Gianluca Ricciato: il maschile tra natura, cultura e altre invenzioni
Maschile naturale
Uno dei tanti modi che ha trovato la cultura maschile per affermarsi è stato quello della naturalità/neutralità. È normale/naturale che un uomo sia fisicamente più forte di una donna, che debba dimostrarlo, che debba proteggerla. Usare il maschile grammaticale è un modo neutrale per definire il genere umano. È normale/naturale che l’uomo debba dominare la natura per asservirla ai propri interessi.
Molta filosofia femminista e non solo ha evidenziato in questo senso quanto l’approccio scientifico moderno antropocentrico sia in realtà innanzitutto un approccio androcentrico.1 In questo contesto lo stesso concetto di amore diventa indice di dominazione/possesso, l’affettività, la relazione, anche la sessualità prendono questa forma: il (soggetto) dominatore e il dominato, il penetrante e il penetrato, il pieno e il vuoto, l’attivo e il passivo, la forza e la debolezza.
Dal Questionario Smaschierati anche tu2:
DOMANDA 16: Pensi che il desiderio maschile sia diverso da quello femminile? In cosa?
RISPOSTA: Il maschile cerca nell’orgasmo la sua gloriosa morte, il femminile la nascita di una nuova vita
In questa risposta data da una tra i/le compilatrici, e nell’indubbia suggestione metaforica che utilizza, si racchiudono una serie di stereotipi della costruzione patriarcale della sessualità che richiamano ad una serie di campi semantici ricorrenti: l’orgasmo maschile come prestazione destinata ad un obbiettivo, “freccia scagliata”, “fucile che esplode” e non a caso tante altre metafore prese dalla semantica della guerra; il maschile come “pieno che si svuota”, il femminile al contrario “vuoto che si riempie” di nuova vita (data ovviamente dallo sperma accolto) la cui sessualità è qui per definizione, e quindi non per scelta, destinata alla procreazione.
Questa presunta “naturalità” ovviamente nasconde un discorso storico e culturale, una costruzione sociale legata a determinate vicende dell’evoluzione umana. Nasconde il fatto che questo discorso sia costruito dal sesso maschile, anzi da un certo genere di sesso maschile…
Non ci sono parole fuori dal maschile
Il problema della parola attraverso cui nominarsi all’interno di un linguaggio colonizzato dal patriarcato ha distinto sia i processi e le lotte di autodeterminazione e liberazione delle donne, sia ogni forma di sessualità, affettività e relazione eccentrica rispetto ad esso.
La presunta neutralità del genere maschile, così come la presunta naturalità del maschile come sesso dominante/dominatore stabiliscono in questo modo una serie di identità dicotomiche all’interno delle quali sembra necessario muoversi e identificarsi per opposizione3: dominante/dominato, normale/diverso, eterosessuale/omosessuale, maschile/femminile. Questo modo di pensare, inevitabilmente discriminante e costringente per le differenze reali di sesso e di genere e le loro possibili articolazioni, è probabilmente collegato anche a dicotomie diverse per settori ma molto simili come struttura concettuale: bianco/nero, naturale/artificiale, integrato/borderline, cattolico/mussulmano (per prendere quelle che vanno o sono tornate di moda oggi).
C’è una struttura binaria fondata sulla logica dell’opposizione, dell’alterità intesa come diversità/distinzione a cui reagire. Non è un caso che la metafora della guerra tra i sessi sia una tra le più imperiture del nostro immaginario concettuale, per significare l’aperta ostilità tra il maschile e il femminile.4
Grazie alle lotte femministe e LGBTQ negli ultimi decenni sono emerse alla visibilità (dal sottobosco delle streghe e delle perversioni) molte forme di esistenza, di pratiche, di linguaggi e di teorizzazioni che si smarcavano dal genere maschile. Ad un genere maschile che ovviamente è per definizione sempre eterosessuale.
Ma il rischio è proprio che l’opposizione al maschile dominante sia finita per essere un altro segno della guerra tra i sessi, dei modelli mentali che non riescono a smarcarsi dall’opposizione normale/diverso, naturale/costruito-artificiale-culturalmente determinato.
