene – addirittura di “bene comune” – al quale tutto e tutti dovrebbero tendere e obbedire devotamente.
In realtà di sicuro c’è solo una cosa: se qualcuno ti sta parlando di “merito” ti sta escludendo. Anzi: sta escludendo una maggioranza a favore di una piccola èlite. Il contrario esatto dello slogan Noi siamo il 99% del movimento Occupy Wall Street. È un po’ come l’ideologia del SuperEnalotto, o dell’uno-su-mille-ce-la-fa; e mille o un milione o più, naturalmente, non ce la fanno, non ce la devono fare e questo, si badi bene, per il “bene di tutti”. Perché se ce la facessero tutti il mondo sarebbe peggio di quello che è oggi: insomma, c’è niente di più ambiguo e contraddittorio per chi si dichiara non di destra?…
da qui (Giuseppe Caliceti)
…La meritocrazia, nel discorso pubblico odierno, è considerata la medicina per curare nepotismi e clientelismi e perciò è accettata socialmente come un valore poco discutibile. D’altronde chi potrebbe sostenere che il merito non debba essere riconosciuto? Che a parità di requisiti, fra due pretendenti per un unico posto, non debba essere preferito chi dimostra di poter realizzare prestazioni migliori? E poi tutti siamo spinti, grazie a una retorica di lungo periodo, a sentirci dalla parte dei migliori; pochi si immaginano nel ruolo dei sommersi, dalla parte di chi viene escluso da un sistema di selezione che interviene fin dagli anni dell’infanzia.
Il punto, evidenziato da Young, è che l’idea meritocratica dev’essere inquadrata in un’accezione più larga. Nel libro è un modo escogitato dalle classi dirigenti per cooptare le menti migliori dalla classe lavoratrice, in modo da disinnescarne la capacità di organizzare il cambiamento politico e rivoluzionario. Oggi la meritocrazia, con tutto ciò che l’accompagna, ad esempio l’enfasi sulle “eccellenze”, sulla competizione interna e soprattutto internazionale, sull’efficienza economica e sulla misurabilità dell’istruzione, è in evidente sintonia con una visione del mondo che considera il mercato come l’unità di misura universale, la regola sociale sovrana…
da qui (Lorenzo Guadagnucci)
…Nella scuola va incoraggiata la meritocrazia e non c’è merito che non si misuri, che “finalmente” introduce l’obiettività delle valutazioni. Nella scuola finalmente entrano i test, le griglie di valutazione nel consiglio di classe, ma anche a livello nazionale e transnazionale. La logica che li sottende è la misurazione oggettiva. E i test sono davvero uno strumento eccezionale, così accurati e “intelligenti” da saper misurare non solo le competenze cognitive, ma anche la capacità di comunicare, di socializzare, di saper lavorare con gli altri…
Quanto lavoro per rendere la scuola sempre più efficiente e capace di individuare gli alunni più meritevoli!
Se hai un buon punteggio sei dentro, se non lo raggiungi, sei fuori. Tutto quello che rimane fuori dalla griglia non “vale”, non esiste perché non è previsto un punteggio.
Questo vale per ogni tipo di valutazione, anche quella prevista per gli insegnanti.
Eppure se interroghiamo i ragazzi, ma anche noi stessi, ricordiamo come gli insegnanti che abbiamo più amato, che hanno saputo trasmetterci la gioia del sapere, erano quelli capaci di dare “qualcosa in più”, un qualcosa di indefinibile che ci apriva le vie della conoscenza senza farla “odiare”, anzi…
da qui (Emilia Di Rienzo)