Cuba: Al cinco por los cincos
di Maria Teresa Messidoro
Ramon, Renè, Gerardo, Fernando e Antonio: questi nomi forse non ci dicono niente, in realtà sono “famosi” in tutto il mondo, di loro si sono occupati i media e per loro si sono costituiti, in più di centotrenta Paesi, comitati di solidarietà.
Sono “Los cincos” cubani, da quattordici anni nelle prigioni degli Stati Uniti, condannati alcuni di loro a due ergastoli e spiccioli di anni, altri a più di trent’anni di carcere, pene durissime, da alcuni anni ridotte, ma pur sempre pesanti: uno solo di loro, Renè Gonzales, ha ottenuto la libertà vigilata, da scontare però a Miami, là dove pubblicamente si incita al suo assassinio.
Qualunque sia l’opinione sul regime cubano e sulle problematicità di Cuba, la vicenda dei Cincos è un insulto alla democrazia e al rispetto della dignità umana: inviati in Florida dal governo cubano per sventare attacchi terroristici programmati dalla mafia anticastrista di Miami, vennero arrestati nel settembre 1998, come ritorsione sulle fonti di tali informazioni, emerse in un incontro bilaterale avvenuto a Cuba tra il governo di Fidel e l’FBI, appena alcuni mesi prima. Nel corso del processo, trasformatosi in un vero caso politico più che giudiziario, non potendo sostenere l’accusa di spionaggio, si è portata avanti quella di “cospirazione a commettere spionaggio”, arrivando a mantenere i 5 in condizioni d’isolamento per diciassette mesi, quando la legge nordamericana prevede un limite massimo di sei mesi. Non solo: durante l’isolamento, alcuni di loro hanno vissuto in una scatola metallica di circa 1 metro quadro, contenuta in un’altra cella, definita “il buco” (“el hoyo”) con soltanto un letto a disposizione, la luce per ventiquattro ore al giorno, i pasti serviti a orari variati per non ubicarsi nel tempo. Finora, i loro parenti hanno potuto visitarli richiedendo un visto, concesso dagli Stati Uniti soltanto per lo stato in cui si trova prigioniero il familiare arrestato – da molti anni sono imprigionati in istituti di pena diversi in Stati differenti: nel giorni di permesso non è consentito incontrare la stampa né i comitati di solidarietà sorti ovunque per denunciare tale vicenda, e se le condizioni atmosferiche proibitive o rivolte nelle carceri ne impongono la chiusura, si perdono i giorni di visita, senza poterli recuperare. La figlia di Ramon Labanino, a esempio, aveva tredici anni quando suo padre fu arrestato: convinta che suo padre fosse in Spagna per attività economiche a favore del governo cubano, quando ricevette la notizia, ebbe bisogno di una consulenza psicologica per superare lo shock. Ora, laureata in informatica, impiegata presso una ditta a La Habana, viaggia per il mondo per denunciare il crimine commesso contro suo padre, contro tutti los Cincos, in sfregio delle elementari nozioni di diritto. Viaggi che la stancano, la destabilizzano forse, ma tutte le volte in cui, durante svariati incontri pubblici legge negli occhi degli ascoltatori la solidarietà, ricaccia le lacrime e capisce di non dovere né potere arrendersi: il cinque di ogni mese, alla Casa Bianca arrivano da tutto il mondo telegrammi, fax, messaggi di posta elettronica in solidarietà con Los Cincos, perché possano finalmente tornare a casa, a Cuba, ponendo fine a questa enorme ingiustizia.
Non si può perdere la speranza, soprattutto quando si ascolta la risposta di Ramon alla domanda “Cosa pensi del futuro ?”: “ il futuro è bello. Penso a una nostra patria ogni volta più libera, più socialista, più umana. …. Il futuro dell’umanità sarà molto più tranquillo e umano. Sogno un mondo dove non esista il capitalismo, dove l’uomo è amico dell’uomo, senza frontiere, senza denaro, senza avarizie imperialiste, senza egoismi,….Sembra un’utopia ma non lo è….. Per questo lottiamo giorno dopo giorno con tutto il nostro coraggio.”