D’alcune peculiarità del Marziangrotterese
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Quando i cinesi decisero di pullulare anche su Marte invece di essere i primi umani a sbarcarvi, come speravano, non solo dovettero amaramente constatare di essere secondi, ma secondi di una etnia trascurabile e del tutto sconosciuta. Dopo tanti trionfi e titoli di primogenitura, successi politici ed economici, ecco che si ritrovavano ad aver investito una montagna di quattrini pressoché inutilmente. Marte non poteva essere loro, l’esclusiva dello sfruttamento delle risorse del suolo, dell’aria e del mare (che se non c’era si poteva creare) apparteneva a altri, e con questi altri nacque subito, in ragione di uno spiacevole incidente, alias disattenzione, che fece temere l’impossibilità di raggiungere un accordo (sbagliavano: con la ‘Ndrangheta, come con la Chiesa, è sempre possibile arrivare a un accordo, basta sganciare).
Inutile attardarsi sull’umiliazione che avvilì il continente tutto, umiliazione accentuata dall’ipocrita atteggiamento di comprensione assunto dalla stampa internazionale, che in realtà se la rise, senza quasi nasconderlo. Se all’epoca non scoppiò una Settima (o si trattava di un’Ottava?) guerra mondiale fu esclusivamente a causa dell’intervento della comunità scientifica che intervenne con prontezza per sottolineare l’inaudito valore scientifico di ciò che i cinesi avevano involontariamente trovato, dando luogo a un dibattito che coprì la piega beffarda che alcuni (molti) avevano inteso dare agli avvenimenti. Anche se bisogna ammettere che parte secondaria ebbero pure le difficoltà di capire esattamente a chi rivolgere una eventuale dichiarazione di guerra (i Grotteresi o Grotterisani che dir si voglia, chi erano costrore?). Cosicché, per non perdere la faccia, loro ancora ci tengono alla faccia, decisero di nascondersi dietro l’insorgente valore scientifico della scoperta e di contentarsi di avere sconvolto le pregresse e ormai obosolete convinzioni di semiologi e semantici. Nel mio piccolo riprendo oggi il filo degli eventi, assenti ormai da mesi anche dalla terze pagine dei quotidiani, per rinnovare un interesse che ben oltre gli enigmi linguistici che il caso presenta.
I fatti. Al netto della vulgata diventata moneta corrente in quei primi clamori giorni, quella dei media tutti (non solo i cinostatunitensi), vulgata solita blaterante di eroici approcci, gesti grandiosi e orizzonti di gloria, si volsero più o meno nel modo seguente: non appena il Cinese-Armstrong mise piede su Marte (fracassando per incuria e superficialità il giocattolo di un bambino), la frase memorabile da trasmettere ai posteri già pronta a fior di labbra, nelle sue orecchie risuonarono i seguenti improbabili suoni:
Xplut xplut luxpt i fijjhuma!
Il senso no, ma il tono non lasciava adito a dubbi. Chi l’aveva pronunciata era preda di un’ira incontenibile.
Il resto della storia, lo stupore del cinese, il suo sobbalzo dentro la tuta, il contenzioso che ne seguì è faccenda abbastanza nota (e per me di scarso interesse). Basterà che ne rammenti l’epilogo: il Ministero degli Esteri tramite l’Agenzia Nuova ‘Ndrangheta, alla quale erano stati delegati i poteri di rappresentanza del paese d’origine la neo popolazione marziana, inviò una nota di protesta con relativa richiesta di risarcimento danni (che l’Agenzia ottenne e trattenne: in cambio concesse i diritti di sfruttamento del suolo marziano vanamente rivendicati dai primi venuti grotterisani) e la cosa finì lì, come finiscono sempre le vicende nella penisola: a corruzione, sceneggiate, indignazioni di mezzora e tarallucci e vino.
Finì lì solo per dare inizio al mistero, unico nella storia, della rapidissima fusione tra una lingua morta (il marziano antico) e una moribonda (il grotterese moderno); fusione che consiste nella costruzione di un contenitore di nuovo conio nel quale ospitare fifty fifty i lemmi principali delle due lingue. E questo senza che nell’operazione si verifichi variazione alcuna nelle pronunce, nei fonemi, negli accenti, nei significati e nelle logiche che presiedono ai discorsi. Le parole sono brutalmente accostate le une alle altre senza apparente altra necessità che quella di assicurare, mediante l’uso, la loro combinazione.
La frase storica che tolse storicità alle velleità del cinese-Armstrong si scoprì subito essere stata pronunciata da, appunto, uno dei tanti emigrati grotteresi. I quali cercando cercando, vagando vagando, tutte le contrade del mondo essendo buone, finirono per esondare oltre il Sistema Terrestre, arrivando persino su Marte. Il quale emigrato, diventato immantinente aborigeno spiegò le ragion del suo sdegno affermando che (traduzione di Umberto Eco Junior):
xplut: cornutu futtutu
xplut: sbalasciasti
luxpt: u sdiviju
i fijjhuma: luxpt
Il che in italiano medio equivale a: cornuto fottuto, hai sconquassato il passatempo di mio figlio!