In questo modo ad esempio molte soggettività nate come eccentriche finiscono per alimentare modelli di conformità funzionali al modello capitalista produzione/consumo (il gay-fashon, la donna-manager).
È necessario – e a questo punto si situa secondo me il lavoro del Laboratorio Smaschieramenti di Bologna – trovare uno sguardo eccentrico che attraversi i sessi e i generi, che vada oltre cioè alla rivendicazione di identità di genere, che riesca ad includere nel cambiamento anche quelle forme di identità – ad esempio maschile, ad esempio eterosessuale – che non hanno vissuto percorsi di rivendicazione, e probabilmente nemmeno di liberazione se non in forme soggettive e ridotte al silenzio sociale.
In questa ridefinizione decostruttiva diventa quindi centrale uno sguardo sul maschile, sulla costruzione della sua identità, sul funzionamento del suo desiderio e di come tutto questo si leghi al discorso delle violenze di genere. Ma il primo scoglio su cui si scontra questa ricerca è l’estrema difficoltà di trovare parole per nominare il maschile che non siano interne al patriarcato e all’eteronormatività dominante.
“E’ una religione omertosa il maschile – scrive Massimo Greco – a cui ci hanno educati sin da piccoli, che rimanda ad una meta astratta e non verificabile: essere un Vero Uomo. Essa protegge rendendole sacre le vulnerabilità maschili, è l’oppio che opprime e impoverisce il popolo maschile, il valore in forza del quale vengono fatte alcune moderne crociate. Il maschile tradizionale, come religione, come spazio confinato, come identità, richiede di essere difeso con la violenza.”5
Gli uomini, specialmente da giovani, nelle fasi delicate della loro esistenza come l’adolescenza, spesso non hanno parole per dirsi al di fuori della violenza. C’è una difficoltà storica della relazione tra maschi, dell’affidamento vero, quello che rivela la debolezza, la parzialità – una parzialità inaccettabile per il genere linguistico dominante, neutro, assoluto. Ma è una difficoltà pratica delle persone reali che non hanno ricevuto strumenti culturali, né forme di relazione, né attitudini di sensibilità con cui saper praticare esistenze liberate dai modelli della dominazione e della violenza. O meglio li hanno ricevuti all’interno di un limbo linguistico staccato dal contesto reale, il limbo della cultura astratta, dell’educazione formale, in cui i corpi e l’emotività cessano di parlare perché non hanno strumenti simbolici a disposizione per significarsi.
Accanto alla violenza si impara la messa in scena della normalità e il rispetto del patto sociale che funziona in quanto prevede le sue rotture costitutive, il “corpo selvaggio che il regime di civiltà si va costruendo accanto”6.
Non è un discorso quindi che riguarda solo gli uomini che agiscono la violenza, né possono considerarsi escluse le altre soggettività – donne, gay, trans, etc – dalle complicità con la violenza, anche quelle inconsce dell’interiorizzazione dei modelli – primo tra tutti il modello del dominato, funzionale al dominatore secondo una direttrice che porta alla storica dialettica hegeliano-marxiana del servo e del padrone, fondante della struttura socio-economica moderna (l’ordine sociale) non meno di quella socio-culturale (l’ordine simbolico).
Si diventa probabilmente attraverso queste strade maschi eterosessuali, attraverso il non avere altri modelli di avvicinamento all’altro sesso, ad esempio, o in generale di sessualità, o di relazione con il proprio sesso, che non siano segnati dalla competizione e dall’ansia di prestazione. Ci si stupisce poi delle eiaculazioni precoci, delle difficoltà di erezione, della misconoscenza reciproca del funzionamento del desiderio dell’altro e dell’altra da sé?
C’è una costruzione dell’identità che incatena ad una serie di modelli che si rivelano rassicuranti in quanto sotto il conforto di una tradizione culturale, ma allo stesso tempo che assumono sempre di più la forma di gabbie, specie nel momento in cui si manifestano le soggettività eccentriche. Ma si sta veramente bene in queste gabbie? Si sta veramente bene a non poter rivelare la propria fragilità, a non poter dimostrare affetto per paura dello stigma dell’omosessualità, a non poter dare cittadinanza alle proprie forme di desiderio che eludono la dominazione – ad esempio il desiderio anale, liberato anche dall’inversione dei ruoli che talvolta finisce per legittimare la dicotomia della dominazione sotto il segno di un “di più” di perversione.7
Si sta bene a non poter oltrepassare una serie di tabù fisici, morali, emotivi che determinano così in negativo la costruzione della propria sessualità nell’uomo etero?
