Corea del Nord: la resistibile ascesa nucleare

di Angelo Baracca (*)

(foto di John Pavelka via Flickr)

Nel momento in cui la crisi relativa alla Corea del Nord si è acutizzata portando all’ordine del giorno il rischio di un conflitto nucleare (che in realtà sulla scena mondiale non era mai scomparso) ci sembra utile ripercorrere il suo cammino verso gli armamenti nucleari e quale sia stato il suo scopo, cercando di mettere in luce anche le responsabilità degli Stati Uniti e di altri stati nei decenni passati.

Questa storia mi sembra molto istruttiva sulle motivazioni e gli obiettivi che dall’inizio dell’era nucleare hanno spinto quasi tutti i Paesi del mondo ad iniziare programmi nucleari militari per cercare di sviluppare la bomba atomica.

Una premessa: chi prolifera tranquillamente, e chi è … una “canaglia”?

Intanto è opportuna una premessa generale sulla proliferazione nucleare. La IAEA denuncia che vi sono più di 30 Paesi che possiedono materiale fissile sufficiente e capacità tecnico scientifiche per produrre armi nucleari. La Germania e il Giappone hanno accumulato ingenti quantità di plutonio estratto da ritrattamento del combustibile irraggiato dei loro reattori civili, e possiedono le capacità e le conoscenze per realizzare armamenti nucleari in tempi brevissimi (si parla di proliferazione latente, o stand-by). Brasile e Argentina sotto le dittature hanno sviluppato programmi nucleari militari, arrivando alla soglia dalla realizzazione di testate (la Germania e l’Argentina hanno collaborato negli anni Ottanta con il Sudafrica alla realizzazione dell’arsenale nucleare, che poi Nelson Mandela ha smantellato).

Il Brasile ha realizzato anni fa, senza incontrare nessuna opposizione, l’arricchimento dell’uranio con la tecnica della centrifugazione, che invece è stata duramente contestata all’Iran.

Il clima mondiale di proliferazione strisciante è aggravato dal dilagare di programmi, più o meno conosciuti, per progettare o realizzare armi nucleari nuove, con investimenti “triliardari” fin oltre la metà del secolo: “modernizzazioni” che celano innovazioni e potenziamenti sostanziali delle armi nucleari, super computer per la simulazione dei test nucleari, processi innovativi per l’arricchimento dell’uranio ecc.. Nel 2004 la IAEA denunciò esperimenti di arricchimento mediante laser condotti clandestinamente nel 2000 dalla Corea del Sud, in violazione degli impegni imposti dal TNP. Gli USA e la Francia hanno realizzato due impianti militari di confinamento inerziale (rispettivamente la National Ignition Facility e Mégajoule) per simulare o realizzare micro-esplosioni a fusione nucleare.

Corea del Nord, anni Novanta: … la politica statunitense della “carota”.

Veniamo alla Corea del Nord. Pyongyang firmò il Trattato di Non Proliferazione (TNP) nel 1985, ma condizionò l’accettazione dei controlli della IAEA al ritiro da parte degli Stati Uniti delle circa 100 testate nucleari schierate nella Corea del Sud. Quando questo avvenne, nel 1991, si inaugurò una politica di distensione[1]: ripresero i contatti tra le due Coree e venne prospettata una futura zona denuclearizzata nella penisola con la proibizione di sviluppare tecnologia militare, e infine nel 1992 Pyongyang sottoscrisse il protocollo per i controlli della IAEA.

In quell’anno gli USA imposero sanzioni alla Corea del Nord per le sue attività missilistiche, a seguito delle quali questa minacciò di ritirarsi dal TNP con il necessario preavviso di 3 mesi, e iniziò le prime attività per mettere a punto la capacità di estrarre plutonio dal ritrattamento del combustibile irraggiato del reattore nucleare di Yongbyon (il processo era comunemente eseguito dalla Francia e dalla Gran Bretagna, e il Giappone stava progettando un impianto, che ha poi terminato: tutti Paesi membri del TNP). Yongbyon è un reattore moderato a grafite e raffreddato a gas, di potenza 5 Mwe (potenza elettrica prodotta), che era stato completato nel 1986. In quella fase iniziale era facile potere arrestare le attività militari in cambio di concessioni.

