CRONACA MINIMA DA UN VENTENNIO: 8 – GIUGNO 1940 (A PROPOSITO DI GUERRA)
Questa rubrica intende proporre una serie di articoli che il Popolo d’Italia ha pubblicato durante il Ventennio. Notizie minori relegate nelle pagine interne, senza commenti perché per tono e per linguaggio sono notizie che si commentano da sé. Un viaggio nella cronaca quotidiana del fascismo.*
a cura di Massimo Lunardelli
09 giugno 1940 – prima pagina
10 giugno 1940 – prima pagina
11 giugno 1940 – prima pagina
Da molti mesi noi attendavamo, con fede assoluta, questo fatidico giorno e le parole pronunciate dal Duce. Ogni lettore del Popolo d’Italia può farci testimonianza che il giornale delle Camicie Nere è stato, ancora una volta, in linea, anzi all’avanguardia.
Oggi ogni italiano sente che la creazione di un nuovo ordine europeo potrà verificarsi soltanto dopo la sconfitta delle vecchie egemonie demoplutocratiche e del loro egoismo esclusivista. Ogni italiano comprende che per l’avvenire dei nostri figli, per la sicurezza del nostro Impero, per la rinascita di una civiltà spirituale contro quella materiale e capitalistica che ci aveva soggiogato, occorre finirla con gli accaparratori di tutte le risorse mondiali.
Certamente il varco non si aprirà per miracolo facile e improvviso, ma solo dopo la piena sconfitta del nemico, perché nella vita nulla è gratuito, tutto deve essere guadagnato attraverso lotte e sacrifici. Ma sono ormai due decenni che il popolo italiano, insieme a quello germanico, sostiene lotte e sacrifici per capovolgere la situazione impostaci a Versaglia. Mai, in questo lungo periodo, gli Stati borghesi che si erano assicurati ogni risorsa della terra e pretendevano monopolizzare perfino le idee e la cultura, fecero il minimo gesto di comprensione e di conciliazione. Ad ogni nostro tentativo la risposta fu un rifiuto.
Dalla Marcia su Roma fino ad oggi Mussolini ha pazientemente suggerito basi eque di reciproca collaborazione. Non fu mai ascoltato, anzi gli risposero con le sanzioni. Ciò non poté impedirgli di dare all’Italia coscienza, potenza e Impero. Fino al settembre scorso, con generosità inaudita, Egli aveva arginato la guerra ai confini del Mediterraneo. Per tutta risposta Francia e Inghilterra applicarono abusivamente i rigori del blocco e respinsero ogni nostra più legittima rivendicazione.
Cosa restava da fare mentre l’alleata Germania mirabilmente lottava contro il comune nemico? La coscienza popolare aveva già risposto: agire, imporre allo straniero il diritto con la forza, combattere.
I superbi saranno debellati. Essi, che non vollero cedere uno, dovranno dare cento.
Forse, alla resa dei conti, la loro stupida albagia apparirà provvidenziale, perché avrà evitato le soluzioni di ripiego e le transizioni instabili, costringendo i popoli giovani ad impostare la partita in termini radicali.
Questa non sarà soltanto una guerra, ma anche e soprattutto una rivoluzione europea: rivoluzione politica, economica, sociale, morale di portata millenaria. Solo piccoli uomini potevano immaginarsi che per sudicio calcolo mercantile l’Italia fascista restasse estranea al conflitto che scuote il mondo e decide il destino dei popoli. L’Italia fascista, che per prima iniziò la riscossa con la guerra d’Africa, contro i sanzionisti e i loro clienti, riprende, come deve, il suo posto nella grandiosa vicenda che precipita.
La viltà delle animucce servili, già sbaragliata nel ’15, è naturalmente fallita nel 1940. Come nessuna forza contraria avrebbe potuto impedire all’Italia di affrontare nel maggio radioso nel ’15 il problema delle province irridente, così nessuna forza avrebbe potuto impedirle oggi di affrontare il più vasto problema del Mediterraneo, questione vitale e urgente, da cui dipende tutto il nostro avvenire.
