«Corpi magici»
Giulia Abbate sul libro di Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani: «Corpi magici – Scritture incarnate dal fantastico alla fantascienza»
«Corpi magici» (Mimesis: 200 pagine per 18 euro) è un piccolo e denso saggio, dedicato a un tema che a spiegarlo sembra – ed è – complesso, ma che è anche uno dei punti nodali della contemporaneità. Il libro di Pasolini e Vallorani è uno strumento valido per averne più consapevolezza.
Parla di corpi magici: ovvero di alcune modalità con cui il corpo difforme è narrato e insieme narra alternative, nelle storie di sei autrici, tre di fantastico e tre di fantascienza.
Anna Pasolini si occupa di «Notti al circo» di Angela Carter, «Passione» di Jeannette Winterson e di «Blonde Roots» di Bernardine Evaristo. In questi tre romanzi, le protagoniste – rispettivamente la donna uccello Fevvers, la palmipede Villanelle e la schiava bianca Doris – incarnano differenze, superano confini, sublimano mostruosità per vivere esistenze potenti e autonome. Spaccano gli interstizi del paradigma oppressivo e vivono in quanto corpi-che-sono, non come corpi-che-possiedono e tanto meno come corpi posseduti dal potere patriarcale, maschile e schiavista.
Nicoletta Vallorani analizza alcune opere significative di James Tiptree jr, ovvero Alice Sheldon; «Seme Selvaggio» di Octavia Butler; e «La quinta stagione» di Nora K. Jemisin. In essi, le astronaute femministe, o la guaritrice mutaforma Anyanwu, o la protagonista “tripartita” del mondo spaccato si contrappongono apertamente al paradigma dominante, ponendo i loro corpi fantascientifici come esempi viventi e potenti di altre possibilità di esistere e di relazionarsi nel mondo.
La prefazione è delle studiose stesse, che raccontano la genesi del saggio e la sua struttura, insieme alla scelta di autrici, testi e quindi personagge su cui lavorare.
«Lo snodo centrale (…) è il concetto di corpo magico, ovvero entità materiale che è capace di realizzare percorsi che altri non sanno o non possono. Corpi alati, alieni, di forma instabile, immortali, violabili, violati, guariti, torturati e rinati sono al centro delle sei storie delle autrici analizzate. Ciascuno di essi è un testo – e dunque possiede una connotazione simbolica – ma è anche intensamente materiale (…) Il talento di questi corpi sta nel porsi come “oggetti transitivi”: essi non solo mettono in relazione chi li indossa col mondo, ma funzionano anche da ponte tra diversi pezzi di mondo, elementi della comunità che sarebbero altrimenti isolati.
(…)
Tutte le autrici considerate trafficano con la storia raccontandone versioni diverse. Tutte, seppure con diversa evidenza, intrecciano vita umana e sopravvivenza ambientale. Le battaglie politiche cui viene dato rilievo sono sempre due, e appaiono intrecciate: una concerne la revisione, di necessità profonda, del rapporto tra maschile e femminile; l’altra allarga l’orizzonte, proponendo una ricomposizione (…) del rapporto tra gli esseri umani e gli scenari che essi abitano».
In queste parole sta la spiegazione del perché io abbia definito «punti nodali della contemporaneità» i temi e i messaggi dei corpi magici.
E nel caso in cui il rapporto fra i generi e quello tra umano e ambiente non sembri abbastanza, pensiamo al momento storico in cui ci troviamo: ora che le donne stanno pagando il prezzo più alto della pandemia a tutto beneficio del potere maschile, e ora che proprio la pandemia ci ricorda che esiste un mondo incontrollabile che siamo, che infettiamo e non certo che controlliamo, c’è una terza questione che a mio avviso non è altrettanto chiara né resa manifesta, ed è quella che attiene alla terribile e asfissiante dimensione dell’inevitabile nel quale ci siamo lasciatə precipitare dalla narrazione dominante, fatta di whatever it takes e di grida all’assassinio di massa contro chi osa anche solo fare domande.
I corpi magici possono rappresentare l’esistenza-resistenza a questa narrazione dell’inevitabile, che schiaccia la difformità travestendosi da unico modo per salvarsi, senza ovviamente rivelare il fatto più importante: non è previsto che si salvino tuttə. Anzi, lo squartamento letterale prima che ideale di molte vittime connotate identitariamente è la condizione indispensabile al predominio di un gruppo singolo, che non solo si aspetta di navigare tranquillo, ma pretende di farlo su un oceano di sangue.
È questo che mi ha colpita, leggendo le analisi accurate e pacate di «Corpi magici»: il sangue, il mare di sangue provocato da precisi gruppi umani, che emana il suo puzzo, oltre il doppio livello dell’analisi dei romanzi e dei romanzi stessi. Il sangue nelle storie delle sei autrici si è fatto parola, ma anche pianto. Come per la lettura di «Le Visionarie», due parole, anzi tre, mi hanno svolazzato in testa anche dopo la lettura: quanto, quanto dolore!
È stato davvero necessario? È stato sensato? È stato utile, dato anche il punto in cui ci troviamo? Non sarà forse il caso, ragionando su queste storie fantastiche-fantascientifiche, di rompere con le narrazioni dell’inevitabile che inevitabilmente mirano a fottere qualcunə, e cercare attraverso la difformità e l’imperfezione dei nostri corpi una magia intesa come potere?