La semplice minaccia funzionò, esercitando una pressione efficace sugli Stati Uniti (per la cronaca, tra fine 1993 e inizio 1994 la CIA stimò che Pyongyang avesse separato 12 kg di plutonio, e addirittura che potesse aver fabbricato due bombe atomiche! Tanto per intenderci sull’affidabilità dei servizi di intelligence): l’amministrazione Clinton aprì negoziati diretti con la Corea del Nord, che sfociarono il 21 ottobre 1994 (in luglio era morto il presidente Kim Il Sung, al quale era succeduto Kim Jong) a Ginevra in un Agreed Framework, con cui Pyongyang si impegnava a congelare i programmi nucleari in corso, a chiudere i reattori a grafite (idonei per produrre plutonio militare), a rafforzare il sistema delle verifiche della IAEA e a implementare l’accordo tra le due Coree, in cambio della cooperazione per la costruzione di due reattori ad acqua leggera (meno idonei a diversioni militari: il contratto viene firmato nel dicembre 1999), della fornitura di petrolio per generazione elettrica, della normalizzazione dei rapporti politici ed economici, di aiuti, e dell’assicurazione di non venire minacciata con armi nucleari. Rimase comunque aperto l’interminabile contenzioso sui programmi missilistici (su cui Pyongyang stava facendo rapidi progressi, e la CIA lanciava continui allarmi: in ballo c’era anche la collaborazione della Corea del Nord con l’Iran), con alti e bassi, e con il ricatto americano sulla rimozione delle sanzioni economiche: la Corea dichiarò una moratoria sui programmi missilistici, minacciando di continuo di interromperla. A causa di questi contrasti non andò in porto il progetto di una visita di fine mandato di Clinton a Pyongyang.

Il 15 giugno 2000 fu firmata una storica dichiarazione tra le due Coree, in cui si affermava di essere “d’accordo per risolvere” l’unificazione dei due Paesi, e l’impegno a risolvere il problema delle famiglie divise dai tempi della guerra del 1953.

Arrivano George W. Bush … e il “bastone”!

Ma la situazione si rovesciò dopo l’elezione a Presidente di Gorge W. Bush nel 2001, in un contesto in cui corse la voce che Pyongyang stava cercando di sviluppare anche un impianto per l’arricchimento dell’uranio tramite la rete clandestina collegata al “padre” della bomba pachistana A. Q. Kahn (è universalmente noto che aveva ricevuto supporto e cooperazione da una gran quantità di Paesi, anche membri del TNP) mentre d’altra parte Washington aveva disatteso gli impegni relativi alla costruzione dei due reattori nucleari. La Corea del Nord venne qualificata con l’Iran e l’Iraq come “asse del male”.

La “Nuclear posture review” dell’amministrazione Bush del 2002 considerava l’uso di armi nucleari contro la Corea del Nord. Rapporti del Dipartimento di Stato e della CIA contrastavano se Pyongyang avesse già 1 o 2 bombe atomiche, o plutonio sufficiente per farle! La storia successiva dirà che entrambi esageravano, ma spiega anche perché la minaccia funzionava.

In un crescendo della tensione, nel dicembre 2002 la Corea del Nord riattivò il reattore di Yongbyon, e il 10 gennaio 2003 annunciò il ritiro (legittimo, con 3 mesi di preavviso) dal TNP.

Questi sviluppi indussero gli USA a tornare al tavolo negoziale nel 2002, con i Six Party Talks, ai quali partecipavano anche Giappone, Corea del Sud, Cina e Russia. Il ricatto funzionava! Ma intanto il problema di smantellare il programma nucleare era diventato più complesso e dispendioso: e si era sviluppato anche un consistente programma missilistico. Più volte Pyongyang dichiarò la disponibilità ad abbandonarli entrambi in cambio di contropartite sostanziali (e negò ufficialmente di avere un programma di arricchimento dell’uranio, come poi sembra confermato dagli avvenimenti successivi).

Dopo irrigidimenti reciproci, il 19 settembre 2005 si arrivò a un Joint Statement per il proseguimento del negoziato, che ricalcava a grandi linee i contenuti del Framework di 11 anni prima, ma i negoziati si arenarono di nuovo.

