Daniel Pennac, François Morlupi, Maurizio Ambrosini con…

…Nicola Roggero, Simona Ginsburg ed Eva Jablonka, Evan Hunter

sei recensioni di Valerio Calzolaio

Storie di atletica e del XX secolo – Nicola Roggero

Add Torino 2023

Pag. 252 euro 18

 

Atletica e altri sport. 1912 – 2022. Non basta conoscere solo tempi e misure per capire l’atletica. Non sono importanti solo i risultati delle gare. Non ci si può limitare ai manuali tecnici e agli annuari. Le prove di atletica sono l’esaltazione dei gesti fondamentali dell’uomo, correre saltare lanciare, e complessivamente rappresentano lo sport più universalmente praticato dai sapiens, quello dove atleti di Paesi come l’Etiopia e la Giamaica sono in grado di battere potenze come Stati Uniti e Russia, quello dove ognuno dei Paesi del mondo è in grado di produrre un campione (prima o poi è accaduto). Un rettilineo per correre, uno spiazzo per saltare, un oggetto da lanciare sono a disposizione di tutti quasi ovunque e quasi a ognuno è concessa una possibilità di approccio, indipendentemente da censo, etnia e provenienza. Per conoscere l’atletica è necessario allora documentarsi sul contesto sociale e culturale in cui l’attività si svolge. Tempi e misure, risultati e tecniche sono stati spesso condizionati dalle singole storie nazionali e dalla geopolitica globale. La storia sportiva dell’atletica si intreccia di continuo con la Storia culturale e istituzionale, spesso scadenzata dai quadriennali Giochi Olimpici, evento decisivo per tutti gli sport riconosciuti, a sua volta programmato o boicottato per la dinamica contingente dei poteri interni e delle relazioni internazionali, delle guerre e delle altre discriminazioni o ostilità. La vittoria e la perdita di medaglie ha spesso cambiato il corso della storia, all’interno e all’esterno dei confini patri, più ancora che l’ottenimento dei record di tempi e misure. Ripercorrere alcune vicende dell’atletica e dello sport aiuta davvero a ricostruire quanto globalmente sta accadendo nell’ultimo secolo e mezzo.

L’ottimo giornalista sportivo Nicola Roggero (Casale Monferrato, 7 ottobre 1964) mette in esergo del suo bel libro (dedicato alla mamma) una frase di Mandela sullo sport che “ha il potere di cambiare il mondo” (espressa in occasione della Coppa del Mondo di Rugby del 1995 in Sudafrica). Attraverso venti efficaci capitoli sul nesso fra eventi dell’atletica e eventi della Storia di oltre un secolo, riempie di notizie e curiosità un percorso che va dalla questione dei nativi americani (il primo capitolo sulle “medaglie negate” nel 1912) alla tragedia del popolo ucraino (l’ultimo capitolo), passando per i due conflitti mondiali e l’olocausto atomico di Hiroshima, gli anni della Guerra Fredda e i carri armati che schiacciarono Budapest e poi Praga, la lotta per i diritti civili degli afroamericani e la fuga per la libertà superando il muro di Berlino, sino ai movimenti per l’emancipazione delle donne e per l’autodeterminazione dei popoli aborigeni. Troverete tanti episodi e tanti nomi (elencati nell’indice finale alfabetico), alcuni noti e altri meno, tutti portatori di messaggi (come i tedofori) spesso più significativi della carriera individuale dei singoli atleti e atlete (c’è anche l’elenco dei maggiori protagonisti citati, in ordine di apparizione). Di tennistavolo si parla nel capitolo su “Borzov e il pasticcio americano”, dei due saltatori in alto sulla copertina e a pagina 1 nel capitolo intitolato a “Gagarin in pedana”.

