Cordwainer Smith, il prezzo della felicità
di Antonio Caronia (*)
Nella allucinata e mitologica “storia futura” di Cordwainer Smith1 la mutazione ha un posto d’onore. Il mondo dei «Signori della strumentalità» si regge (è vero, come tanti altri mondi del futuro) sul lavoro e sulla presenza di macchine o esseri non umani. Anche nell’universo di Cordwainer Smith ci sono i robot, gli automi: ma si tratta in realtà di cyborg, o qualcosa di molto simile, cervelli di animali, talvolta di uomini (come in «Giù nella Vecchia Terra»2) in qualche modo riprogrammati e connessi poi meccanicamente a corpi artificiali. Ma l’invenzione più affascinante (e inquietante) del nostro autore sono gli underpeople (quasi-umani, mezzepersone, o omuncoli a seconda della traduzione italiana) discendenti delle vecchie razze di animali terrestri ma dotati, per mezzo di mutazioni genetiche programmate, di aspetto, intelligenza, emozioni umane, e provvisti spesso di capacità superiori a quelle dell’uomo. Non ci vuole molto a riconoscere presente, in questa sottopopolazione – soggetta a restrizioni e discriminazioni di fronte alle quali impallidiscono quelle riservate alla gente di colore negli Usa – il problema della forza lavoro, che recentemente alcuni hanno voluto vedere come uno dei problemi più interessanti sottostanti alla letteratura di fantascienza e ad altre forme di letteratura popolare3: «Nessuna meraviglia che i quasi-umani fossero necessari. Per gli uomini sarebbe stato un lavoro pazzesco e snervante controllare anche con l’aiuto della più completa automazione, tutti i vari sub-impianti, e prevenire i guasti all’interno di ciascuno di essi e le interruzioni tra l’uno e l’altro»4. Naturalmente, come ogni forza-lavoro che si rispetti in una civiltà industriale, i quasi-umani sono una fonte di problemi e di angosce per coloro che li dominano: dice C-mell5 a Roderick MacBan: «(I terrestri) si stavano estinguendo, proprio perché erano troppo perfetti. Un modo per divenire migliori sarebbe stato di sterminare noi quasi-umani, ma non potevano eliminarci tutti. Ci sono troppi lavori complicati che gli automi non hanno la capacità di svolgere»6.
“Nessuna meraviglia” perciò che gli umani abbiano ribrezzo per qualsiasi contatto fisico con i quasi umani, decretino che essi non possono venire protetti dalla legge umana e che insomma «il genere umano, avendo risolto tutti i problemi fondamentali, non sia del tutto pronto a permettere che gli animali della Terra, indipendentemente da quanto essi possano essere cambiati, ottengano la piena uguaglianza con l’uomo»7. In effetti la posizione di Smith nei confronti dei suoi underpeople, per quanto è dato di ricavarla, nascosta com’è sotto la crosta stilistica8, non è così semplicistica. Smith sembra insieme attirato e respinto dall’idea dei quasi-umani, e non è certamente un caso che proprio C-mell sia protagonista di alcune delle più belle storie d’amore di questo ciclo.
Sbaglieremmo però a ricavarne l’impressione che nell’opera di Smith ci sia una considerazione almeno in parte positiva della figura del mutante; se questo accade per i mutanti di origine animale, ben diversa è la questione per quanto riguarda i mutanti di origine umana. L’idea che le tendenze mutagene più diverse spingano l’uomo verso la regressione e la degenerazione è diffusa, qua e là, in tutti i suoi racconti e romanzi. Del resto lo stesso movimento della “Riscoperta dell’Uomo” non è forse la reazione ad una evoluzione regressiva dell’umanità? («Stiamo uccidendo l’umanità con una blanda felicità senza speranza, proibendo la diffusione delle notizie, sopprimendo la religione e trasformando la storia in un segreto di Stato… L’umanità è priva ormai di vitalità, di forza, di energia. Si sta estinguendo»9, dice il Signore della Strumentalità Sto Odin).
Ma più espliciti sono altri racconti, in cui l’idea della mutazione biologica e culturale è connessa alla colpa, alla punizione, all’espiazione e all’orrore. Uno di essi è il famosissimo «Un pianeta chiamato Shayol»10, esplicitamente ispirato all’inferno dantesco.
Il pianeta Shayol (che in inglese è omofono della parola che indica l’inferno nelle lingue semitiche) è il luogo d’esilio di tutti coloro che si sono macchiati di colpe innominabili: qui i condannati vivranno, senza bisogno di cibo o bevande, sostentati, nutriti e completamente controllati da una forma di vita aliena e (a suo modo) intelligente, il dromozoo, che in forma di fascio luminoso penetra nel corpo umano provvedendo a svolgere tutte le funzioni organiche ma anche, fra terribili dolori, a far crescere nuove parti del corpo, specie di innesti dalla variegata mostruosità. Ma ancora più significativo è forse «Il crimine e la gloria del comandante Suzdal»11: Suzdal viene inviato proprio su Shayol perché nel corso del suo viaggio ha dovuto far fronte ad un pericolo inaspettato creando in modo del tutto incontrollato una razza di felini intelligenti; ma più che questo ci interessa qui la descrizione del pericolo. Questo è un pianeta, Arachosia, dove una mutazione misteriosa provoca il cancro in tutti gli esseri viventi femminili, comprese le donne dei coloni.