Sulla costruzione dell’identità di genere e sugli stereotipi si sono avviate molte campagne educative rivolte agli adolescenti. Una di queste, la White Ribbon Campaign, descrive gli stereotipi di genere maschili e femminili – il “vero uomo” e la “vera donna” – come scatole incomunicanti e rigide, prodotti culturali che a loro volta determinano la violenza di genere.8
“Gli uomini non sono violenti per natura – sostiene Michael Kaufmann, ideatore della White Ribbon Campaign – Ci sono state società dove la violenza non esisteva o le sue manifestazioni erano minime. Studi effettuati nel secolo scorso, hanno dimostrato che nella maggior parte delle società tribali prese in esame la violenza sulle donne, sui bambini o tra gli uomini non esisteva o era presente in misura minima. Inoltre, anche oggi, in molti paesi la maggior parte degli uomini non ricorre all’uso della violenza fisica o sessuale.”9
Dal Questionario Smaschierati anche tu10:
DOMANDA 10: Descrivi con una frase cos’è per te un vero uomo e una vera donna
RISPOSTE (estratte tra le tante):
VERO UOMO
Dominante
Onore
Gloria
Forza
“Usa il cazzo con le donne”
Me
Cavaliere
Geloso
“Attratto dall’altro sesso”
VERA DONNA
Docile
Sottomessa
Bella
Brava
Buona
Zoccola
Pulita
Delicata
Lunatica
Materna
Comprensiva
Nella domanda 10, così come nella 16, emergono – al di là degli stereotipi più ovvi – alcune dinamiche che portano a definire i rapporti d’affetto e di sesso tra gli esseri umani. Se la sessualità maschile è non solo “dominante”, ma anche fisica, reale, piena, istintiva, quella femminile si rivela più eterea e “lunatica”, più mentale, legata agli stati d’animo, più controllata. Più vuota, sostanzialmente – non a caso rientra nella costruzione concettuale la sua funzionalità alla riproduzione.
Se è invisibile anche ai compagni
La decostruzione della dicotomia pubblico/privato – altra storica opposizione funzionale, forse la madre di tutte le dicotomie sociali – praticata dal femminismo e dai movimenti omosessuali e lesbici degli anni ’70, nonostante gli indiscutibili contributi, non ha e non poteva distruggere un assetto culturale secolare, se non millenario. In ogni caso ha aperto crepe profonde nel patriarcato, che ne cambiano anche la sua fisionomia e la cui reazione, nei nostri anni specialmente, è connotata da un lato dall’acredine del revanchismo religioso e fascista, dall’altro dallo sfruttamento delle risorse mediatiche della riproduzione e della rappresentazione che sussumono le esperienze e i loro significati (penso in particolare alla libertà sessuale) neutralizzandoli e svuotandoli di senso.11
I movimenti maschili, come tutti i gruppi che oggi si ritrovano intorno a Maschile Plurale12 e che da circa vent’anni hanno assunto queste problematiche cercando nuove forme di mascolinità sono sicuramente un passaggio fondamentale all’interno di queste crepe, passaggio figlio dei movimenti degli anni ’70. Aver mutuato alcune pratiche di riflessione e di autocoscienza dal femminismo, se da un lato è stato un ancorarsi mimeticamente ad una pratica consolidata, dall’altra è ancora più necessario per sviluppare le differenze di percorso che un movimento maschile può attuare rispetto ad uno femminile. La stessa decostruzione dell’identità di genere maschile è stata fin da subito la posta in gioco interna a questo percorso, in modo molto diverso rispetto alla pratica femminista che spesso si giocava sul filo della rivendicazione identitaria di una “parte oppressa” – e che in alcuni casi ha finito per ricadere nella rivendicazione identitaria, dimenticando a mio parere molti dei reali significati originari della messa in discussione dei ruoli identitari nel percorso femminista.