 

 

Figure della mente. La coscienza attraverso le lenti dell’evoluzione – Simona Ginsburg ed Eva Jablonka

Illustrazioni di Anna Zeligowski

Traduzione di Francesco Peri

Raffaello Cortina Milano 2023 (orig. Picturing the Mind, MIT 2022)

Pag. 199 euro 24 (grande formato)

 

Dentro e fuori di noi, coscienti o senzienti (sinonimi) sulla Terra. La biologia evoluzionistica può guidarci nel labirinto del nesso imperscrutabile tra mente e cervello, tra lo psichico (stato di coscienza) e il fisico (irritazione del tessuto nervoso), suggerendo sempre nuovi interrogativi e nuovi dubbi, domande più che risposte. L’approccio corretto prende le mosse da alcuni dei modi classici in cui abbiamo cercato di figurarci la coscienza e di concepire la natura della mente, soprattutto da due antiche concezioni di portata generale, il dualismo e il fisicalismo. L’orientamento naturalistico ed evoluzionistico impone di considerare tutti gli organismi vitali (batteri compresi) e di valutare bene la transizione dalle specie animali non coscienti a quelle coscienti, correlata all’emergere di una forma di apprendimento associativo aperto e illimitato, che caratterizza alcuni animali dotati di cervello, e premessa ai caratteri sui generis e alle ripercussioni strabilianti e mostruose della coscienza umana. Simile approccio necessita di far leva su una narrazione scientifica piana e matura, accompagnata seriamente da immagini visive (tavole illustrate e disegni ironico-giocosi) e immagini verbali (metafore vigilate con valore epistemico), per aiutare l’immaginazione e l’interpretazione a spaziare con maggiore libertà, dischiudendo altrettante prospettive sui molteplici risvolti della coscienza e passando in rassegna alcune varietà anomale che aiutano a spingersi verso le possibili espressioni future, come l’intelligenza artificiale e addirittura una coscienza in mondi virtuali o extraterrestri. Miscelando arte, filosofia e scienza si può davvero stimolare l’immaginazione e la consapevolezza di noi lettori, rivelandoci svariati modi in cui si possono esplorare i paesaggi della mente.

Due esperte famose filosofe della biologia di formazione scientifica, entrambe di origine isaeliana, Simona Ginsburg (nata negli Usa, 1947) ed Eva Jablonka (nata in Polonia, 1952), con la “conforme” collaborazione della medica artista Anna Zeligowski (nata in Polonia nel 1952), anche lei di origine israeliana e ora residente in Puglia, hanno realizzato un testo efficace, interessante e fertile per renderci più coscienti sulla coscienza. Si tratta di una proprietà antica e diffusa tra gli animali, probabilmente evoluta per creare un nuovo insieme di obiettivi, visto che consente all’organismo di prendere decisioni flessibili e dipendenti dal contesto, raggiungendo obiettivi che altrimenti non sarebbero affatto riconosciuti come tali, e finisce per coincidere con la sua capacità di orientarsi in un territorio nuovo e complesso, per procurarsi cibo o trovare un partner. Un essere senziente possiede un’autonoma agentività; ha esperienze private, soggettive e coerenti; si preoccupa e si impegna per la propria sopravvivenza e riproduzione. Per le specie umane hanno fatto poi via via grande differenza l’evoluzione di sistemi simbolici, che includono la capacità linguistica. Il volume si articola in cinque carrellate e “panoramiche”, ciascuna di queste sezioni svolge dai dodici ai sedici argomenti, per un totale di 67 paragrafi brevi, discorsivi e ricchi di vividi punti interrogativi. Ciascun paragrafo è accompagnato da un’immagine, una metafora visiva che entra in risonanza con il tema specifico svolto nel testo e con l’immaginazione del lettore, introducendo punti di vista supplementari, talora arricchiti anche da frasi in esergo, citazioni altrui e versi della poetessa inglese Jean Monet (ispirati alle tavole). Molto stimolanti nella quinta sezione i riferimenti alle lesioni cerebrali, ai deficit cognitivi e mnemonici, alle encefalopatie, alla fantascienza, alle menti prodigiose, alle sostanze psichedeliche, all’inconscio, ai robot. Indicazioni bibliografiche nelle puntuali note conclusive e buon indice analitico.

