Dal Marocco all’Amazzonia brasiliana
La storia delle due mazagão
di Alessia Di Eugenio (*)
La città di Mazagão Velho, parte dello stato di Amapá, nella regione nord amazzonica del Brasile, racconta di un passato coloniale ben poco conosciuto, una storia d’esilio che cominciò nel 1769, in Marocco. Singolari feste cittadine, riti, musica, canti, messe in scena teatrali e ricordi divenuti leggende preservano oggi, tra storia e mito, la memoria collettiva di una lunga traversata. Nel XVIII secolo gli abitanti della città marocchina oggi chiamata Al Jadida, all’epoca colonia portoghese che aveva il nome di Mazagão, vennero letteralmente trapiantati dall’altro lato dell’oceano, dopo un breve passaggio a Lisbona. Mazagão rinasce brasiliana.
Il suo nome deriva dalla parola berbera “Mazighan” che significa “acqua del cielo”, termine impiegato nella regione per riferirsi alle cisterne costruite dai portoghesi e destinate a raccogliere l’acqua piovana. Mazagão era infatti una città-fortezza pensata per essere totalmente autosufficiente. Situata nel litorale atlantico del Marocco tra Tangeri e Agadir, offriva vantaggi incomparabili per i portoghesi: la baia in cui è installata era considerata il più sicuro punto di approdo di tutta la costa atlantica del Nord Africa. Inoltre, la regione Doukkala di cui faceva parte, era tra le più ricche regioni agricole del Marocco.
Dal XV secolo il Portogallo avvia un’aggressiva politica coloniale in Africa occidentale anche con l’intento di circumnavigare il continente e tracciare una rotta verso l’oceano indiano, istallando avamposti sicuri in molti punti della costa africana. Mazagão è parte di questo progetto. I portoghesi arrivarono nella regione nel 1502 e nel 1514 costruirono la grande e massiccia fortezza, conosciuta per essere la roccaforte dell’Occidente cristiano in terre musulmane. Ne affidarono la progettazione all’architetto italiano Benedetto da Ravenna: era la prima città ideale del Rinascimento costruita fuori dall’Europa, come la definì lo storico Carlo Ginzburg.
Il prezioso testo, relativamente recente, dello storico Laurent Vidal, Mazagão, La ville qui traversa l’Atlantique: Du Maroc à l’Amazonie (1769-1783), racconta di quest’odissea come anche della vita quotidiana degli abitanti dell’antica Mazagão. Al confine tra terra e oceano, la città-fortezza aveva due porte d’accesso: la porta del governatore, l’entrata via terra e la porta del mare, sull’oceano e fuori dall’obiettivo nemico. La vita quotidiana era segnata dal ritmo dei turni di guardia delle sentinelle ma in tempo di pace la fortezza era aperta e non era raro che mori e berberi vi passassero per vendere i loro prodotti agricoli e artigianali. Anche in caso di fame l’aiuto era mutuo e frequente.
La fortezza ospitava approssimativamente 2000 persone, una popolazione eterogenea che comprendeva circa 600 soldati, circa 100 cavalieri, giovani e nobili, vari artigiani e agricoltori, molte famiglie tra cui quelle dei soldati e altre che vi si trasferirono, come alcune delle Azzorre che ottennero l’autorizzazione reale per abbandonare l’arcipelago a causa della carestia provocata dall’eccesso di popolazione. Inoltre vi erano padri della chiesa, schiavi africani, alcuni mori (schiavi o convertiti) e un discreto numero di prigionieri politici (Mazagão era anche un luogo d’esilio dell’Impero portoghese).
Per tutti i soldati della fortezza l’obiettivo atteso, scrive Vidal, era “il grande combattimento”, l’occasione per ottenere il titolo di “Cavaliere dell’Ordine di Cristo”, equivalente a un titolo di nobiltà. Opportunità di onore e gloria, ma anche di mobilità sociale. Per molti altri, invece, sarebbe stata l’occasione buona per tornare in Portogallo.
La fortezza, di fatto, resistette eroicamente per più di due secoli alle incursioni e agli assedi dei mori, anche con un numero estremamente inferiore di soldati, guadagnandosi così la fama di “inespugnabile”, diventando simbolo della Reconquista e motivo d’orgoglio per l’amministrazione lusitana. Ma nel 1768, all’ennesimo attacco da parte dei soldati mori guidati dal sultano Mohamed, il governatore di Mazagãochiede rinforzi da Lisbona e riceve, invece, un diverso ordine: abbandonare la fortezza. Il re D. José I motiva la sua scelta, in una lettera al governatore, ammettendo la sempre maggiore inutilità della fortezza per l’impero portoghese.
Inviò ordini molto precisi per permettere un trasferimento rapido: il governatore dovrà negoziare una tregua di tre giorni, organizzare la partenza degli abitanti che avverrà attraverso la “porta del mare”, tramite 14 imbarcazioni portoghesi inviate per incaricarsi del trasporto e secondo un rigoroso ordine di imbarco, per evitare confusioni e disordini. L’11 marzo 1768 cominciò la grande ritirata e il trasferimento a Lisbona di tutti gli abitanti della fortezza che ancora non sapevano cosa li avrebbe attesi: un’altra traversata, forzata, e ben più lunga.
