Cultural washing delle aziende petrolifere: il caso Sicilia

di Andrea Turco (*)

Eni, Erg, Esso e altre major dell’energia finanziano mostre, sagre, festival, rassegne per mascherare il devastante impatto ambientale che hanno sui territori e conquistare la benevolenza degli amministratori locali. Il caso siciliano

«Mi piacciono le città industriali, depresse. Hanno onore e onestà. Sono reali». A gennaio del 2004, un po’ a sorpresa, allo stabilimento petrolchimico di Gela arriva Paco Ignacio Taibo II. Che risponde così a chi gli chiede che ne pensa della cittadina siciliana che era stata scelta da Enrico Mattei in persona come simbolo del riscatto del Sud. Il grande scrittore messicano tiene un ardente reading alla mensa degli operai. I quali però in gran parte si concentrano sul pasto. «Sono delle bestie, noi gli portiamo la cultura e questi pensano a mangiare» dice un dirigente dell’Eni al mio fianco.

Da figlio di un operaio metalmeccanico di quello stesso stabilimento, quel commento sprezzante mi diverte ancora oggi. Da quel giorno ho preso l’abitudine di segnare tutti i finanziamenti del cane a sei zampe verso attività culturali, artistiche, sociali e sportive. In 16 anni Eni, da sola o in partner con altri enti, a Gela ha supportato di tutto. Degli innumerevoli casi se ne citeranno alcuni significativi: 10mila euro nel 2019 al liceo classico Eschilo per la gara di greco Agòn (finanziato sin dal primo anno), 130mila euro nel 2016 per la mostra temporanea di una nave greca al museo archeologico di Gela (che in realtà è stata visibile per poco più di un mese e poi è tornata negli scatoloni), centinaia di IPad e rete wi-fi nelle aule dell’istituto professionale Majorana. Il caso più emblematico però è un altro: a settembre 2013, una settimana dopo uno sversamento di petrolio in mare nel tratto della linea P2 lungo il pontile della raffineria, viene inaugurato il nuovo campo di calcio. Il costo totale del restyling, pagato interamente da Eni, è di 400mila euro. I politici locali si accontentano di un triangolare coi dirigenti a sei zampe e una selezione di vecchie glorie del calcio gelese. Dello sversamento in quell’occasione non parla nessuno. «Così saremo meno antipatici» è l’unico commento che l’allora amministratore delegato della raffineria Bernardo Casa (poi rinviato a giudizio per disastro ambientale) rilascia ai giornalisti presenti. Il campo, manco a dirlo, viene intitolato a Mattei – al quale sono già dedicati l’auditorium dell’istituto industriale Morselli, una scuola media e una succursale in via Picasso, un viale, un busto al centro del quartiere Macchitella, un murales all’esterno dello stadio che rappresenta la storia millenaria della città e nel quale il pezzo centrale è dedicato proprio al fondatore dell’Eni.

«Che tristezza», commenta sconsolato Emilio Giudice, direttore della riserva naturale del Biviere che sorge a pochi passi di distanza dall’ex stabilimento petrolchimico. «Io che ho sempre rifiutato i fondi delle aziende petrolifere, impedendogli così di rifarsi l’immagine,  allora ho sbagliato tutto» aggiunge Giudice, che presiede la riserva per conto della Lipu e da anni partecipa ai tavoli nazionali sulle bonifiche – il territorio della piana di Gela è stato dichiarato Sito di Interesse Nazionale nel 1998. «C’è di peggio. All’interno della riserva esiste un lago, molto importante, che rischia di prosciugarsi perché l’acqua alla fonte ce l’ha Eni, attraverso la gestione della diga Ragoleto. Acqua che tra l’altro non è stata mai affidata neanche al consorzio di bonifica. Quindi alla fine ci si accontenta di briciole, mentre i veri torti restano». Ma a Gela non c’è solo Eni, e non c’è solo la riserva del Biviere. Sulla piana lungo la statale esiste la colonia di cicogna bianca più grande d’Italia, nota perché da tempo ha scelto di nidificare sui tralicci della rete elettrica. La colonia tuttavia è a rischio folgorazione, come certificato da uno studio scientifico, perché Enel non ha ancora messo in sicurezza le strutture. Poi però, nella vicina riserva naturale di Priolo, Enel ed Eni e Lukoil finanziano un progetto di ricostruzione dopo il devastante incendio della scorsa estate. Anche l’oasi naturalistica di Priolo sorge accanto a uno stabilimento industriale, cioè il polo petrolchimico più grande d’Europa che costeggia la costa orientale della Sicilia da Augusta a Siracusa, ed è gestita anch’essa dalla Lipu. Che però in questo caso i doni interessati li accetta eccome. Attenzione, la compensazione ai territori da parte delle grandi industrie è dovuta. Ci vuole però non solo una determinata progettualità ma anche una decisa rivendicazione: ci prendiamo ciò che ci spetta, non quello che ci regalate.

Mentre in Sicilia le multinazionali sono state viste dalla classe politica, dal mondo culturale e del terzo settore unicamente come un bancomat al quale attingere per farsi finanziare microscopici progetti. Spesso con poca attinenza col territorio. Con l’unico risultato di fare da spalla a chi continua a soggiogare intere popolazioni con la propria potenza economica. L’insopportabile dicotomia salute-lavoro si spezza (anche) mostrando e dimostrando che su natura e cultura la Sicilia può farcela da sola. «Si tratta anche di una questione meridionale – converge ancora Giudice – Se sull’Isola le grandi industrie hanno una marcia, in Veneto e in Lombardia ne hanno un’altra. Sugli aspetti ecologici investono molto di più al Nord, nonostante i veri disastri ambientali siano tutti al Sud». 