Ma probabilmente occorre mettere in discussione un intero sistema cognitivo, fatto di modelli mentali strutturati dall’incapacità di aprirsi alle differenze, di accogliere e accogliersi, di pensare ad un’identità fluida che non si fondi sull’opposizione al nemico o alla nemica, identità plurali che attraversino le alterità e formino nuove convergenze, all’interno della collettività come all’interno dei soggetti stessi.
La resistenza a tutto questo è nota ed è indicativo come spesso la rigidità del maschile non sia scalfita nemmeno nelle situazioni più radicalmente critiche ai sistemi dominanti, ad esempio i centri sociali – nei centri sociali bolognesi si è svolta l’indagine del Laboratorio Smaschieramenti13 di cui ho riportato alcuni risultati in queste pagine (un’indagine dall’interno visto che anche Smaschieramenti è nato all’interno di un centro sociale).
C’è una riproposizione e una complicità rispetto a questi modelli, che emergono in varie forme, arrivando perfino a tollerare episodi intollerabili – come il caso di una violenza ad una ragazza avvenuta durante la manifestazione milanese Mayday 2009 e da cui è nata una lunga discussione tutt’ora in corso e che coinvolge molti movimenti e collettivi italiani.
Smaschieramenti è nato nel 2008 in uno spazio occupato bolognese pervaso da identità di genere multiple, e che ha riconosciuto nel proprio lavoro sul desiderio (del) maschile la possibilità di interrogare in modo positivo e fruttuoso questi spazi. Il lavoro del questionario, più che raggiungere obbiettivi statistici, è stato importante come apertura del discorso all’interno delle realtà di movimento giovanili. Le resistenze individuali sono emerse, ma forse più preoccupanti sono state le resistenze collettive e politiche, l’ansia di vedere messe in discussione altre istanze pretese più importanti o viste in modo staccato da questo tipo di approccio, ritenuto marginale. Noi lo consideriamo una forma di riduzione al silenzio di un problema invece costitutivo, forse per paure ataviche o peggio ancora per una non volontà di modificare realmente gli assetti sociali.
Sia nel caso delle pubblicazioni dello scrittore Aldo Nove14 sul filosofo Luciano Parinetto, che ha studiato i legami tra la dimensione economica dell’accumulazione capitalista e i tabù maschili interiorizzati (punto di vista “marxista eterodosso”, è stato definito), sia in occasione delle pubblicazioni dell’inserto Smaschieramenti durante l’estate 2008 sempre su Liberazione, le voci dell’ortodossia politica maschile, come sempre sono tornate a urlare forti anche nel contesto della cosiddetta “estrema sinistra”.
1 “I lavori di Evelyn Fox Keller, Carolyn Merchant, Sandra Harding, Londa Schiebinger sono maturati entro il contesto della cultura occidentale, mettendone però radicalmente in discussione uno dei pilastri fondanti: il carattere neutro, oggettivo ed universale della conoscenza scientifica così come è andata costituendosi in epoca moderna, con il suo risvolto di volontà di dominio tecnico e poi tecnologico sulla natura. In sede storica ed epistemologica, scavare nel nesso tra la parzialità di genere nel segno del maschile e la pretesa univocità di quella forma di conoscenza/intervento è stata l’espressione di una soggettività politica più ampia, che non soltanto non si riconosceva nei rapporti invalsi tra donne e uomini, ma che a partire dalle istanze di liberazione in quanto donne aspirava a contribuire al cambiamento degli assetti generali del mondo.” Scienza e modelli di sviluppo, di Elisabetta Donini, http://www.universitadelledonne.it/donini.htm. Cfr anche Fritjof Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli, pp 37-49, Nicoletta Poidimani, L’utopia nel corpo. Oltre le gabbie identitarie molteplicità in divenire, Mimesis, pp. 39-41, Carolyn Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e Rivoluzione scientifica. Dalla Natura come organismo alla Natura come macchina, Garzanti
2 Laboratorio Smaschieramenti, Smaschierati anche tu. Questionario sul desiderio (del) maschile,
