Cosa ci insegna il movimento antirazzista negli Usa
di Salvatore Palidda (*)
Da sempre gli Stati-Uniti riproducono fatti economici, sociali, culturali e politici estremi: dopo l’esasperazione della criminalizzazione razzista e dell’incarcerazione di massa ecco ora che il movimento antirazzista arriva a rivendicare forti riduzioni dei finanziamenti della polizia e a immaginare persino la sua abolizione come quella delle carceri; delle rivendicazioni inimmaginabili in Europa eppure praticabili.
Dall’inizio degli anni ’90 negli Stati Uniti e poi anche in Europa e in tutto il mondo si è verificata un’impressionante escalation nell’incarcerazione di massa e nella violenza della polizia. In particolare dopo Reagan, poi Clinton e altri con l’ultimo Bush dopo l’11 settembre 2001 (vedi il famoso lavoro di Jonathan Simon Il governo della paura. Come la guerra al crimine trasforma la democrazia americana e crea la cultura della paura e vedi anche Razzismo democratico).
La guerra sicuritaria interna s’è configurata come il continuum della guerra permanente su scala globale. Come hanno dimostrato alcune ricerche, tutto ciò è la conseguenza del trionfo neoliberista, in particolare di quello che Loïc Wacquant chiama il passaggio dal welfare state al workfare e quindi la cancerizzazione dei poveri. Il governo della sicurezza e dell’incarcerazione di massa è diventato così uno degli aspetti del business della fine del XX e dell’inizio del XXI secolo. Alcuni ricercatori hanno quindi osservato che un po’ ovunque in Europa si è imposta la deriva reazionaria in corso negli Stati Uniti (tra gli altri si veda Razzismo democratico e diversi numeri della rivista Cultures&Conflits). Anche se in Europa il numero di persone arrestate, detenute e vittime di violenza e omicidi per opera delle polizie non ha raggiunto i livelli degli USA, è stato tuttavia calcolato che il rapporto tra il tasso di detenzione degli immigrati e quello dei nazionali è diventato quasi uguale a quello che c’è negli Stati Uniti tra il tasso di neri e ispanici e quello dei bianchi (in particolare in Italia mentre in Francia ciò si nasconde per mancanza di dati sull’origine immigrata della maggioranza dei detenuti, notoriamente magrebini e soprattutto algerini – cfr. Razzismo democratico). Per quanto riguarda gli episodi di razzismo in tutta Europa, s’è vista la loro diffusione, compresi episodi di razzismo poliziesco, anche se in numero molto inferiore rispetto agli Stati Uniti. È soprattutto in Francia che sono emersi più casi di razzismo da parte di agenti delle polizie, nonché una lunga serie di violenze poliziesche, in particolare contro i gilets gialli e anche contro i giovani delle banlieues (vedi diversi articoli su Médiapart.fr). Ed è negli Stati Uniti che è emerso il fenomeno delle bande fasciste “suprematiste”, armate, il cui equivalente in Europa è stato visto un po’ in Grecia ma anche in altri paesi.
Sino all’esplosione del movimento antirazzista in risposta all’assassinio di George Floyd come ennesimo omicidio da parte della polizia, si aveva l’impressione che, nonostante tutto, in Europa la polizia e la violenza dei suprematisti, nonché atti razzisti, islamofobi, fascisti e sessisti siano stati limitati dalla mobilitazione delle associazioni e in generale dei democratici. Ma questa mobilitazione in Europa è sempre stata piuttosto limitata rispetto alla carcerazione esagerata, alla brutalità della polizia e l’eccesso di penalità. In Europa nessuno ha mai immaginato la possibilità di una mobilitazione di massa per ridurre il finanziamento della polizia, i suoi poteri fino al punto di chiedere persino la sua abolizione e quella delle carceri (vedi anche una riduzione radicale della pena e di pene alternative ecc.).
Questo sta accadendo ovunque nelle città degli Stati Uniti. Numerosi articoli pubblicati la scorsa settimana raccontano le riflessioni e i percorsi della mobilitazione in corso. Tra questi segnalo l’intervista da parte di Meagan Day al prof. di sociologia del Brooklyn College, Alex S. Vitale, autore del famoso libro The End of Policing, l’articolo della sociologa Tamara K. Nopper, “La strada percorsa dal movimento a Los Angeles contro la polizia dopo la rivolta del 1992” e l’articolo del filosofo e militante Olúfẹmi O. Táíwò “Power Over the Police” sulla rivista Dissent.
L’aspetto più importante che segnalano questi autori e noti militanti come pure altri è che il movimento antirazzista negli Stati Uniti non è solo un’esplosione di rabbia come reazione all’ennesimo assassinio, cioè quello di George Floyd. Come dice Vitale: “stiamo attraversando un periodo di crisi profonda che va ben al di là dell’operato della polizia; la crisi della pandemia e la depressione economica che arriva (vedi forte aumento dei disoccupati) fanno parte di ciò che è all’origine della rivolta di oggi. C’è convergenza di un insieme di fattori diversi. Una polizia brutale completamente non riformata non è che il catalizzatore che ha scatenato una sorta d’attivismo intergenerazionale che risponde a una crisi più profonda, di cui la polizia è parte emblematica. Ciò che vediamo oggi è il residuo di Occupy Wall Street, del Black Lives Matter e della campagna di Sanders, movimenti uniti dal sentimento che il nostro sistema economico non funziona. Nessuno pensa che Biden riparerà questa situation. La polizia è il volto pubblico dell’incapacità dello Stato di provvedere ai bisogni fondamentali della gente e mostra questo fallimento con soluzioni che non fanno che nuocere ancora di più alla gente.