La crisi si acuì nel 2006, quando Pyongyang lanciò sette missili a medio e lungo raggio nel Mar del Giappone. Finché il 9 ottobre del 2006 avvenne quello che molti si aspettavano da tempo, un test nucleare sotterraneo (attribuito appunto “interamente alla minaccia nucleare, alle sanzioni e alla pressione degli USA”, per cui la Corea “è stata costretta a dimostrare il possesso di testate nucleari per proteggere la propria sovranità”) la cui natura nucleare, inizialmente messa in dubbio, fu inequivocabilmente confermata un mese più tardi dall’analisi dei radionuclidi trasportati in Canada dalle correnti atmosferiche. Un giornale israeliano commentò (avendo in mente chiaramente l’Iran) “Ora la Corea del Nord non può più essere attaccata”! Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la Risoluzione 1718, che condannava la Corea del Nord ed imponeva sanzioni economiche e sul commercio di materiali o tecnologie dual-use.

Nei mesi successivi al test nucleare di Pyongyang si ebbe la svolta decisiva, che portò il 13 febbraio 2007 a un accordo per l’implementazione del Joint Statement con un piano d’azione simile all’Agreed Framework del 1994 (tredici anni prima!), che prevedeva la chiusura entro due mesi del reattore di Yongbyon e dell’impianto di ritrattamento e la riapertura alle verifiche della IAEA, in cambio di forniture energetiche d’emergenza e dell’avvio di negoziati per un trattato di pace permanente nella penisola coreana (che non è mai stato firmato a 64 anni dalla fine della Guerra di Corea), la sua denuclearizzazione e la normalizzazione delle relazioni con gli USA e il Giappone.

L’acquisizione da parte della Corea del Nord di una capacità nucleare ha pertanto dimostrato la sua efficacia nell’ottenere la conferma di benefici concordati fin dal 1994 e la possibilità di essere derubricata come “Stato canaglia”, nonché la cessazione delle minacce da parte degli Usa.

Responsabilità molteplici

È importante sottolineare che la Corea del Nord non è stata la sola responsabile dell’escalation militare. Nel 2007 la Corea del Sud annunciò l’intenzione di sviluppare un missile intercettatore terra-aria a medio raggio per distruggere i missili balistici della Corea del Nord, un nuovo sommergibile a propulsione Diesel (in collaborazione con la Germania) e un destroyer, equipaggiati con un sistema avanzato di difesa aerea.

Il Giappone fin dal 2003 – con il pretesto della crisi coreana, ma probabilmente guardando più alla Cina –  annunciò l’acquisto di un sofisticato sistema antimissile dagli Stati Uniti, nel 2007 di avere schierato il primo sistema antimissile autonomo, costituito da due batterie di missili Patriot Pac-3 terra-aria importate dagli USA, e il progetto di rafforzare le difese antimissile con laser di alta potenza.

Tornando alla Corea del Nord, a grandi linee, nel novembre 2007 venne concordato un piano finanziato dagli USA per lo smantellamento del reattore nucleare di Yongbyon. Ma nell’agosto 2008, dato che Washington non non aveva adempiuto all’impegno di rimuovere la Corea dalla lista degli Stati terroristi, Pyongyang sospendeva lo smantellamento, dichiarando che lo avrebbe riportato al suo stato originario.

Il 5 aprile 2009 la Corea del Nord lanciò il missile a tre stadi Unha-2 sostenendo di avere posto in orbita un satellite: risultato che venne negato dal U.S. Northern Command. Ma il 13 aprile il Consiglio di Sicurezza condannò Pyongyang per la violazione della risoluzione 1718 del 2006. Come risposta la Corea dichiarò di ritirarsi dai six-party talks, di non ritenersi vincolata agli accordi, di interrompere lo smantellamento delle sue installazioni nucleari, e di voler riprocessare tutte le 8.000 barre di combustibile esaurito per estrarne il plutonio.

Il 25 maggio 2009 effettuò il secondo test nucleare sotterraneo, in risposta al quale il Consiglio di Sicurezza adottò all’unanimità la Risoluzione 1874 che rafforzava le sanzioni a Pyongyang e vietava ulteriori test missilistici. La Corea del Nord reagì dichiarando di voler utilizzare militarmente tutto il plutonio estratto da combustibile esaurito di Yongbyon, di proseguire nello sviluppo dell’arricchimento dell’uranio, e che avrebbe risposto militarmente a qualsiasi embargo.

Sempre nel 2009 la Corea del Nord effettuò un test di un missile a lunga gittata, e in risposta alla condanna del Consiglio di Sicurezza dichiarò di ritirarsi dai Six-Party Talks, di non sentirsi più vincolata agli accordi presi, di riprendere la produzione di plutonio per uso militare, e che avrebbe intrapreso anche il processo di arricchimento dell’uranio. Nel maggio 2009 venne riportato un secondo test nucleare sotterraneo, in risposta al quale il Consiglio di Sicurezza adottò sanzioni finanziarie.