http://smaschieramenti.noblogs.org/gallery/5383/SMASCHIERAMENTI_QUESTIONARIO_09072008.pdf
3 “Tuttavia – si dice – il pensiero non potrebbe funzionare se non pensasse l’identità e, in base a questa, la somiglianza, la differenza, etc. Probabilmente questo è vero, ma è vero soprattutto per il pensiero teorico e con la precisazione che molte prestazioni oggi affidate comunemente al pensiero teorico, potrebbero essere assolte altrimenti. Per esempio, la differenza si conosce anche nel movimento da cosa a cosa, senza passare per l’identità e l’equivalenza. Vero è che nella nostra cultura questo modo di pensare, benché sia alquanto diffuso, non gode di prestigio ed è stato lasciato agli usi più triviali”, Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico dell’inimicizia tra metafora e metonimia, Luisa Muraro, Manifestolibri, p. 61
4 “Tu sei la nemica della casa, la nemica dei figli, la nemica mia”, Natale in casa Cupiello, Eduardo de Filippo
5 Siamo tutti eterocliti, di Massimo Greco – Gruppo Maschile Plurale Roma, Liberazione, 15-8-2008, p. 12, Inserto “ Smaschieramenti”, rinvenibile qui:
http://www.maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=237&Itemid=5
6 Maglia o uncinetto, cit., pag. 92. “Potrei metterci anche l’incessante opera di distruzione cui i miei alunni del ‘Cul-de-sac’ sottoponevano l’edificio e la suppellettile della scuola senza sapersene dare ragione, distruggevano e deprecavano la distruzione con la stessa monotonia. Produzione insensata, separata dalla loro produzione simbolica che […] era nettamente conformista. […] in mezzo a quei miei sforzi per dissociare il verde dalla parola prato e cose del genere, e nella stessa misura in cui ciò mi riusciva, avvertivo un vago disagio, come l’impressione che così facendo uccidevo un’anima, una stereotipata anima arcaica che era per loro la figura della cultura, caduta la quale altre non ne sorgevano a impedire che venissero in triste risalto i muri della nostra aula e i casoni del loro quartiere, ben visibili dalle enormi finestre”, pp. 87-92
7 Cfr. Marx diverso perverso, Luciano Parinetto, Unicopli ‘96
9 Quello che ogni uomo può fare, Michael Kaufmann: http://www.fioccobianco.it/testi/pdf/quellocheogniuomopuofare.pdf
10 Laboratorio Smaschieramenti, vedi nota 2
11 Su questo cfr Metafora e vita quotidiana (Metaphors we live by), G. Lakoff e M. Johnson, Bompiani. “Se esiste un ordine simbolico fatto di immagini, concetti, valori, schemi mentali codificati e riconoscibili nel nostro linguaggio, è plausibile che esista anche una relazione tra questo e l’ordine sociale in cui viviamo. Non è un legame sempre chiaramente riconoscibile e definibile, anche perché non si presenta come influenza univoca di uno dei due ordini rispetto all’altro, ma come un’interazione continua e consolidata che è difficile per noi analizzare dall’esterno (la condizione ideale forse sarebbe un punto di vista libero da qualsiasi forma di simbolismo, ma ciò non sembra possibile nella nostra cultura e forse nemmeno nelle altre). Lakoff e Johnson si riferiscono in varie parti all’esistenza di metafore alternative a quelle più comuni, nate dalla cultura underground americana degli anni ’70, ma ci dicono anche che alcune di esse hanno potuto vivere e prolificare nel discorso comune quando si sono integrate in esso, cioè quando si sono potute inserire all’interno di sistemi metaforici preesistenti, generando sistemi coerenti a livello più ampio nonostante la loro originaria conflittualità. Questo è stato possibile perché la coerenza metaforica ammette la non-consistenza logica, cioè ammette metafore contraddittorie ma appartenenti ad una stessa categoria concettuale.”, Gli ordini simbolici di metafora e metonimia, G. Ricciato, Tesi di Laurea, Università di Bologna
14 L’ano tra sesso e rivoluzione, Aldo Nove, in “Queer” di Liberazione, 26-6-2005
Ho letto ieri questo intervento articolato che non si poteva scorrere in quattro e quattrotto. Alla fine del brano mi sono dispersa in sguardi tra un link e l’altro.
Torno oggi a ringraziare.
Se ne parli, e non è ancora mai abbastanza.
Grazie.
clelia