L’isolamento del direttore della riserva del Biviere a Gela fa il paio con quella dei fratelli Di Modica ad Augusta. Più di vent’anni fa hanno fondato Area Teatro, una compagnia teatrale indipendente, e recentemente hanno realizzato una raccolta fondi per tornare a far girare in tutta Italia uno dei primi spettacoli sul G8 di Genova. Dopo l’articolo sul greenwashing di Eni, pubblicato sempre su Jacobin Italia, sono stato contattato direttamente da Alessio che mi ha proposto di analizzare il «cultural washing», una definizione che ho trovato particolarmente azzeccata. 

«Ci troviamo un po’ alieni e un po’ anomali – racconta Ivano Di Modica –, non solo per il territorio ma proprio per l’approccio. Dopo il Covid la situazione peggiorerà. Le fondazioni e le multinazionali avranno sempre più potere. Ne abbiamo visto un assaggio al teatro greco di Siracusa, che dopo il lockdown ha da poco organizzato una nuova stagione, rinunciando alle classiche e celebri tragedie greche e affidandosi invece a una serie di monologhi, da parte di attori come Luigi Lo Cascio, e con una platea ridotta. Main partner dell’evento la compagnia petrolifera Erg». Nel polo industriale siracusano l’influenza diretta delle grandi industrie è ancora molto netta, soprattutto dovuta al fatto che col passaggio di tre raffinerie dalle italiane Erg ed Esso alle straniere Sonatrach e Lukoil anche i nuovi arrivati cercano di catturare le simpatie della popolazione. Così l’algerina Sonatrach da una parte regala al Comune di Augusta un pullman per disabili (perché quello Esso era guasto), dall’altra finanzia il cinema in piazza, la sagra di tradizioni popolari «Pititti, pittiteddi» a Melilli, le pubblicazioni locali sulla storia patria e altro ancora. «Le industrie non stanno lasciando più un metro libero, hanno occupato tutti gli spazi – afferma ancora Di Modica – Prima bisognava fare la fila e avere i giusti agganci per ottenere i contributi, ora che invece le aziende dell’energia hanno gli occhi puntati addosso per via della rinnovata sensibilità ambientale sono esse stesse a cercare interlocutori. Questo avviene chiaramente anche a livello nazionale, basti vedere il teatro della cooperativa (a detta di tutti gli operatori il teatro più riconosciuto a livello di impegno civile) che ha Eni come main partner della stagione teatrale e dei laboratori per ragazzi». 

Un capitolo a parte poi lo meriterebbe il ruolo delle fondazioni che aziende come Eni ed Erg sfruttano da tempo per promuovere sé stesse come buone e attente ai fermenti che provengono dal territorio. Intanto, rimanendo ai contributi diretti da parte delle major energetiche, anche a Milazzo – il vertice  a Nord del triangolo industriale isolano – le cose non vanno meglio. Nel 2016 la rassegna di cinema e teatro della legalità «Se si insegnasse la bellezza» – una citazione erroneamente attribuita a Peppino Impastato – aveva tra i finanziatori la raffineria di Milazzo (al 50% di Eni e al 50% di Kuwait), mentre ciò non avveniva nell’edizione del 2020, prima che venisse sospesa in seguito al recente lockdown. Gli eventi promossi dalla raffineria di Milazzo vanno dai tornei di basket ai festival jazz fino agli scambi culturali promossi da un’associazione studentesca che si definisce «apolitica» ma che intende «promuovere l’Europa agli europei» (e questa non è politica?). Il 27 luglio intanto lo stabilimento industriale messinese ha vinto una battaglia certamente politica, con il Tar che ha accolto molte obiezioni presentate dalla raffineria di Milazzo e ha bocciato il Piano di Tutela di Qualità dell’Aria, promosso dalla Regione due anni fa e che nelle intenzioni avrebbe dovuto limitare le emissioni degli impianti industriali e costringerle ad adottare le migliori tecnologie disponibili.

«Le raffinerie vincono, al momento, su tutta la linea – è il commento a caldo dei comitati locali che si battono per la difesa del territorio – Dopo la sentenza, non sono obbligate a investire un euro in più nel rinnovamento degli impianti. Ovvero, nessun posto di lavoro nuovo verrà creato, nessuno di quelli esistenti è più sicuro […] Un solco sempre più grande si scava tra territorio e fabbrica, e quando manager e azionisti decideranno di andare, senza preavviso come fatto a Gela, saranno in molti a girarsi dall’altro lato, forse sollevati da una presenza che per decenni ha annerito la loro quotidianità». Un interessante spunto di riflessione per chi vorrà farsi finanziare in futuro sagre, feste, libri, concorsi, rassegne. Avviene anche con A2A, che a San Filippo del Mela gestisce una centrale termoelettrica in attesa di riconversione, e che qui ha sponsorizzato concerti, come quello della Dark Polo Gang a Milazzo lo scorso agosto, l’immancabile festa patronale di san Martino e l’ecoforum di Legambiente «Sicilia munnizza free», per liberare l’Isola dai rifiuti. Strana idea quella di liberarsi affidandosi a chi ti tiene in scacco. 

(*) Andrea Turco, giornalista siciliano, scrive di ambiente e temi sociali. Questo articolo è ripreso da jacobinitalia.it dove vale segnalare anche jacobinitalia.it/eni-il-greenwashing-e-servito ma anche jacobinitalia.it/linquinamento-non-ha-prezzo/

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