Stiamo con gli oppressi
Disegno di Dario Fo del 2009 per i bambini di Gaza
di Antonio Cipriani (ripreso da remocontro.it)
«All’interno di sistemi di potere e di relazione complessi e mutevoli, ci mettiamo dalla parte della mentalità colonizzatrice? Oppure perseveriamo nella resistenza politica a fianco degli oppressi, pronti a offrire il nostro modo di vedere, teorizzare, far cultura, in favore di quella tensione rivoluzionaria che cerca di creare spazi in cui l’accesso al piacere e al potere della conoscenza sia illimitato, in cui la trasformazione sia possibile? Questa scelta è cruciale. Definisce e forma la nostra risposta alle pratiche culturali correnti e la nostra capacità di immaginare atti estetici di opposizione nuovi e alternativi. Caratterizza il nostro modo di parlare di questi temi, il linguaggio che scegliamo. Il linguaggio è anche un luogo di lotta».
Queste le parole di ‘bell hooks’, pseudonimo di Gloria Jean Watkins, che è stata una teorica e scrittrice femminista afroamericana. Valgono in questo momento storico assurdo per capire da che parte stare: con la guerra o contro la guerra, con gli oppressori o con gli oppressi, con chi ammazza donne, uomini e bambini o con le donne, gli uomini e i bambini che vengono trucidati. Con chi costruisce cattedrali spettacolari di indifferenza mediatica o con chi fa del pensiero un’azione e si sottrae.
Con chi muore inerme durante una sceneggiata bellica o con chi festeggia l’uccisione mettendosi in posa davanti a una scuola fatta esplodere, con lo sfondo di un paese raso al suolo, col sorriso sulle macerie di un ospedale, facendo vedere nei selfie che bravi soldati sono stati. Con chi soffre o con chi fa soffrire. Con chi scappa atterrito o con chi spara a sangue freddo. Con chi testimonia l’orrore come giornalista o con chi non vuole testimoni e i giornalisti li ammazza per principio.
Fuori il vento forte agita le fronde degli alberi. Il mondo vecchio sta finendo davanti ai nostri occhi. E noi perseveriamo nella resistenza politica a fianco degli oppressi. Sapendo che questa è l’unica parte. Agendo per far sentire la nostra voce e l’azione, «pronti a offrire il nostro modo di vedere, teorizzare, far cultura, in favore di quella tensione rivoluzionaria che cerca di creare spazi in cui l’accesso al piacere e al potere della conoscenza sia illimitato».