Francisco Xavier de Mendonça Furtado, ministro della marina che fu anche governatore dello Stato del Grão-Pará e Maranhão in Brasile (a partire dal 1751) e conosceva bene l’Amazzonia, convinse il primo ministro (il Marquês de Pombal) dell’utilità di fondare una nuova Mazagão in Amazzonia, provando a dar vita a una politica di creazione di borghi e città (sotto la sua amministrazione vennero fondate più di 60 città in Amazzonia, la maggior parte delle quali nacque dalla trasformazione di antiche missioni gesuite). La decisione venne presa rapidamente: gli abitanti dell’antica città marocchina sarebbero stati accolti a Lisbona per un breve periodo e sarebbero poi stati imbarcati nuovamente per rifondare la città di Mazagão oltreoceano.
Questo provvedimento va compreso considerando la geopolitica che riguardava l’Impero portoghese nella seconda metà del XVIII secolo e s’iscrive nel contesto di lavoro delle commissioni di frontiera. Nel trattato di Madrid, sottoscritto nel 1750 per la rinegoziazione delle frontiere tra i possedimenti portoghesi e quelli spagnoli in America, fu adottato il principio giuridico uti possedetis secondo cui i territori reclamati da una o dall’altra corona andavano attribuiti a chi fosse in grado di provare la presenza regolare di coloni nel territorio. Il Portogallo tentò così di popolare i margini dei suoi possedimenti a sud del Brasile e in Amazzonia, nel margine nord, nelle Terras do Cabo Norte dove pochi anni prima, nel 1763, 150.000 coloni francesi tentarono di installarsi minacciando il controllo del confine, nonostante il Trattato di Utrecht del 1713 avesse stabilito le frontiere tra Guiana Francese e Brasile portoghese. I vecchi abitanti della fortezza da “soldati della fede” dovevano convertirsi in coloni del Nuovo Mondo. La giustificazione ufficiale fu quella di permettere che, sfiniti da sacrificio e sofferenza, potessero riposare e trovare ristoro nelle terre d’abbondanza tropicali. Ma il compito di “rifondare la città” era, di fatto, un ulteriore passaggio del cammino di sfruttamento coloniale, non certo la promessa di una vita migliore.
Gli abitanti di Mazagão vennero prima contabilizzati (circa 2092 persone), poi divisi per liste di famiglie (436) e poi classificati in ordine alfabetico. L’11 agosto i capifamiglia si riunirono per ricevere il pagamento: salari, rendite e pensioni che il re doveva agli antichi soldati. Quest’atto poneva così fine al loro vecchio statuto di “soldati della fede”, alterava la struttura gerarchica esistente all’interno della fortezza e creava al suo posto una vera e propria comunità di destino. Ma all’appuntamento ricevettero solo una parte del denaro; la restante sarebbe stata saldata all’arrivo nella nuova terra.
Vidal cerca di ricostruire cosa avvenne in quel periodo di attesa a Lisbona e cosa successe quando venne loro comunicata la decisione della nuova meta, dato che tutti furono obbligati ad imbarcarsi verso l’Amazzonia con la sola eccezione dei soldati senza famiglia e dei nobili di sangue. Difficile dirlo consultando gli archivi dei soli documenti amministrativi. Pochi dati aiutano l’immaginazione: qualcuno – pochi – tentò la fuga ma venne immediatamente catturato. Qualcun altro tentò di ricorrere alla corte ma non venne ascoltato. La maggior parte delle famiglie si organizzò per affrontare il viaggio.
Vidal racconta inoltre dello sforzo che molti fecero nel ricostruire la memoria del loro percorso, citando un poema epico trovato negli archivi e scritto nel periodo di permanenza a Lisbona. Il poema racconta dell’incontro tra un membro della corte e un abitante dell’antica Mazagão, all’arrivo delle navi dal Marocco. Ne riporto qui un breve passaggio citato dallo storico e tradotto nella versione italiana del testo:
“[…]Oh amico mio, ribatté l’Africano
bagnato di lacrime e sospirando
Già Mazagam si è abbandonata
Già la fortezza è in lor mano
Già la popolazione è stata evacuata
Già a Mazagam tutto è invano
Già ogni cosa è stata imbarcata
Cosa ancora vuoi saper di un disgraziato
Piangere ora tu mi vedi
Poiché all’istante son stato obbligato
A perder per sempre la mia terra
E a ritrovarmi spossato, nudo, spogliato.
[…]Che triste scenario potevasi contemplare
In quella sfortunata Piazza
L’uno grida, l’altro inneggia, gli altri sospirano
Il popolo tristemente afflitto passa all’azione
L’uno su un cavallo scarica il proprio odio
L’altro scaglia in strada la sua splendente argenteria
A tutti gli animali del gregge
Vengono mozzate le zampe.
