“Conversazioni Con Mia Nonna…
… ovvero prove tecniche di resistenze poetiche”
Performance Laboratorio – Giolli Cooperativa sociale
con Massimiliano Filoni
Monte Sole, 25 Aprile 2023
A Monte Sole, il 25 Aprile, si arriva a piedi o con le navette che fanno la spola tra la piccola stazione ferroviaria di Pian di Venola e il Parco Storico.
C’è una marea colorata e vociante, persone di tutte le età che si mescolano, si incontrano, si raccontano.
Persone che, spesso, camminano sui sentieri e si fermano. Si fermano ad ascoltare. Ascoltano i luoghi.
Il Poggiolo, Caprara di Sotto, Caprara di Sopra, Casaglia, Casetta, Podella, Dizzola, Brigadello, Cerpiano parlano.
Posti abbandonati. Restano i ruderi. Pietre.
Restano le voci di coloro che furono sterminati. Restano le voci di coloro che sopravvissero. I campi, l’erba, la terra, le rocce e le piante trasudano quelle voci, le tramandano.
A Monte Sole oggi fa freddo. Il vento soffia raffiche taglienti.
Quasi un monito.
Quasi un avvertimento.
Anche il vento porta le voci.
Le raccoglie da terra, le solleva e, soffiando, ce le consegna.
“Conversazioni Con Mia Nonna ” si farà all’interno, al riparo. Nel salone della Scuola di Pace, diversamente dalle intenzioni iniziali di farlo all’aperto, a Caprara.
Un pubblico attivo, attento, partecipe ( in cui spicca la presenza di molte persone giovani. Una generazione nuova che della guerra, della resistenza, di quegli anni, forse, non ha ricevuto racconti diretti da chi quegli eventi ha vissuto) è protagonista assoluto dell’incontro.
Si gioca con il teatro, si fa conoscenza. Si parla di donne: bambine, adulte. Donne che, oggi nel ricordo, sono le nonne.
Le storie diventano le mani di TERESA, curva sul tavolo, che impastano e informano.
Teresa è la forza.
ATTIA, invece, portava il busto; ogni mattina, le sue mani legavano i lacci che lo chiudevano.
Quando DEBORA compì cent’anni, tutto il paese volle festeggiare con lei che, dopo una vita appassionante e super attiva, gli ultimi anni li ha trascorsi nella lentezza, con il gattino Ciro.
Insieme guardavano il focolare e guardandolo battevano e scandivano il tempo. Il tempo di anni preziosi.
Le mani di BIANCA erano sempre all’opera. Dal suo uncinetto sono nati contenitori e centrini, tovaglie e coperte.
La nonna LEDA mi chiamava “Nini”. Dolcezza e affetto racchiusi in due sillabe.
MARIUCCIA raccomandava: ” Alessandro, tien dritto che sennò spargi tutto”.
NINA, con le mani sui fianchi, la sera, controllava il latte messo a bollire, chè un tempo prima di berlo il latte andava bollito. Controllava che bollendo non uscisse fuori dal pentolino.
Controllava, controllava, controllava. E alla fine accettava la sconfitta:
“brutta bestia, me l’hai fatta anche stavolta!”
Nonne che hanno viaggiato. Attraversato continenti.
Strappi dolorosi.
Nonne che hanno vissuto in tempi in cui per comunicare ci si industriava.
Da una collina all’altra non c’era mica il telefono e allora, se c’era bisogno, per chiedere aiuto si stendevano le lenzuola.
Come si stendevano era il messaggio.
Donne che nel ’43 incontrano soldati americani scappati da un campo di prigionia.
Donne sole. I mariti, i fratelli tutti alla guerra o nei campi di prigionia, a migliaia di chilometri. Che fai?
Se li aiuti, se li sfami, se te ne prendi cura o li nascondi, c’è la pena di morte. Ma quelle donne, che ora chiamiamo Nonne, lo sanno: perché la vita meriti di essere vissuta non si può perdere la propria umanità.
Sfamare, nascondere, curare quei ragazzi – perché dici soldati ma avranno avuto neanche vent’anni- è umanità.
Significa sapere chi siamo, chi vogliamo diventare, che mondo vogliamo costruire.
Parlavano americano?
Parlavano a gesti: piccoli, semplici, concreti.
Essere umani, anche nelle atrocità della guerra.
Si parla, si racconta, il filo della memoria si srotola nelle mani, nelle nostre mani.
ANNA si sposò il 5 Maggio del ’40, suo marito partì per la guerra dieci giorni dopo.
Si rividero dopo cinque anni.
Anna seppe che forse lui era tornato, che forse era in un campo di prigionia, forse a Fossoli. E da Mantova, con la bicicletta, pedalò, pedalò, pedalò. Ma lui a Fossoli non c’era più.
“Forse a Cuneo”, le dissero.
Con mezzi di fortuna e pericoli, là si ritrovarono.
Teresa è stata davvero una militante, una vera attivista.
STELIA ricordava che nell’esercito nazista non c’erano solo tedeschi ma anche arruolati di altri paesi. Alcuni avevano tratti orientaleggianti e lei racconta risvegliarono il terrore medievale dei mongoli di Gengis Khan.
Terrore: proteggere le sorelle più piccole. E poi la paura di ” Pippo”, l’aereo da caccia notturna. Allora attenzione che non ci fossero luci e bagliori.
Anche questo è la guerra: paura della luce.
Le storie diventano trame. Si intrecciano, si tessono assieme. Diventano la nostra storia. E noi, raccontando, facciamo e diventiamo poesia.
《Polenta e sudore e miseria.
Condividere tutto.
