Corona virus: un po’ troppi a lavorare
di Matteo Gaddi e Nadia Garbellini – Fondazione Claudio Sabattini (*)
Una ricerca dove si dimostra che oggi è andato a lavorare il 40% in più (4,5 milioni di unità di lavoro) di quelli che dovrebbero.
Settori fondamentali: li stiamo identificando nel modo giusto?
Matteo Gaddi, Nadia Garbellini – Fondazione Claudio Sabattini
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo elenca le attività economico-produttive per le quali non è prevista la sospensione durante l’emergenza Covid 19. Il provvedimento del Governo mescola attività a fondamentali e attività industriali e di servizio che, pur non essendo fondamentali in sè, dovrebbero costituire un supporto alle prime in termini di forniture. L’errore metodologico è enorme. Esiste una differenza sostanziale tra attività che producono i beni finali – le teste delle filiere, cioè le catene produttive – e attività che forniscono, direttamente o indirettamente, beni e servizi strumentali – gli anelli delle catene. L’elenco del governo, dicevamo, include le attività che chiameremo qui fondamentali (sanità, agroalimentare, ecc.) – vale a dire le teste delle catene – e alcune attività al loro servizio – la filiera associata.
Inoltre, l’Articolo 1, comma 1, lettera D del DPCM precisa che «restano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’Allegato 1.», previa comunicazione al Prefetto – in sostanza, si è data alle imprese la possibilità di autocertificare che le loro produzioni sono a servizio delle attività elencate. Ciò apre la strada ad una liberalizzazione completa di tutte le attività economico-produttive: chiunque infatti può dichiarare di essere a servizio di uno dei tanti codici Ateco dell’elenco e proseguire indisturbato la produzione. Tutto ciò mentre – come vedremo – si fallisce anche nel garantire la piena operatività delle filiere fondamentali. Viceversa, la procedura corretta sarebbe stata quella di partire dai settori fondamentali e, a cascata, individuare con puntualità tutti i loro fornitori diretti ed indiretti, indipendentemente dalla branca di afferenza. Questa scelta del Governo, già di per sè dissenata, è stata ulteriormente peggiorata dal lavoro di lobbying di Confindustria – che ha preteso, e ottenuto, l’inserimento di un gran numero di attività diverse da quelle fondamentali.
Per comprendere meglio il fenomeno di cui stiamo parlando, e stimarne la portata, possiamo svolgere un semplice esercizio empirico.
In primo luogo, definiamo i servizi fondamentali:
Agricoltura e agro-industria (Codici Ateco: 01, 03, 10, 111)
Sanità e assistenza sociale (86, 87, 88)
Ricerca scientifica e istruzione (72, 85)
Pubblica Amministrazione (84)
Telecomunicazioni (61)
Servizi pubblici (energia, gas, acqua, rifiuti, trasporti terrestri) (35, 36, 37, 38, 39, 49, 53).
Tutte le altre attivitàconsiderate essenziali dal governo, invece, sono al servizio di quelle fondamentali (ad esempio, la produzione di macchinari per ospedali per la filiera della sanità, quella di fertilizzanti per la filiera agro-alimentare, e così via). In altre parole, la distinzione da effettuare è tra attività fondamentali e tutto il resto: tutte le attività sono essenziali, nella misura in cui partecipano alle catene produttive fondamentali.
In quanto segue, useremo le seguenti diciture: • Fondamentali: i settori fondamentali, elencati sopra • Essenziali: i settori identificati come essenziali dal Governo, ma diversi da quelli fondamentali • Altri: tutti gli altri settori.
Veniamo ai numeri. Le stime sono state effettuate utilizzando le tavole Input-Output del 2016, l’anno più recente per cui Istat fornisce i dati. Utilizzando le tavole, è possibile riclassificare le attività in base alle filiere a cui partecipano. Se ad esempio l’attività 2 vende il 70% della sua produzione alla filiera 1 e per il 30% produce beni finali, il suo output sarà collocato per il 70% nella filiera 1 e per il 30% nella filiera 2. Calcolando le proporzioni per colonna, laddove ogni colonna rappresenta una filiera e la sua capacità produttiva, possiamo quindi calcolare il peso di ciascuna attività nelle filiere fondamentali. I risultati sono esposti nella tabella 1. Come si può vedere, solo il 25.8% della capacità produttiva delle filiere fondamentali è costituito da attività essenziali. Quelle non essenziali (tutte le altre) pesano per il 33.2%…
(*) CONTINUA su http://www.fondazionesabattini.it/ricerche-1/ricerca-coronavirus-e-lavoro)
LE VIGNETTE – scelte dalla “bottega” – sono di Giuliano Spagnul.