 

 

Le strade d’oro – Evan Hunter

Traduzione (ottima) di Giuseppe Costigliola

Neri Pozza Vicenza -2023 (or. Streets of Gold, 1974)

Pag. 491 euro 20

 

Da Fiormonte a New York, da italiano ad americano. Oltre un secolo fa. Dwight Ike Jameson (New York, 15 ottobre 1926 – Weston, Connecticut, 6 luglio 2005) è stato un grande pianista cieco di jazz, all’apice di popolarità e ricchezza nel decennio 1955-1965. Nemmeno trentenne aveva cambiato nome e cognome di nascita (Ignazio Silvio Iggie Di Palermo), coinvolgendo nella nuova identità la moglie ebrea Rebecca (matrimonio il 17 novembre 1948, assente il riottoso padre di lei) e i loro tre figli Andrew (1949), Michael (1951) e David (1953). Era un povero ottimo talentuoso musicista (dodici anni di studi classici) e arrancava nel jazz professionista bianco come Blind Ike. Il clamoroso pur meritato successo accadde per caso, risultato di una serie di eventi fortuiti. Dal 1955, comunque, il pezzo The Man I Love ebbe fama imperitura, insieme poi ad altre successive registrazioni. Poco tempo dopo, guadagnava quattrocentomila dollari l’anno solo per le vendite e le esibizioni (ormai milionario), era proprietario di un grande magazzino a Dallas, aveva partecipazioni azionarie nei pozzi petroliferi, possedeva case e viveva alla grande, da ogni punto di “vista”. Si trova a ripensarci e a narrarlo quasi 48enne, meno ricco e potente, da poco separato, iniziando al capezzale dell’amato nonno materno Francesco Di Lorenzo (Fiormonte, provincia di Potenza, 7 luglio 1880 – New York, 17 giugno 1973). Il nonno era emigrato dalla Basilicata a Ellis Island nel 1901, in fuga dalla filossera che aveva colpito le vigne, immigrando verso strade che potevano forse essere lastricate d’oro; lavorò subito da operaio della metropolitana, sfruttato e sottopagato; divenne un buon sarto grazie al padre della moglie Teresa Giamboglio; ebbe figli e nipoti, con un reciproco rapporto intenso e stabile soprattutto con il nipote Iggie.

Un consiglio appassionato, senza corrispettivo o royalties: lascatevi deliziare dalla musicalità di questo capolavoro letterario. Evan Hunter (New York, 15 ottobre 1926 – Weston, Connecticut, 6 luglio 2005) è uno straordinario scrittore americano, più noto al mondo con lo pseudonimo di Ed McBain, nato Salvatore Albert Lombino (nome cambiato nel 1952), con nonno materno italiano Giuseppantonio Coppola, di Ruvo del Monte in provincia di Potenza. Il bellissimo romanzo The Blackboard Jungle del 1954 iniziò a renderlo benestante e famoso, pur se incredibili popolarità e ricchezza arrivarono dal 1956 con la mitica serie dell’87° distretto firmata McBain. Nel 1973 l’amato nonno morì e decise di dedicargli una splendida narrazione in prima persona in forma romanzata (uscita a inizio 1974). Ci vorrebbe un’intera puntata di Report per illustrare (con svariati “forse”) le probabili corrispondenze e le colte differenze biografiche fra Francesco e Giuseppantonio, fra Ignazio e Salvatore, fra Dwight ed Evan, fra l’insieme dei personaggi “familiari” citati, veri e inventati (fra l’altro l’autore ci gioca spesso attraverso un ispirato ipertesto, divertente e irriverente). Ma che importa? Godiamoci lo spartito così come è (pure in Braille), l’impasto di ritmo e melodia, di progressione armonica e improvvisazione geniale, di incisi e dialoghi, di digressioni storico culturali (eccelse sul mito americano, da cui il titolo, e su razzismi e criminalità organizzate, specie di origine italiana) e svolte intime, intrecciando cronologia e diacronia, pensieri e parole, musiche e sospensioni. Del resto, Hunter ritorna di continuo sul rapporto pubblico e personale tra realtà e finzione, tra verità e menzogne: “È tutta una bugia, comunque, che differenza fa? Vuoi o non vuoi?”; “i sogni sono bugie”; “se cambi il tuo vocabolario sei già a buon punto per cambiare le tue idee”, per fare tre esemplificazioni. Il testo non era stato mai pubblicato in italiano, finché nell’estate 2019 il comune originario del nonno decise meritoriamente di promuoverne traduzione (ottima) ed edizione (limitata). Ora può finalmente arrivare a tanti connazionali lettori e lettrici ed è una chicca da non perdere, innanzitutto per le stesse meditate scelte felici dell’esperto traduttore, alle prese sia con un flusso creativo di invenzioni idiomatiche e termini ibridi nel crogiolo di razze sia con il dichiarato intento dell’io narrante di usare regole e contrappunti della sua musica (jazz) per spiegare (meglio) al posto della letteratura (di cui si dichiara inesperto). Molto documentato il meraviglioso jazz (Hunter ringrazia John Mehegan)! Vino fatto in casa e whisky fatto ovunque.