Condividere polenta, condividere sudore, condividere miseria
Donne: forza, speranza e fierezza.
La forza abita nella testa e ti tiene, ti sorregge, non lascia che ti abbandoni alla paura.
Donne: la forza di chi ha preso in mano il Paese e lo ha portato avanti, verso la libertà, con la speranza di una vita migliore che, giorno dopo giorno, diviene convinzione di una vita migliore.
Fierezza di donne che hanno speso se stesse per dare un mondo migliore a chi viene dopo.
Le sentiamo vicine. C’è un filo che ci lega. È il filo delle parole, è la volontà di raccontare.
La volontà di esporre il proprio dolore perché è stato dolore e rimane e si sente.
Ma che sarebbe di noi se quella memoria svanisse, se le generazioni future non sentissero quel dolore sorgere dal loro stesso corpo?
Si alzarono le donne nel ’43. Cambiò la percezione del mondo. Cambiò la coscienza.
E nella disperazione presero in mano le loro vite. E le nostre.
La disperazione di allora e la disperazione di oggi ci legano e il filo indica di nuovo la via:
prendere in mano le nostre vite e quelle chi verrà dopo.
Si ritrovarono sole quelle donne e sole furono libere.
Conquistarono autonomia, la rivendicarono e la mantennero e così crebbero le figlie e i figli》.
Tutto questo in un’ora, forse poco più.
Persone tra loro sconosciute si sono incontrate.
Con dolcezza, hanno aperto le scatole dei ricordi. E i ricordi si sono fatti luce.
Le piccole storie sono la Storia che noi riceviamo da chi ci ha preceduti per consegnarla a coloro che ci seguiranno.
A Monte Sole il 25 Aprile.
Mia nonna Piera negli anni venti viveva in una grande famiglia patriarcale: suo suocero, capofamiglia, sua suocera, suo marito (mio nonno), cinque cognati e altrettante cognate, i suoi tre figli tra cui mia madre e un numero imprecisato di altri bambini. Per coltivare il grande podere che avevano a mezzadria venivano impiegati saltuariamente dei braccianti. Tra gli altri, la Rosina, vedova con tre figli piccoli, il cui marito, socialista, era morto in seguito alle botte ricevute dai fascisti. Il consiglio di famiglia prese una decisione: tutti i giorni, a pranzo e a cena, Rosina e i suoi bambini avrebbero mangiato con la grande famiglia Mori. E così avvenne, per dieci anni.
Bravissimo, sintesi efficace e fluida!
Mia nonna Pasquina a 90.anni leggeva il giornale senza occhiali e partecipava a tutte le manifestazioni politiche che si tenevano in piazza.
Ricordo che raccontava di essere stata in prigione per aver fermato con altre donne a Massa Lombarda i treni che portavano i soldati verso il fronte nella prima guerra mondiale.
Bello lasciare traccia di queste testimonianze. Conosco poi la vostra bravura nello stimolare le persone ad esprimersi. Molte somiglianze col progetto Biblioteca Libri viventi che promuoviamo da due anni. Sarebbe bello incontrarsi e chissà che non possa nascere qualcosa di nuovo…
Come sempre è una magia aprire ai racconti, aprire la memoria e raccogliere il frutto
Mia nonna Rita, che abitava con il nonno Tobia a Marzano, un piccolo borgo nel comune di Monte Santa Maria Tiberina in provincia di Perugia, e i due figli,Franco e mio babbo Leo, nella sera del 29 giugno del ’44 scapparono nel bosco, stavano arrivando i tedeschi, la ritirata della sconfitta. Probabilmente gli stessi che fecero la strage a Sant’Anna di Stazzema, il nonno e gli altri uomini arrivarono tardi, trovarono il commando tedesco in paese. Furono fucilati. Il nonno Tobia e un partigiano bergamasco che viveva nascosto da loro furono trovati dalla nonna e dai figli sui gradini della casa il mattino dopo. I tedeschi distrussero tutto, bucarono,sparando, anche le poche stoviglie che usavano per prepararsi il cibo. Negli anni ho conosciuto la storia poco alla volta, mio babbo ha sempre fatto molta fatica a parlarne con noi. Il destino dei sopravvissuti. Io questo sentimento l’ho ereditato e l’ho sentito profondamente dentro di me, quando con Massimiliano facemmo lo spettacolo tratto dal libro di Lorenzo Guadagnucci ” Era un giorno qualsiasi” a Sant’Anna di Stazzema, sopra l’ossario. Suonare e cantare sopra tutte quelle Ossa innocenti per me e’stato comprendere il mutismo di mio padre. La nonna Rita e’stata una donna che nella sua vita ha portato tanto amore, ci veniva a trovare in treno da Arezzo, carica di marmellate, succhi di frutta, salsa di pomodoro, tutto confezionato dalle sue mani. I suoi passi corti il suo cucire silenzioso, il cucure per noi i vestitini , L’amore che metteva in tutte le cose e l’amore che aveva negli occhi l’ha salvata e ha salvato noi. Tanti anni dopo, dopo le morti di tutti loro, io e Massimiliano siamo tornati a Marzana, difficilissimo da ritrovare, un paese abbandonato da quarant’anni, diversi chilometri a piedi nel bosco….pochi riferimenti, ne è bastato uno: le mura interne, azzurre, della casa dei nonni e di mio padre, le Ho riconosciute subito. I gradini dove il nonno Tobia e’stato trovato erano ancora lì. Mi sono seduta un lungo momento su quei grandini, poi ho preso quattro ghiande di quercia prima di salutare gli Spiriti. Il mio secondo nome è Tobia, e ne sono molto felice.