Di nuovo funzionò! Anche dopo il secondo test nucleare si ebbe una schiarita nelle relazioni bilaterali, con la dichiarazione di disponibilità di Pyongyang a tornare al tavolo dei negoziati, che portò alla prima visita ufficiale a Pyongyang nel dicembre 2009 dell’inviato speciale USA Stephen Bosworth.

Dopo il 2010, tra problemi interni del regime, provocazioni, minacce

La cose si complicarono ancora, e i successivi sviluppi non sembrano di facile interpretazione. Anche la situazione interna della Corea del Nord si è aggravata.

La tensione si riaccese dopo l’affondamento il 26 marzo 2010, in circostanze poco chiare, di una corvetta sud coreana, con la morte dei 46 membri dell’equipaggio. Ne è seguita un’escalation di accuse e minacce reciproche, mentre la Cina richiamava alla calma, facendo capire che non avrebbe accettato una condanna del Consiglio di Sicurezza. Il 20 maggio una commissione internazionale attribuì l’affondamento a un siluro lanciato da un’unità nord coreana: Pyongyang naturalmente negò. Gli interrogativi sull’affondamento sono molti: c’è chi pensa che possa essere stato effettivamente un atto della Corea del Nord, collegato alla difficile situazione interna e alla futura successione al potere.

La tensione si è nuovamente riaccesa a fine luglio 2010, questa volta per la grande esercitazione militare svolta da Washington e Seoul nel Mar Giallo, che Pyongyang (ma anche Pechino) ha denunciato come atto aggressivo, accusata a sua volta dal Sud del sequestro di un peschereccio e di cannonate sparate oltre il confine. La crisi ha raggiunto un culmine il 23 novembre 2010, quando la Corea del Nord ha sferrato il più violento attacco in piena regola dal 1953, cannoneggiando l’isola contesa di Yeonpyeong, provocando la morte di due militari sudcoreani e molti feriti.

Nel novembre 2010 la Corea del Nord rivelò ad un gruppo di specialisti statunitensi la costruzione di un impianto di arricchimento dell’uranio con 2.000 centrifughe.

Non intendo seguire qui in dettaglio l’incalzare degli sviluppi della questione coreana negli anni più recenti, sia per la complessità, sia perché i lettori li hanno in genere più presenti.

Pyongyang ha intensificato lo sviluppo sia del proprio programma nucleare, che di quello missilistico (pur reiterando sempre la propria disponibilità a ritornare al tavolo dei Six-party talks). Dopo il tentativo fallito dell’aprile 2012 di lanciare un satellite artificiale meteorologico, il 12 dicembre successivo è riuscita a metterne in orbita uno, con una tecnologia applicabile ai missili balistici. Il 12 febbraio 2013 ha eseguito un terzo test nucleare (quelli successivi, il quarto e il quinto, sono stati il 6 gennaio, affermando che si sia trattato di una testata termonucleare, e il 9 settembre 2016). Dal 2015 ha enormemente intensificato tutti test missilistici (33 di missili a corto e medio raggio, con soli 2 falliti, da quando è salito al potere Kim Jong-un, il 18 dicembre 2011) e ha eseguito anche test di missili lanciati da sommergibili [2].

Come contromisura nel 2013 la Corea del Sud aveva deciso di sviluppare un proprio sistema di difese antimissile THAAD [3] (Terminal High Altitude Area Defense), ma nel luglio 2016 decise di installare il sistema statunitense: nel marzo scorso cominciarono i lavori, e il sistema dovrebbe essere operativo entro la prossima estate.

Sono note le proteste della Cina, che vi vede un’ulteriore possibilità di monitorare i propri programmi.

Ma anche nella Corea del Sud si è sviluppato un movimento molto forte che si oppone a questa installazione, per motivi sia di sicurezza che ambientali e sanitari.

Una rete di complicità internazionali

Intanto emerge una rete internazionale di complicità con la Corea del Nord. Un rapporto delle Nazioni Unite del febbraio scorso riporta che fra i detriti recuperati dal test missilistico nord coreano del febbraio 2016 sono stati trovati componenti cinesi e parti acquistate dall’Europa attraverso la Cina, risalenti alla Russia [4]. Il rapporto evidenzia la capacità di Pyongyang di diversificare i canali di fornitura. In un altro caso il rapporto ha trovato che Pyongyang stabilì una società di copertura in Malesia, utilizzata per produrre apparecchiature militari di comunicazione. Aspetti finanziari delle operazioni mostrano che la rete ha utilizzato conti bancari e società di copertura situate soprattutto in Cina e in Malesia per procurarsi componenti e sistemi completi.