Una ricerca ottima poichè evidenzia ” l’errore metodologico “contenuto nel Decreto del Consiglio dei Ministri del 22 marzo.Un errore come segnalavo ieri sera a Mario Agostinelli, uno dei promotori dell’appello apparso domenica su Il manifesto ” Fermate le fabbriche “, che è spiegabile nelle parole pronunciate da Conte e rivolte a Cgil-Cisl-Uil ” non pensate di tornare alla concertazione degli anni ’90.” Ovvero, siamo alle solite, i sindacati possono sedersi ai tavoli, ma non pensino di incidere sulla sostanza dei provvedimenti, giacchè alla fine chi la deve spuntare è sempre Confindustria.Bene allora gli scioperi proclamati unitariamente da alcune categorie industriali ( meccanici, chimici ) e la decisa pressione delle confederazioni per chiudere i settori non essenziali. Come giustamente ha fatto notare Francesca Re David su Il manifesto di oggi i lavoratori e le lavoratrici non sono contenti di percepire 700-800 euro netti al mese di cassa, ma la salvaguardia della loro salute e di quella dei loro famigliari è senz’altro prioritaria rispetto alle pretese avanzate dagli imprenditori del profitto a tutti i costi. Colgo l’ occasione per segnalare – sempre sull’ottimo sito sinistrainrete.info – l’intervento di David Harvey ” La fine del neoliberismo “, che evidenzia come la vicenda del coronavirus acuisca ulteriormente la crisi delle condizioni di riproduzione del capitale.
UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE: PREMERE NONVIOLENTEMENTE SULLE AMMINISTRAZIONI COMUNALI AFFINCHE’ APPRONTINO AIUTI STRAORDINARI PER LE PERSONE IN CONDIZIONI DI INDIGENZA
Sta crescendo vertiginosamente il numero delle persone che precipitano in condizioni di di poverta’ estrema, di vera e propria indigenza.
Sembra che i ricchi e i potenti al governo dello Stato e delle Regioni non se ne accorgano neppure.
Il papa invece si’, quasi unica tra le persone che hanno voce pubblica, e con lui ogni persona di volonta’ buona, ed ogni persona appartenente alle classi sfruttate ed oppresse, rapinate ed emarginate.
L’epidemia non solo riduce gli svaghi dei ricchi e i profitti dei piu’ ricchi, ma impoverisce drasticamente chi vive del proprio lavoro, e scaraventa nella miseria chi era gia’ povero.
Alla paura del contagio, della malattia, della morte si aggiungono il terrore e la disperazione della fame, l’umiliazione dell’abbandono nella solitudine, e la percezione straziante e abissale della strutturale e deflagrante violenza di una societa’ organizzata per promuovere la massimizzazione del profitto anziche’ per garantire i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Occorre premere nonviolentemente sul Governo affinche’ cessino immediatamente gli sperperi e gli abusi e si destinino le risorse per salvare le vite di chi e’ piu’ in pericolo, in pericolo per la malattia, in pericolo per la fame, in pericolo per la disperazione e l’inedia. Apra gli occhi chi governa lo Stato, si smetta di effettualmente perseguitare con azioni ed omissioni chi piu’ soffre.
Ed ugualmente occorre premere nonviolentemente sulle Regioni affinche’ cessino immediatamente gli sperperi e gli abusi e si destinino le risorse per salvare le vite di chi e’ piu’ in pericolo, in pericolo per la malattia, in pericolo per la fame, in pericolo per la disperazione e l’inedia. Apra gli occhi chi governa le Regioni, si smetta di effettualmente perseguitare con azioni ed omissioni chi piu’ soffre.
Ma occorre anche premere nonviolentemente sui Comuni.
Immediatamente, affinche’ immediatamente e adeguatamente i Comuni soccorrano le persone piu’ in difficolta’, affinche’ approntino con la massima tempestivita’ aiuti straordinari per le persone in condizioni di indigenza o che nell’indigenza stanno rapidamente precipitando.
E’ nell’azione tempestiva dei Comuni la chiave di volta per fronteggiare immediatamente, garantendo il cibo e gli altri generi di prima necessita’, le piu’ urgenti esigenze vitali della parte piu’ bisognosa di sostegno sociale, oltre e piu’ e prima ancora che sanitario, della popolazione.
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Proponiamo quindi a tutte le persone di volonta’ buona, alle esperienze associative democratiche, ai movimenti della societa’ civile, di aggiungere alle altre iniziative che stanno gia’ attuando – a cominciare dalla condivisione dei beni essenziali con chi e’ loro vicino ed ha piu’ bisogno di aiuto – un impegno in piu’, necessario ed urgente.
Scrivere ai sindaci dei Comuni affinche’ le amministrazioni comunali organizzino tramite i propri servizi sociali la messa a disposizione di generi di prima necessita’ a tutte le persone che vivono nel loro territorio e che ne facciano richiesta.
Il volontariato, le organizzazioni caritative, stanno facendo molto, ma occorre l’intervento pubblico. E’ l’intervento pubblico che e’ decisivo. E il primo intervento pubblico qui e adesso deve consistere nel fornire ad ogni famiglia in difficolta’, ad ogni persona che ne abbia urgente bisogno, l’indispensabile per continuare a vivere.
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Vi proponiamo pertanto di inviare al sindaco del vostro Comune – utilizzando i canali telematici – una lettera del seguente tenore:
“Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l’amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche’ a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l’aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche’ tutti i generi di prima necessita’ siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere – un impegnativo ma ineludibile dovere – che il Comune puo’ e deve compiere con la massima tempestivita’.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita’, alla solidarieta’.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell’impegno suo e dell’intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente”
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Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita’, alla solidarieta’.
Siamo una sola umanita’ in un unico mondo vivente casa comune dell’umanita’ intera.
Chi salva una vita salva il mondo.
Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
Viterbo, 28 marzo 2020