Il secondo aspetto importante è che il movimento di oggi nasce anche dalla rivolta contro le false riforme, contro tutte le false promesse che le autorità hanno offerto dopo i movimenti del passato sin dai tempi delle lotte per i diritti civili degli anni Sessanta, la rivolta del 1992 a Los Angeles e ancora quelle di cinque anni fa. Da Clinton a Obama solo riforme-bidone mentre la situazione è rimasta la stessa anzi è peggiorata. La polizia ha avuto sempre più finanziamenti pubblici e da privati, s’è militarizzata, è diventata ancora più arrogante, brutale e persino assassina, dispone di mezzi e dispositivi impressionanti e gode sempre più di un’impunità totale grazie anche al peso aumentato dei suoi sindacati.
Ecco allora che oggi c’è un fermento straordinario nell’elaborazione di obiettivi e pratiche da parte di militanti, ricercatori universitari, giornalisti e anche qualche politico che si stacca dall’ambiente malsano dei partiti e delle amministrazioni. C’è soprattutto il percorso concreto che dal basso sta costruendo il nuovo modo di governare i quartieri e persino l’intera città. La forza e anche la concretezza di tale mobilitazione impressionante e senza precedenti si rivela nel fatto che l’amministrazione pubblica locale ha dovuto subito “cambiare registro”. Il sindaco di Washington che neanche un mese prima aveva previsto un aumento del budget della polizia locale di circa 45 milioni di dollari s’è premurato di chiedere a degli artisti di dipingere a caratteri ultra cubitali la scritta «Black Lives Matter» sulla strada vicino alla Casa Bianca dove c’erano stati violente cariche della polizia contro i manifestanti. A Los Angeles, dove il dipartimento di polizia (LAPD) assorbe circa il 53% dei fondi discrezionali della città, si prospetta ora quanto i militanti del People’s Budget (una coalizione promossa dal Black Lives Matter della città) hanno proposto ossia la riduzione a un magro 5,7%. La rivendicazione del definanziamento e ridimensionamento della polizia è ormai fortemente presente in tutte le città. A questa rivendicazione si accompagnano tante altre dettagliate misure che riguardano anche la questione del “potere delle comunità sulla polizia”. A questo fine corrisponde il progetto di instaurare una vera e propria democrazia diretta a partire dal quartiere, circoscrizione sino all’intera città. A New York i candidati alle prossime elezioni sono sollecitati a dichiarare il loro impegno rispetto all’obiettivo di definanziare la polizia e ridimensionarla. E già oltre 40 candidati si sono impegnati a votare la riduzione di un miliardo peraltro condivisa dallo stesso sindaco De Blasio che s’è sempre mostrato più a sinistra del governatore Cuomo (sebbene anche questi mostri più aperture verso il movimento un po’ come tutto il Partito Democratico che però propone solo aggiustamenti marginali). Le rivendicazioni riguardanti la polizia vanno in parallelo con quelle riguardanti il sistema penale e quindi le carceri. La lotta per la depenalizzazione e l’abolizione di leggi fra le quali la famigerata legge voluta da Clinton detta dei “three strikes you’re out law», cioè dei tre “colpi” contro i recidivi (compresi per piccole infrazioni espellendone anche la famiglia anche dagli aiuti sociali ecc.). Nell’economia attuale degli Stati Uniti polizie e carceri costituiscono un settore di straordinario interesse per i gruppi finanziari privati. Ma questo settore s’è gonfiato a dismisura e ha una sua base di massa: centinaia di migliaia sono i poliziotti e i militari e gli impiegati del Pentagono e del ministero della Difesa, oggi il più grosso datore di lavoro degli Stati Uniti. È anche questo che ha distrutto il welfare state statunitense a favore appunto di uno stato poliziesco-militare e del workfare (lavoro obbligatorio in carcere). Ne consegue che la lotta del movimento punta a spostare risorse dalle polizie e dal sistema penale verso le opere sociali.
Le rivendicazioni del movimento USA sembrano inimmaginabili in Italia e in Europa e invece dovrebbero insegnarci a riflettere meglio e osare immaginare un futuro più decente. In Italia le spese per le polizie e per tutto l’universo del militare sono scandalose mentre il paese avrebbe bisogno di bonifiche sanitarie e ambientali che creerebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro. Non solo si viola l’articolo 11 della Costituzione ma anche il principio di tutela della vita della popolazione troppo spesso vittima di malattie dovute a contaminazioni tossiche e condizioni di lavoro e di vita insostenibili. E che ne dire dello scandalo degli sprechi nelle polizie nazionali e locali e ora anche in un’esasperazione di sistemi di videosorveglianza che non servon certo a proteggere la vita umana. Definanziare le polizie e l’universo militare, abolire le missioni militari all’estero, eliminare le basi militari e i siti che peraltro inquinano. Il futuro sta in un governo del territorio che sia sostenibile e pacifico.
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(*) ripreso da www.osservatoriorepressione