CRONACA MINIMA DA UN VENTENNIO: 9 – LUGLIO 1925 (A PROPOSITO DELLA BATTAGLIA DEL GRANO)
Questa rubrica intende proporre una serie di articoli che il Popolo d’Italia ha pubblicato durante il Ventennio. Notizie minori relegate nelle pagine interne, senza commenti perché per tono e per linguaggio sono notizie che si commentano da sé. Un viaggio nella cronaca quotidiana del fascismo.*
a cura di Massimo Lunardelli
04 luglio 1925 – pag. 2
05 luglio 1925 – prima pagina
31 luglio 1925 – prima pagina
Signori, vi ringrazio del vostro saluto. Vi ringrazio dei propositi che mi avete manifestato con sicura fede. Vi dirò poche parole. Qualcuno di voi opinava che si dovesse ricostituire il Ministero dell’Agricoltura. Ero, sono e sarò contrario. L’agricoltura italiana non ha bisogno di un ministero. Ha forse bisogno di un ministro. Quel ministro sono io. Ha bisogno di mezzi. Li avrà. Mentre altrove si levano le vacue e rimbombanti parole, in grazia alle quali poco mancò che fra la rivolta interna dell’agosto 1917 la Patria non fosse tratta a irreparabile ruina, il Governo Fascista vi offre da quindici giorni e da tre anni le prove concrete e quotidiane della sua ferma volontà di affrontare e risolvere i problemi fondamentali che assillano da decenni o da secoli l’esistenza del popolo italiano. Problemi di libertà, o signori, ma della vera libertà, non di quella metafisica, assoluta, non della libertà liberale, infine, che non mai esistette sulla faccia della Terra né mai esisterà.
La battaglia del grano, o signori, significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane straniero. La battaglia della palude significa liberare la salute di milioni di italiani dalle insidie letali della malaria e della miseria. Il Governo Fascista ha ridato al popolo italiano le essenziali libertà che aveva compromesso o perduto: quella di lavorare, quella di possedere, quella di circolare, quella di onorare pubblicamente Dio, quella di esaltare la vittoria e i sacrifici che ha imposto, quella di avere la coscienza di se stessi e del proprio destino, quella di sentirsi un popolo forte, non già un semplice satellite della cupidigia e demagogia altrui.
Questa è la vera libertà nazionale che il Fascismo ha dato e garantisce al popolo italiano, tutto il resto è falsa letteratura e mistificazione sfrontata di spodestati ed emigrati respinti dalla vita nel limbo dell’impotenza. Voi, agricoltori d’Italia che sapete per la dura esperienza del vostro lavoro come le leggi dell’universo siano inflessibili, voi siete i più indicati ad intendere questo mio discorso. Giunga a tutti i più lontani casolari, a tutti i vostri camerati disseminati nei campi della nostra terra adorabile il mio saluto, e dite loro che se la mia tenace volontà sarà sorretta dalla loro collaborazione, l’agricoltura italiana andrà incontro ad un’epoca di grande splendore.
* Il Popolo d’Italia, il giornale fondato da Mussolini nel novembre 1914, è stato durante il Ventennio la più autorevole voce del Fascismo. Nato agli inizi della Prima guerra mondiale come organo dei socialisti interventisti, ha seguito l’evoluzione politica del suo fondatore.
Un giornale di partito, ma anche di famiglia. Dopo Mussolini, che l’ha diretto fino all’ottobre del 1922, si sono succeduti alla direzione il fratello Arnaldo (novembre 1922-dicembre 1931) e il nipote Vito, figlio di Arnaldo (dicembre 1931-luglio 1943). La sede del Popolo d’Italia è sempre stata a Milano: la prima in un caseggiato fatiscente in via Paolo da Cannobbio, una viuzza dietro piazza Duomo, l’ultima in un lussuoso palazzo in piazza Cavour, edificato negli anni di massimo splendore del regime. Il giornale cessò le pubblicazioni il 26 luglio del ’43, all’indomani dell’arresto di Mussolini deciso dal re. Chiuderlo fu uno dei primi provvedimenti presi dal nuovo capo del governo Pietro Badoglio.