Sebbene le Nazioni Unite abbiano posto il bando all’esportazione di attrezzature militari, la Corea del Nord ha guadagnato, e sta guadagnando, denaro dalla vendita di componenti missilistiche e tecnologia correlata all’estero [5]. È convinzione diffusa che queste esportazioni hanno consentito al regime di Kim Jong-un di sopravvivere e di finanziare il programma nucleare: nel corso degli anni i clienti sarebbero stati l’Iran, l’Egitto, il Pakistan, la Libia, la Siria, gli Emirati Arabi Uniti (UAE), l’Angola, il Vietnam e il Myanmar, anche se alcuni clienti sono stati recentemente perduti.

La crisi in atto

Un lungo articolo sul New York Times del 24 aprile [6] alimenta notizie decisamente allarmistiche. Gli autori informano in primo luogo di “una crescente mole di studi di esperti e di rapporti di intelligence classified” che concludono che “il paese è in grado di produrre una bomba nucleare ogni sei o sette settimane … e potrebbe arrivare a 50 testate alla fine del mandato di Trump”. Penso sia difficile valutare la consistenza di queste analisi, ma non posso mancare di pensare ai tanti rapporti di intelligence che in passato facevano valutazioni allarmanti dei progressi nucleari della Cina e che poi si sono regolarmente rivelati sballati! Ricordiamo anche le armi nucleari di Saddam Hussein.

Comunque, stando all’articolo, i “funzionari americani affermano che il Nord Corea già sa come rimpicciolire quelle testate in modo che possano essere poste sui missili a corto e a medio raggio, a tiro della Corea del Sud e del Giappone e di migliaia di truppe americane schierate in quei due paesi. Le migliori stime sono che la Corea del Nord dispone di circa 1.000 missili balistici in circa 8 varietà”. Il già citato dott. Hecker esprime qualche riserva, poiché ogni testata che deve viaggiare molto lontano deve essere “più piccola e leggera e superare le difficoltà eccezionali di sollecitazioni e temperature” di un rientro incandescente nell’atmosfera (condizioni proibitive poiché viaggia a velocità di 4 miglia/sec): “Secondo la maggior parte delle stime questo dista 4 o 5 anni. Ma d’altra parte molti alti funzionari dicevano lo stesso 4 o 5 anni fa”. Di nuovo l’opinabilità dell’intelligence.

Quanto al programma nucleare, l’intelligence USA sostiene che nel suo arsenale vi sono già, oltre alle testate al plutonio, anche bombe ad uranio altamente arricchito, e che la Corea “sta puntando a qualcosa di molto più grosso: una bomba all’idrogeno”. Recentemente ricercatori delle Nazioni Unite avrebbero trovato prove che Pyongyang è riuscita a produrre litio-6, e c’è chi sostene che ne avrebbe già usato nel test della bomba a fissione del 2016 [7].

Comunque, l’articolo sottolinea giustamente le difficoltà che Pyongyang si trova di fronte. La realizzazione di missili intercontinentali con testata nucleare non è un semplice sviluppo di quelli a raggio intermedio, ma pone problemi e difficoltà nuove. Mentre i più vecchi tipi di missili Scud hanno dimostrato un’ottima affidabilità, e quelli successivi discreta (Nodong e Polaris 1 e 2), il Musudan con gittata 3.500 km ha accumulato un numero impressionante di fallimenti (7 su 8 test) e 2 test riusciti su 3 per l’Unha-3. Forse anche per questo la Corea del Nord non ha ancora testato i due missili a gittata maggiore, che potrebbero raggiungere gli Stati Uniti: un fallimento del test, com’è avvenuto per i due più recenti, indebolirebbe la posizione di Pyongyang (Trump ha ironizzato sull’ultimo test). I cyber-attacchi che Obama ordinò contro la Corea del Nord avevano l’intenzione di rallentare i suoi programmi missilistici. E forse anche per questo la Cina esercita pressioni per ritardare l’esecuzione di un nuovo test nucleare. E anche la strategia di Trump sembra puntare a rallentare i programmi di Pyongyang per spingerla a tornare ai negoziati. L’amministrazione USA teme che il tempo si stia esaurendo ma l’impegno preso da Trump in campagna elettorale di “risolvere il problema” appare molto arduo.

