Da Oslo l’ultima chiamata per l’Afghanistan
di Gianluca Cicinelli
“Un milione di bambini potrebbe morire di fame se gli aiuti non li raggiungono in tempo e un insondabile 97% della popolazione potrebbe scendere al di sotto della soglia di povertà quest’anno” ha affermato il ministro degli Esteri norvegese Anniken Huitfeldt, aggiungendo che 39 milioni di persone in Afghanistan sono state sopraffatte da un collasso economico, dalla pandemia dovuta al Covid e dalla siccità. Parole pronunciate a margine dei colloqui, che si stanno svolgendo da ieri, lunedì 24 gennaio, a Oslo, fra i diplomatici occidentali e i rappresentanti del governo dei talebani in Afghanistan su come alleviare la crisi umanitaria del Paese.
La Norvegia così come gli altri Paesi della Nato non riconosce formalmente l’amministrazione guidata dai talebani tornata al potere l’anno scorso, ma vede i colloqui come necessari per la gravità della crisi, che mette milioni di afgani a rischio di morire di fame questo inverno per l’aggravarsi della povertà. La Norvegia sta facilitando gli incontri a cui hanno aderito Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Unione Europea. A dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che esenta le donazioni umanitarie internazionali dalle sanzioni finanziarie con cui si sta colpendo il governo talebano.
In questo margine stretto fra la necessità di aiuti umanitari senza però alcun riconoscimento politico del regime di Kabul, per la prima volta dall’agosto scorso, cioè dopo il ritiro dal Paese dei diplomatici dell’Unione Europea, la Commissione di Bruxelles ha ristabilito una presenza di base in Afghanistan per facilitare la consegna degli aiuti umanitari e monitorare la situazione. Mentre la preoccupazione principale della Ue è non dare adito a equivoci con il regime talebano, molte nazioni – dopo aver interrotto la maggior parte degli aiuti anche a causa delle rigide restrizioni imposte dai talebani alle banche – hanno intensificato gli aiuti umanitari aggirando i canali ufficiali del governo integralista. Prima degli incontri in corso a Oslo la Ue ha annunciato il lancio di progetti per 268 milioni di euro, da convogliare attraverso le agenzie delle Nazioni Unite. Il portavoce del governo afghano, Zabihullah Mujahid, commentando su Twitter gli incontri di Oslo ha parlato di “scambi di punti di vista sulla situazione in Afghanistan: la politica, l’economia e la sicurezza“. La Fao ha pianificato aiuti agli agricoltori, che schiacciati da siccità e carestia stanno cercando di raggiungere i centri urbani, distribuendo semi per la coltivazione del grano in 31 delle 34 province del Paese, insieme al mangime per mantenere in vita il bestiame.
Il mondo ignora la gravità della situazione in Afghanistan. Nonostante l’impegno degli operatori umanitari, manca tutto. Cibo, acqua, elettricità, medicine. Una catastrofe che si estende oltre i confini, al punto che il Pakistan non esclude un esodo di massa di rifugiati. Medici Senza Frontiere due settimane fa ha parlato di un aumento del 40% dei casi di malnutrizione fra maggio e settembre rispetto allo stesso periodo del 2020. Il centro nutrizionale di Herat di Msf denuncia la mancanza di moneta corrente unita all’inflazione che cresce di giorno in giorno portando i prezzi dei beni di consumo alle stelle, a cominciare dal cibo. Mancano i farmaci e il sistema sanitario non esiste quasi più per l’impossibilità di pagare gli stipendi. La mortalità dei bambini è altissima: fra quelli ricoverati in ospedale per malnutrizione uno su 5 – il 20% – è destinato a morire.
L’Onu l’ha definita la peggiore crisi umanitaria mai vista e tramite il coordinatore degli aiuti di emergenza, Martin Griffiths, chiede che il flusso di donazioni internazionali raggiunga i cinque miliardi di dollari. Anche per questo durante i colloqui di Oslo i talebani, interessati naturalmente a evitare il collasso totale del loro Paese, sono sembrati disposti a parziali concessioni politiche, incontrando nella capitale norvegese esponenti della società civile afgana, a cominciare da gruppi di donne guidate dall’attivista Jamila Afghani, secondo cui gli inviati del governo hanno mostrato buona volontà a cui però dovranno seguire azioni concrete sui diritti umani. Anche l’assistenza umanitaria risente delle restrizioni nei confronti delle donne: le operatrici umanitarie sono le uniche che possono entrare in contatto con le donne afghane e questo complica ulteriormente gli sforzi per distribuire gli aiuti.