«Damasco», il nuovo romanzo di Suad Amiry
di Monica Macchi (*)
«Sai perché il profeta Maometto si è fermato ad al-Qadam e non è mai entrato a Damasco? Da lontano, ha visto gli splendori della città, ne ha percepito l’incanto e ha detto: Un uomo dovrebbe andare in paradiso una e una sola volta! Ecco perché non ci è mai entrato».
Il suq al-Hamidiyya con la gelateria Bakdash, la moschea degli Omayyadi, i vicoletti stretti di Midhat Pasha e poi palazzo Baroudi, col suo suntuoso portone “così alto che ci potrebbe passare un cavaliere e così largo che ci potrebbe passare un cammello carico di mercanzie”: la città di Damasco è indistinguibile e inestricabile dalle vicende della famiglia Baroudi, non semplice paesaggio ma un altro personaggio. Un palazzo che fra consuetudini e rituali, dalla Grande Bouffe del venerdì all’hammam, riequilibra i contasti, le rivalità, le invidie, le piccole e grandi meschinità e rafforza i legami tra le sorelle. Mentre i figli maschi sono pigri e viziati (tranne il capostipite Jiddo dall’insaziabile e insaziato appetito sessuale il cui tradimento dà l’avvio alla saga) ci sono alcune formidabili figure femminili tra cui Laila la tiranna, con un’amante segreta in Giordania che “per far fiorire la sua storia d’amore, assassina quelle degli altri” e soprattutto Karimeh che da non sposata ha adottato una bambina, Norma, una riflessione attualissima sul significato della maternità e sul silenzio come gesto estremo d’amore. E durante la presentazione del libro, Suad Amiry ha ribadito «Sono cresciuta con le mie zie nubili, figure molto progressiste, e per me era normalissimo che una di loro avesse adottato Norma, mia cugina. E perché allora adesso ci sono tutte queste discussioni sulle adozioni e sui genitori con cui si cresce, anche se non ci si nasce?».
Una mirabile storia e un affresco non solo di Damasco, la capitale ottomana della “Grande Siria” ma anche di piccoli villaggi come ‘Arrabeh in Palestina dove la memoria è scolpita nella pietra, Jenin, Nablus, Gerusalemme e i piccanti pettegolezzi della suite 28 dell’hotel King David, Beirut e gli ombrelloni gialli del Saint George Beach Club fino alle nuove realtà economiche che distolgono lo sguardo dal Mediterraneo per spingerlo ai Paesi del Golfo e trasformano l’amatissima Damasco in un mero luogo di passaggio.
(*) ripreso da «Per I Diritti Umani»