Torniamo al saggio. Dopo la prefazione di metodo, un primo capitolo di merito (che forse non avrei inserito dentro la sezione «Corpi fantastici», ma lasciato fuori, prima) dal titolo «Sconfinamenti» ci introduce al viaggio che faremo con le autrici (tutte: le sei analizzate, le due analizzanti). Fra i tanti spunti che verranno poi ripresi, mi colpisce questo, anch’esso attualissimo:
«(…) le autrici restituiscono la prerogativa della narrazione storica a personaggi marginali e trascurabili, e così facendo mettono in discussione e riscrivono la Storia nel senso in cui Lyotard la intendeva, ossia come meta-narrazione, costruzione discorsiva ufficiale ed egemonica.
(…)
Equiparare la narrazione letteraria a quella storica, dunque, diventa un atto eversivo e paradossale, perché da un lato conferisce alla finzione letteraria lo stesso status autorevole di quella storica, e dall’altra riconfigura la storia come una delle possibili versioni dei fatti affidandone la trasmissione a un punto di vista eccentrico e inaspettato, non tanto per sostituire una verità nuova auna vecchia, quanto per ‘question whose thrut gets told’».
Questo passo, che ben si collega alla recentissima questione dell’abbattimento delle statue e della revisione della “Storia”, mi dà l’occasione di esplicitare due elementi.
Il primo è una estensione del discorso storia-fiction storica, nel senso della forma narrativa: anche il realismo è una delle possibili versioni dei fatti e la narrazione del fantastico non vuole sostituirsi a esso, ma aggiungere, questionare, aprire, interrogare, e arrivare dove il realismo non ce la fa (e non ce la fa. Davvero. Il realismo, quando si gioca duro, non ce la fa. Facciamocene una ragione).
La seconda notazione ricollegabile a questa citazione è: perché l’inglese?
In «Corpi magici» è stata fatta una scelta che capisco, ma non apprezzo: quella di lasciare in lingua originale tutte le citazioni dai testi, che non sono poche. Questa scelta è corretta dal punto di vista filologico, e se «Corpi magici» fosse una pubblicazione accademica sarebbe pacifica. Ma in un saggio divulgativo non è adeguata: a meno di non essere ferrati nella lettura in lingua inglese, incappare nelle citazioni non tradotte restituisce un senso di improvvisa distanza e spezza il flusso di ragionamento e di affabulazione. Ammetto che, verso la fine del saggio, mi sono trovata a saltare a piè pari più di una citazione, per stanchezza e anche per non perdere la connessione profonda con ciò che leggevo.
Mi auguro quindi che una nuova edizione fornisca la traduzione delle citazioni, magari riportando i testi originali in una appendice apposita.
E spero che «Corpi magici» sia comunque molto letto, dibattuto, e soprattutto usato.
Questo saggio è infatti un “mai più senza” per chi voglia scrivere fantastico e fantascienza qui e ora, e voglia parlare del qui e dell’ora in modo “non inevitabile”. La trattazione non si limita alle sei autrici analizzate, ma le colloca in un orizzonte teorico ampio, che va da Anna Tsing e Donna Haraway a Ursula K. Le Guin e Toni Morrison (è citato «Amatissima»; tra le righe, in particolare in quelle dedicate a Octavia E. Butler, ho sentito anche echi di «L’origine degli altri»). Può quindi servire anche a lettrici e lettori curiosə, per ampliare gli orizzonti e iniziare un personale percorso in opere e voci molto interessanti per vivere nel presente.
«Corpi magici» è una lettura che ci consente di riconnetterci alle storie meno o mai raccontate, di ascoltare i tanti pianti di sangue finora silenziati, di suonare una musica di vita in faccia alle fanfare del potere. L’efficacia delle nuove voci, esistenti o da venire, è inscritta anche nella magia dei corpi: abbiamo ben capito che questa magia può essere dimenticata per un po’, ma esiste, e se la cantiamo ci impotererà.
«IMPOTERARE»: UNA NOTICINA NAZIONAL-POPULISTA (di db)
All’ultima parola di questa bella recensione il mio sguardo si è appannato. Ho riletto, meditato e persino guardato in rete se mi ero perso il verbo “impoterare”. Poi fortemente tremando – sentivo che mi stavo cacciando in un guaio o guaietto – ho chiesto a Giulia Abbate se «impotererà» fosse un refuso o ignoranza mia. Ecco la gentilissima risposta: «nessun refuso, “impoterare” è un neologismo con il quale si vuole tradurre in italiano il verbo “empower“… da “Empowerment” arriva “impoteramento”». Le lingue mutano: per necessità, per moda, per fantasia. Prendo atto. Per il momento accantono (nel secondo cassetto a sinistra: se servisse la troverò lì) quella sottile anglofobia che in passato mi spinse a dichiarare: «uso volentieri solo tre parole inglesi: yankee go home». Spero che Giulia – ma anche Jolek78, per dire – mi vorrà bene lo stesso.
Pingback: “Corpi magici” di Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani, Mimesis / mia recensione su “La Bottega del Barbieri” – Giulia Abbate