Se il Mediterraneo non tornasse completamente nostro, come fu di Roma, l’Italia resterebbe subordinata all’arbitrio degli estranei, e tutti i sacrifici delle guerre precedenti, da quella di Libia a quella di Spagna, risulterebbero frustrati per secoli.
Bisognava agire: non ci sono astuzie né soluzioni di ripiego che valgano. Bisognava intervenire e intervenire con maschia coscienza delle difficoltà da vincere. Anche se il nemico ha già subito gravi sconfitte, sarebbe errore immaginarsi di partire per una facile passeggiata. Francia e Inghilterra, impegnate a fondo in un gioco mortale, lotteranno eccitate dal pericolo supremo, puntando su tutte le risorse economiche e militari, che hanno radici in ogni continente.
Perciò la nostra guerra sarà seria in proporzione alla vastità del fine che si propone. Ma è appunto la grandezza dell’impresa che entusiasma le generazioni mussoliniane. Esse sentono che spetta a loro concludere un intero ciclo di gesta, coronare l’edificio eretto dai martiri del Risorgimento, dai garibaldini, dai pionieri d’Africa, dai combattenti della guerra mondiale, dalle Camicie Nere, dai legionari.
Questa che darà all’Italia un definitivo respiro fra i due oceani, sarà la nostra guerra punica, premessa necessaria al consolidamento e alla durata dell’Impero. Dobbiamo affrontarla con animo romano, ciò che porta a reagire virilmente a tutti i colpi del nemico. La causa è giusta e va servita senza isterismi romantici con la certezza che il mondo di domani non sarà il solito paradiso sognato dagli utopisti, ma non sarà nemmeno vassallo delle potenze occidentali, e vedrà rifulgere in pieno la grandezza italiana.
La silenziosa attesa di questi giorni era gravida di vicende decisive. Sentivamo che essa precedeva la guerra. I gerarchi si accingono a dare un esempio che dobbiamo seguire, pronti a tutte le prove collettive e personali, nel nome del Re Imperatore, agli ordini del Duce, con la serenità dei forti. All’esperienza dei reduci delle campagne precedenti si somma lo slancio dei giovani che affrontano per la prima volta la grande prova. Questo complesso formidabile di energie varrà a farci sostenere tutte le vicende del conflitto senza indietreggiare mai e a risolvere l’azione vittoriosamente.
Nella sua luce divina, noi combattenti, squadristi e legionari, vediamo l’Italia dominare, giusta e pacifica come la Roma d’Augusto, tutto il Mediterraneo dove vivono e operano italiani, dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano.
12 giugno 1940 – prima pagina
* Il Popolo d’Italia, il giornale fondato da Mussolini nel novembre 1914, è stato durante il Ventennio la più autorevole voce del Fascismo. Nato agli inizi della Prima guerra mondiale come organo dei socialisti interventisti, ha seguito l’evoluzione politica del suo fondatore.
Un giornale di partito, ma anche di famiglia. Dopo Mussolini, che l’ha diretto fino all’ottobre del 1922, si sono succeduti alla direzione il fratello Arnaldo (novembre 1922-dicembre 1931) e il nipote Vito, figlio di Arnaldo (dicembre 1931-luglio 1943). La sede del Popolo d’Italia è sempre stata a Milano: la prima in un caseggiato fatiscente in via Paolo da Cannobbio, una viuzza dietro piazza Duomo, l’ultima in un lussuoso palazzo in piazza Cavour, edificato negli anni di massimo splendore del regime. Il giornale cessò le pubblicazioni il 26 luglio del ’43, all’indomani dell’arresto di Mussolini deciso dal re. Chiuderlo fu uno dei primi provvedimenti presi dal nuovo capo del governo Pietro Badoglio.