Per poter sopravvivere una dottoressa, Astarte Kraus («una donna brillante, spietata, implacabile nei confronti dell’universo che aveva tentato di distruggerla») trasforma se stessa e tutte le donne ancora in vita in uomini.
La riproduzione viene assicurata creando uteri artificiali nel corpo degli uomini e dei nuovi uomini-donne. Gli esseri di Arachosia si trasformano così in una società di «omosessuali barbuti, con labbra imbellettate, orecchini, acconciature raffinate… degli attaccabrighe che mescolavano gli amori all’assassinio, che intrecciavano le loro canzoni con duelli». A differenza di altri luoghi, l’apparente illogicità e la mancanza di connessioni tra i vari fatti narrati testimoniano qui più un emergere di personali ossessioni dell’autore contro le donne e gli omosessuali che non un mimare l’andamento di vecchi miti12.
Naturalmente con i mutanti, quando derivano da ceppi non-umani e soprattutto quando svolgono una funzione indispensabile, è necessario venire a patti. È così che Kord Jestocost, sia nella «Ballata di C-mell perduta» che in «L’uomo che regalò la Terra», si dichiara favorevole a una estensione dei diritti dei quasi-umani e, rischiando personalmente, entra in contatto con la Sacra Rivolta, l’organizzazione clandestina degli underpeople, le cui caratteristiche più religiose che politiche sono evidenti dal nome. Non c’è da dubitare, conoscendo la vera identità dell’autore13, che si tratti di uno di quei cambiamenti in cui qualcosa cambia perché tutto resti come prima.
Nota 1: L’esigua – quanto a mole – opera narrativa di Coedwainer Smith si colloca tutta, senza eccezioni, entro il disegno di una “storia futura”, ben più lontana nel tempo da noi di quella immaginata da Heinlein, ma anche dalla Le Guin (si va dai 15 ai 40 mila anni nel futuro, approssimativamente). Dopo un intermezzo, mai descritto con precisione, la Federazione dei Pianeti su cui nel frattempo si è espanso l’uomo (a bordo di curiose astronavi lunghe chilometri e spinte dalla pressione della luce su gigantesche vele) viene governata dai Signori della Strumentalità, che assicurano felicità e pace ad un’umanità peraltro priva di stimoli. Alcuni di questi Signori concepiscono allora un’operazione, la Riscoperta dell’Uomo che, riportando a galla le civiltà scomparse della vecchia Terra, introduca anche malattie, rischi, ecc., in misura non letale per la specie ma sufficiente a ricreare gli stimoli mancanti. La Terra è quasi spopolata, e su di essa sorge il gigantesco astroporto (Terraporto) alto 25 km., costruito dai Daimoni, misteriosa razza a cui Smith dedica alcuni tra i pochissimi cenni da lui fatti all’esistenza di culture aliene nella galassia.
Nota 2: Contenuto nel volume «Giù nei vecchi mondi», collana Futuro 12, Fanucci, 1975.
Nota 3: Vedi per esempio la rivista «Calibano», n. 2, Savelli, 1978, dedicata alle forme letterarie di massa, in particolare il saggio di Franco Moretti, «Dialettica della paura», e quello di Alessandro Portelli dedicato ad Asimov.
Nota 4: «L’uomo che regalò la Terra» (The underpeople), Galassia 154, CELT, 1971, p. 43.
Nota 5: C-mell è una ragazza-gatto, che lavora come ragazza-fascino, o ragazza-compagnia (una specie di geishe del mondo della Strumentalità) a Terraporto. Compare come protagonista nel racconto «La ballata di C-mell perduta» (Nova 19, Libra, 1972), nel ciclo di Rod McBan di Nostrilia («L’uomo che comprò la Terra», Galassia 135, 1971 e «L’uomo che regalò la Terra», cit.) e in «AlphaRalpha Boulevard» (Nova 6, 19722). Farà da tramite fra Lord Jestcost e l’organizzazione segreta degli underpeople di cui parleremo più avanti.
Nota 6: «L’uomo che regalò la Terra», cit. p. 104.
Nota 7: «La ballata di C-mell perduta», cit. p. 165.
Nota 8: Una parte non trascurabile del fascino dei racconti di Smith, sta nell’ottica che sceglie per raccontarli, che è in genere quella di un cantore (a volte di un critico) collocato in un futuro ancora posteriore a quello in cui si svolgono le storie. Da qui una serie di apparenti illogicità, incongruenze, salti logici e una patina (artificiale, riconoscibilissima, ma affascinante nel suo kitsch) di arcaismo.
Nota 9: «Giù nella vecchia Terra», cit., p. 155.
Nota 10: Nova 22, Libra, 1973.
Nota 11: Compreso nel cit. «Giù nei vecchi mondi».
Nota 12: Ce n’è abbastanza, forse, per rivedere un po’ il luogo comune, diffuso in tutta la critica specializzata italiana che si è occupata di lui, che vuole Cordwainer Smith principalmente come ispirato cantore dell’amore.
Nota 13: Cordwainer Smith, era in realtà Paul Linebarger (1913-1966) appassionato studioso dell’Oriente, esperto di guerra psicologica (e autore di un famoso manuale) e consulente del governo Usa per gli affari estremo-orientali.
(*) devo ringraziare – di nuovo -Giuliano Spagnul per avere recuperato questo prezioso testo di Antonio Caronia. (db)