 

 

Rifugiati e solidali. L’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia – Maurizio Ambrosini (a cura di)

Il Mulino Bologna 2023

Pag. 348 euro 27

Italia. 2011-2022, con spunti rilevanti sul prima e sul dopo. La società italiana e le sue istituzioni hanno faticato a riconoscere di essere diventate meta di migrazioni internazionali, ma hanno sperimentato una fatica ancor maggiore a entrare nella prospettiva di adempiere al dovere di dare asilo a vittime di guerre e persecuzioni, benché previsto dall’art.10 della nostra Costituzione (che ampia addirittura la casistica rispetto alla Convenzione di Ginevra). L’arrivo di immigrati per lavoro, sebbene colpiti dall’accusa (poco fondata) di sottrarre posti di lavoro ai disoccupati italiani, ha potuto trovare una sponda nei bisogni insoddisfatti del mercato del lavoro, nella visibile carenza di offerta delle mansioni più faticose e socialmente sgradite e, di conseguenza, nella partecipazione dei datori di lavoro alle ripetute sanatorie, famiglie comprese. Tutto ciò, invece, manca ai richiedenti asilo: la legittimazione della loro accoglienza discende pressoché unicamente da motivazioni umanitarie, accolti nei casi più favorevoli soltanto in quanto vittime traumatizzate. Così, nell’ultimo decennio, a partire soprattutto dalle Primavere arabe del 2011, si è accentuata non una “crisi dei rifugiati” ma una crisi dell’accoglienza ai rifugiati, certo in Italia e pure nell’Unione Europea. Nel nostro paese si è diffusa una rappresentazione intossicata dei rifugiati, oltretutto spesso confusi con l’immigrazione in generale (con la nota ostilità verso quasi chiunque arrivi e verso le minoranze religiose), accanto all’idea falsa (smentita dai dati) che siano i confini marittimi la principale porta d’ingresso. La gestione politica dell’asilo non è mai riuscita ad affrancarsi da un quadro emergenziale, fra l’altro con la diffusa riluttanza di molti comuni a collaborare volontariamente. I cosiddetti decreti Salvini hanno peggiorato la situazione, riducendo finanziamenti, competenze, dotazione di personale, accesso ai servizi. Sarà meglio fare un punto chiaro e concreto sulla realtà di dati e dinamiche.

Il grande sociologo delle migrazioni Maurizio Ambrosini (Vercelli, 1956) è un docente e un esperto serio e preparato. Apre l’introduzione al testo con la novità del caso ucraino, una risposta abbastanza positiva del nostro paese all’emergenza, riassumendo poi il quadro organico delle ricerche su sperequazioni e contraddizioni nella protezione dei rifugiati, svolte attraverso una collaborazione fra le Università di Milano, Genova, Trento e Verona, coinvolgendo decine di studiosi. I capitoli sono nove, opera di differenti autori, e riguardano: le “lezioni” acquisibili da un decennio di governance dell’asilo (coi casi di Bologna e Venezia); la prova dell’accoglienza durante il Covid-19; visioni, esperienze e dilemmi tra gli assistenti sociali per de-confinare i rifugiati; gli operatori e i volontari nell’accoglienza; le donne rifugiate nell’esperienza di “Lucha y Siesta” a Roma; i documenti, casa e lavoro, la conoscenza linguistica dei rifugiati a Milano; i rifugiati senza dimora (con il caso di Como); i migranti in transito (visibile e invisibile) sul confine triestino; il conflitto su mobilità ed accoglienza ai migranti in transito a Briançon. Molti esami concreti e localizzati, dunque. Del resto, i rapporti tra autorità locali e forze della società civile non sono riconducibili a una semplice dicotomia tra accoglienza e chiusura. I sociologi coinvolti hanno potuto identificare una tipologia più complessa, esaminata nel volume e forse utile a tanti amministratori comunali e regionali: conflitto, opposizione passiva, tolleranza implicita, devoluzione, cooperazione. L’arretramento della tutela dei diritti umani nell’Unione europea è reale e va contrastato, sul piano giuridico e sul piano sociale, a livello istituzionale e a livello amministrativo, con scelte solidali individuali e collettive. L’auspicio è che la lettura e il confronto rispetto ai temi del volume possano favorire un salto di qualità nel dibattito scientifico (ricchi seppur parziali sono i riferimenti bibliografici) e nel discorso pubblico su argomenti così cruciali per la convivenza umana e per le scienze sociali contemporanee.