Mi sia consentita una precisazione. Quand’anche Pyongyang riuscisse a realizzare un missile intercontinentale affidabile, altro discorso sarebbe la sua precisione, che presumibilmente sarebbe molto bassa. Anche se la caduta di una bomba nucleare, fosse pure in un posto sbagliato, potrebbe provocare danni umani inaccettabili.

Qualche considerazione strategica e politica

Credo in primo luogo che sia opportuna qualche considerazione relativa alle tendenze alla proliferazione nucleare e missilistica, perché si applicano sempre due pesi e due misure secondo a chi si riferisce il rischio, come del resto abbiamo ben visto in passato nel caso dell’Iran. I test missilistici si moltiplicano in tutti i Paesi, e ormai non fanno più neanche notizia: qualcuno ha fatto caso al fatto che il 27 aprile (6 giorni fa) l’India ha testato un missile balistico Agni-III con capacità nucleare e gittata di oltre 3.000 km? L’India e il Pakistan confinano e hanno arsenali nucleari di circa 120-130 testate ciascuno.

Più presente nell’opinione pubblica è oggi l’allarme per una possibile guerra nucleare, ma per i nostri media dovuta unicamente alla Corea del Nord: dopo il crollo dell’URSS hanno accreditato la percezione che le armi nucleari non costituiscano più un pericolo e hanno completamente occultato all’opinione pubblica il fatto che da più di 15 anni invece il rischio di guerra nucleare è diventato più grave che in tutti i decenni della Guerra Fredda, perché chi detiene queste armi considera la concreta possibilità del loro uso! Questo sarebbe avvenuto (è avvenuto) anche senza la Corea del Nord. Gli Stati Uniti, durante la presidenza del “Nobel per la pace” Obama, hanno sviluppato un programma di modernizzazione delle loro armi nucleari per essere in grado di sferrare un ipotetico first strike alla Russia che possa almeno in teoria decapitare le sue forze nucleari [8]. Un breve commento del 26 aprile si chiede giustamente: “Quale nazione costituisce la minaccia più grande? La Corea del Nord con le sue capacità missilistiche e nucleari da mezzacartuccia, o i poderosi Stati Uniti?” [9].

Ma sembra che il “vizio” si diffonda: il 24 aprile il Segretario della Difesa britannico Michael Fallon ha dichiarato che deve essere chiaro che la Gran Bretagna non esclude l’uso delle armi nucleari in un first strike! [10]

Qualche considerazione, breve e provvisoria, vorrei aggiungere anche sulle motivazioni e le mosse di Trump. Da un lato non bisogna trascurare le sue motivazioni “domestiche”, cioè minacciare sfracelli per coprire il fatto che tutti i programmi immediati su cui egli si era spavaldamente impegnato in campagna elettorale sono, almeno nei primi 100 giorni, falliti.

In secondo luogo mi sembra da tenere presente la possibilità che Trump “parli a nuora perché suocera intenda”. Mi sembra almeno plausibile che la Corea del Nord non sia la sua preoccupazione specifica e principale, ma che egli si stia piuttosto dirigendo per via indiretta alla Cina e alla Russia, e per altro verso, esibendo la sua fermezza, agli alleati Giappone e Corea del Sud. In effetti Pekino sembra essere piuttosto in imbarazzo nei suoi rapporti con Pyongyang.

Del resto proprio oggi (2 maggio) è stata diffusa una dichiarazione di Trump sulla sua disponibilità ad incontrare Kim Jong-un se ci saranno le condizioni, aggiungendo di essere il solo capo di governo a dichiarare questa disponibilità e che “ne sarebbe onorato”.

Ma forse anche la Corea del Sud crea a Trump qualche problema: è attualmente senza un presidente, e nei sondaggi per le elezioni del prossimo 9 maggio è in testa il candidato favorevole al dialogo con Pyonyang. Inoltre si prospetta con Seoul anche un contenzioso, perché Washington vorrebbe un concorso alle spese del sistema THAAD in corso di installazione.

Queste considerazioni si fermano al 2 maggio 2017

[1]              Una cronologia molto dettagliata è riportata in “Chronology of U.S.-North Korean Nuclear and Missile Diplomacy”, Arms Control Association, 7 aprile 2017, https://www.armscontrol.org/factsheets/dprkchron.