Fu un caos di triste confusione
Fu una vera valle di lacrime
Di sospiri, lamenti e afflizione
Che si vide su quei petti decorati
Mazagam venne allora pianta
Dopo che i suoi figli si videro perduti
Ritratto vivente dell’abisso eterno
Se possono esservi ritratti dell’Inferno.
[…]Ecco dunque amico mio, la mia storia
Ecco lo stato della nostra Mazagam
Di cui oggi conserviamo nella memoria
Le rovine della sua perdizione”.
Tra violenza, confusione e paura, il 14 settembre 1769 comincia la seconda traversata. Distribuiti in 10 navi i vecchi abitanti di Mazagão abbandonarono Lisbona in direzione di Belém, capitale dello stato del Grão-Pará e Maranhão. La nuova città intanto cominciava a essere costruita al confine con le terras do Cabo Norte: il piano urbanistico fu affidato all’ingegnere e geografo italiano Domenico Sambuceti, che viveva in Amazzonia dal 1760, e l’organizzazione della costruzione al capitano Morais Sarmento. Il debito che la Corona aveva contratto con gli abitanti della fortezza fu saldato nella nuova terra donando schiavi africani e materiali: i vecchi guerrieri dovevano convertirsi in agricoltori-schiavisti.
Con il nome di Nova Mazagão, la città fu ufficialmente rifondata il 23 gennaio del 1770, quando ancora non era terminata. Infatti, nel primo periodo – che durò anni, fino al 1778 – i nuovi arrivati furono ospitati nelle case degli abitanti di Bélem, in attesa che tutte le loro abitazioni fossero costruite. A mano a mano che le costruzioni avanzavano, le famiglie cominciavano a essere trasferite, a partire dal 1771, su fragili canoe, attraversando il Rio delle Amazzoni fino al luogo prescelto per la nuova Mazagão. Tuttavia, durante questi anni di nuove attese, transiti parziali e soluzioni provvisorie, molte cose cambiarono. La città, che secondo la Corona doveva rinascere attenendosi rigorosamente alle liste di famiglie che lasciarono Lisbona, rinacque invece come città meticcia, con un grande numero di schiavi africani e abitanti indigeni (venne, infatti, costruita in territorio indigeno e secondo tecniche di costruzione indigena). Inoltre alcuni morirono, altri nacquero, altri crearono nuove famiglie e molti fuggirono – nel 1776 ben 343 persone erano riuscite a scappare – e quelle vecchie “liste” di famiglie, sulla base delle quali venivano attribuiti case e alimenti, non rispondevano più alla situazione reale. L’amministrazione coloniale continuava a difendere il rispetto delle liste mentre gli abitanti chiedevano che venisse riconosciuto il nuovo assetto sociale. Questo cominciò a generare numerosi conflitti.
Inoltre la vita in città fu tutt’altro che semplice, fin dall’inizio: difficoltà con la produzione agricolaper mancanza di conoscenza della regione, difficoltà di collegamento esterno (la città dipendeva ancora da Bélem per i rifornimenti di carne, farina, pesce, frutta e altri generi alimentari), segni di cedimento delle case perché il terreno era paludoso, pesante clima equatoriale e molte malattie tropicali che si diffusero rapidamente e debilitarono la popolazione. Così gli abitanti della nuova Mazagão decisero di inviare un messaggio alla Corona portoghese, approfittando del passaggio al trono (1778) della regina D. Maria I, acerrima oppositrice del Marquês de Pombal. Volevano soluzioni allo stato di abbandono in cui si trovavano o chiedevano di poter tornare indietro.
Ricordavano gloriosamente il loro passato marocchino e denunciavano esplicitamente come imposizione e violenza il loro presente amazzonico, firmandosi “originari dell’estinta piazzaforte di Mazagão”. Il messaggio sarà approvato e inviato, non senza notevoli attese e difficoltà (tutte le comunicazioni con il governatore del Grão-Pará avvenivano tramite canoa). Solo nel 1783 la Corona portoghese rispose e decise di porre fine all’obbligo di dimora per gli abitanti di Nova Mazagão senza, tuttavia, mettere a disposizione alcun tipo di mezzo per il loro ritorno. Era dunque una falsa e inutile concessione. Così cominciò a svanire ogni speranza di ritorno e continuò la vita, tra tentativi e stenti. Si ha notizia di qualcuno, tra i più ricchi, che riuscì a fuggire senza permesso e raggiungere Salvador de Bahia o la regione del Minas Gerais. Pochissimi casi. La sorte dei restanti non era più preoccupazione della Corona, nonostante simbolizzassero l’età d’oro della tanto declamata resistenza portoghese in Africa.
Nelle retoriche portoghesi è ancora oggi visibile un’immagine salvifica della terra amazzonica, con radici nel discorso post-coloniale e luso-tropicalista brasiliano sul Brasile come terra di immigrazione, mescolanza e tolleranza. Alcuni articoli che raccontano della storia di Mazagão mantengono queste visioni stereotipate, anche se, come mostrano tutte le ricerche fin ora realizzate, la disapprovazione e il successivo malcontento della popolazione rispetto a questo progetto sono difficilmente negabili.
(*) tratto da frontierenews.it