Dal momento della pronuncia di quella frase e particolarmente da quell’alieno “xplut”, linguisti, esperti televisivi, tuttologi e sparatori di cazzate si sono ossessionatamente impegnati nel comprendere l’incomprensibile di una lingua che annovera solo un quintetto di lemmi nel proprio linguaggio (del quale il più adoperato è il fatidico “xplut”), nel mentre che ingloba qualche centinaio di voci d’origine grotte-terrestre, per mezzo dei quali può essere detto tutto o quasi tutto, essendo l’indicibile essenzialmente tale perché non vuole essere detto. In altri termini, alcune parole erano tabù per le popolazioni ancestrali di Marte e tabù sembrano essere diventati per i suoi neo aborigeni.
I cinque termini, elencati in ordine alfamarzianico sono i seguenti:
xplut; tuplx; putxl; ulxpt; luxpt.
È stato inoltre trovata traccia di altri cinque termini (gli stessi di cui sopra ma preceduti da una “h” talmente aspirata da poter essere confusa con un sospiro, che sono necessariamente e rapidamente caduti in disuso).
Il mistero di come la fusione (anzi: la sovrapposizione) tra i due linguaggi sia stata possibile e del come i grotteresi abbiano appreso a (rapidamente) destreggiarsi nei continui cambiamento di senso e ruolo dei singoli fonemi, è l’unico del quale finora si sia venuti a capo. L’installazione della prima stazione d’intercettazione psichica ambientale, utilizzata dai governi di tutto il mondo per il controllo delle devianze, fu utile, una tantum, non alle esigenze del controllo assoluto, ma a individuare la presenza di onde psioniche diffuse (la fonte hardware non è stata ancora individuata), messe in circolo alcuni milioni, forse miliardi di anni nel passato; e atte a determinare particolarità comportamentali nelle popolazioni. Una presenza che rende il Quarto Pianeta il più insidioso tra tutti quelli del Sistema Solare (a tale proposito è utile ricordare che su Marte i governi hanno introdotto l’obbligo di circolare muniti di caschi psichicamente impermeabili).
Oltre la mera constatazione delle presenza di tali onde, nonché dalla variabilità di senso delle singole 5 parole a seconda del contesto, dell’ordine e del tono con cui sono pronunciate, non si è riusciti a andare. Il marziangrotterese custodisce gelosamente i suoi segreti e i suoi significati.
Non si riusciti infatti a capire neppure le modalità della contaminazione linguistica tra grotterese e antico marziano; quale la logica che abbia spinto i Grotteresi a abbandonare alcune abitudini e frasi idiomatiche e a mantenerne altre; quali ragioni abbiano prodotto l’attuale idiosincrasia per alcun i termini, termini necessari e comuni per la comunicazione quotidiana, e cambiato il senso e la destinazione di altri. Si è solo potuto stabilire la facile interrelazione tra alcune esperienze linguistiche (e non) presenti sulla Terra e la loro cancellazione su Marte.
Ad esempio, nel neo-marziano l’espressione “faccia tosta” è considerata una bestemmia contro il buon senso. Infatti l’analoga dialettale “facci i scrozzarra” (faccia di tartaruga=faccia tosta) è stata obliterata dal vocabolario corrente. Non esistono individui dotati di faccia tosta, su Marte. È più facile trovare un cannibale che un uomo privo di decoro sociale. La rivoluzione etica indotta dalla onde psichiche che percorrono instancabilmente la superfice del pianeta e contro le quali si sono dimostrate inefficaci varie misure (a parte i ridicoli e ingombranti caschi antipsichionici), rende impossibile a una persona non rispettare gli impegni presi, violare le leggi non scritte del rispetto e servizio reciproco, non essere comprensivi e sventolare come un’emblea la propria disonesta furberia.
Di “Uomo di rispetto”, espressione un tempo diffusissima, essendo il rispetto delle persone un apriori che non ha bisogno di essere pronunciato, non si è riuscito a trovare traccia. Lo stesso vale per “onorevole” essendo che ogni uomo è onorevole. Dire “onorevole” è lo stesso che dire uomo e viceversa. Un criterio diffuso di economicità ha imposto di scartare uno dei sue termini in favore dell’altro.
Sono presenti invece combinazioni particolari di parole adoperate per manifestare profondo disgusto e radicale disapprovazione. Si tratta di concetti o oggetti inutili e persino dannosi, delle vere e proprie iatture sociali, che sono state conservate per porre costantemente in guardia la popolazione dalla loro possibile introduzione. Campeggia tra esse “governo” e “governabilità”, seguita da “forze dell’ordine”, “datori di lavoro”, “rappresentanti”, “salario”, “orario di lavoro” eccetera eccetera…
Pace in marziangrotterese di dice “putxl bonu bonu”. Diritti dei lavoratori invece alla breve “a jornata, lupxt”. Legge truffa invece limitandosi a stringere le labbra. E forse anche lo sfintere…
Bisogna infine citare la singolarità costituita da alcuni termini che continuano a esistere pur essendo ormai privi di vero contenuto. Puri non senso. Vedi la locuzione “Primo Ministro”, “la legge è uguale per tutti”, “sovranità popolare”, “rappresentanti del popolo”. Ad alcune di esse, caso estremo in una società che non conosce né restrizioni né (conseguentemente) delitto, è assegnato il compito di configurare la nozione “reato”. Pronunciandole si viene all’istante esortati a rinchiudersi nella più vicina prigione. Le più aborrite e temute e sanzionate sono: “pedofilia”, “Olgettine”, “amnistia”, “bicocca della libertà” e “Berlusconi” (da un antico e dimenticato politico della XXII repubblica).
La più impronunciabile e terrorizzante comunque è la parola “Renzi”, sinonimo di flagranza di reato. Non risulta vi siano marziani che osino pronunciarla.