[2]              Pyongyang ha un numero notevole di sommergibili a propulsione diesel, alcuni sono molto vecchi, alcuni sono sommergibili balistici; ha anche esportato sommergibili all’Iran. V. ad esempio “List of active North Korean ships“, https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_active_North_Korean_ships.

[3]              Il THAAD consiste in serie di missili basati a terra, destinati a distruggere missili balistici con gittata intermedia. È composto di quattro elementi principali: un’unità radar che sorveglia e traccia gli oggetti nell’area protetta dello spazio aereo; un lanciatore che lancia i missili intercettori; gli intercettori; e un sistema di controllo e comunicazione digitale.

[4]              Bill Gertz, “UN report reveals how North Korea sources missile technology”, Asia Times, 21 aprile 2017, http://www.atimes.com/article/un-report-unpicks-north-korea-sources-missile-technology/.

[5]              Bertil Lintner, “North Korean missiles officially banned and widely available”, Asia Times, 19 aprile 2017, http://www.atimes.com/article/north-korean-missiles-officially-banned-widely-available/.

[6]              David E. Sanger e William J. Broad, “As North Korea Speeds Its Nuclear Program, U.S. Fears Time Will Run Out”, New York Times, 24 aprile 2017, https://www.nytimes.com/2017/04/24/world/asia/north-korea-nuclear-missile-program.html?mkt_tok=eyJpIjoiWm1abU9EQXdNVEprTW1ZMyIsInQiOiI3XC96cWR0aDRVTzZwT2M1bWRWUGVVcjYwYUs5aFNYanoyTmZraFRPUEtDNEc0UFlSeGZ2d0RxT0lkbU9WbkJTME1xb3hiMENWZElUT09RSGpWTlhSZndBQ2loZkxTb2NtU1BSYitIVW5RUUlJVXBvUGdRdWRJbFZ2ZzZiZFJ6aHoifQ%3D%3D&_r=0.

[7]              L’uso di nuclei leggeri nelle bombe a fissione è cosa diversa dal meccanismo delle bombe termonucleari, a fissione-fusione: consiste nel meccanismo del boosting usato nelle testate di seconda generazione per aumentare la potenza esplosiva fornendo una fonte addizionale di neutroni e “bruciando” una percentuale di plutonio prima che la testata si scomponga nell’esplosione, venendo così a mancare la massa critica (rimando ad esempio al mio A  Volte Ritornano, il Nucleare: La Proliferazione Nucleare Ieri, Oggi e Soprattutto Domani, Jaca Book, 2005, Appendice 7.1, pp. 290-91). Di solito il gas per il meccanismo del boosting è una miscela di deuterio e trizio, ma a volte di usa anche litio.

[8]              Alex Gorka, “US Navy Prepares Decapitating Attack against Russia”, 3 aprile 2017, https://www.transcend.org/tms/2017/04/us-navy-prepares-decapitating-attack-against-russia/; Hans M. Kristensen, Matthew McKinzie e Theodore A. Postol, “How US nuclear force modernization is undermining strategic stability: The burst-height compensating super-fuze”, The Bulletin of the Atomic Scientists, 1 March 2017, http://thebulletin.org/how-us-nuclear-force-modernization-undermining-strategic-stability-burst-height-compensating-super10578; e Angelo Baracca, “Addio al regime di non proliferazione nucleare?”, aprile 2017.

[9]              “U.S. Missile Madness Hypocrisy”, 26 aprile 2017, http://space4peace.blogspot.it/2017/04/us-missile-madness-hypocrisy.html.

[10]             “Theresa May would fire UK’s nuclear weapons as a ‘first strike’, says Defence Secretary Michael Fallon”, The Independent, 24 aprile2017. Vale la pena ricordare che la Gran Bretagna a da poco varato il programma Trident di una nuova generazione di missili e di sommergibili nucleari per 40 miliardi di sterline.

(*) ripreso da «Pressenza» che si presenta così: “Agenzia stampa internazionale per la pace, la nonviolenza, l’umanesimo e la nondiscriminazione con sedi a Atene, Barcellona, Berlino, Budapest, Buenos Aires, Hong Kong, Milano, Monaco di Baviera, Lima, Londra, Madrid, New York, Parigi, Porto, Quito, Roma, Santiago, Sao Paulo e Vienna”.

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