 

 

Formule mortali. La prima indagine dei Cinque di Monteverde – François Morlupi

Salani Milano – 2023

Pag. 391 euro 18 (1° ed. Libreria Croce 2018, ampiamente riveduta e corretta)

 

Roma, agosto 2018. Quel sabato 18 agosto il metodico ipocondriaco commissario 53enne Biagio Maria Ansaldi, 1,75 per oltre 100 chili, occhi neri e folta barba brizzolata, occhiali tondi e pancia prominente, camicia rossa e scarpe gialle, si trova a letto in ospedale, reparto di neurologia al Lancisi. Per la terza volta negli ultimi quattro mesi ha avuto un attacco di panico, è svenuto all’entrata del suo cinema nell’elegante tranquillo quartiere Monteverde ed è caduto in una buca, atterrando su un cumulo di sabbia. Nessuno ha chiesto di lui, è in cura dalla dottoressa Sandra Trombert. Non sarebbe consentito, ma la magra e muscolosa 30enne vice ispettrice Eugénie Loy, capelli neri, lunghi e lisci, piercing viola appuntiti (fuori servizio) sul grazioso naso, sofferente viso regolare senza trucco, seno piccolo, vistoso tatuaggio sul braccio a forma di lanterna, riesce infine a entrare nella stanza del diretto superiore. La bionda Sandra è amica di Eugénie, entrambe italo-francesi, a scuola insieme. Sono le quattro del mattino, i due poliziotti chiacchierano. Meno di due ore dopo un 83enne va a fare una passeggiata a Villa Sciarra e rinviene un cadavere: prima una mano mozzata senza dita, poi gli arti amputati disposti sul terreno a disegnare una celebre formula fisica, E = mc2. Chiamano al telefono Loy, Ansaldi decide di uscire subito con lei, accorrono sulla scena del crimine, dove trovano già l’agente scelto Roberto Di Chiara, sconvolto. Dopo il sopralluogo si riuniscono nella sala conferenze del commissariato di via Cavallotti, anche con gli altri due agenti William Leoncini (aveva appena salutato la ragazza della notte prima) e Roberto Caldara (era in auto per una gita con moglie e figli). La storia è intricata; vi saranno altri cadaveri, formule e rapimenti; scoprono un caso analogo in Corsica; l’indizio delle monete conduce a fanatici religiosi; esistono video con le nefandezze nel dark web; la setta sembra estesa e con tante cellule. Rischieranno la vita e diventeranno una vera squadra.

L’italo-francese informatico (in una scuola francese di Roma) e ottimo scrittore François Morlupi (Roma, 1983) esordì con questo romanzo nel 2018, inaugurando una serie divenuta di grande successo, composta finora di altri due romanzi del 2021 e del 2022. Il nuovo editore ha deciso saggiamente di ripubblicare il primo, forse il migliore, tanto più che l’attuale versione tiene conto dell’esperienza. La narrazione è in terza varia, su tutti e cinque gli investigatori (da cui il sottotitolo dei romanzi seriali), come anche più brevemente su altri personaggi e sui cattivi carnefici, compresi quelli insospettabili che godono per le immagini delle torture e delle lente morti. Equazioni e formule (da cui il titolo) evocano reminiscenze di fisica, matematica e chimica; l’ultimo che scompare è un professore di letteratura italiana, esperto di Dante. Ansaldi è bravo e capace, amante e buon conoscitore di pittura e arte; aveva maturato una notevole efficienza di risultati alla mobile di Milano (continue indagini pericolose e assorbenti su mafia e criminalità organizzata); solo e ansioso, aveva voleva terminare la carriera in un quartiere poco in vista e anonimo; trasferito, si era dovuto occupare nei due anni precedenti soltanto di normale amministrazione; ora deve riuscire a sporcarsi di nuovo le mani e a trasformare i suoi stimati diversi sottoposti in un collettivo affiatato. Morlupi dedica perspicace attenzione alle biografie e alle relazioni interpersonali (pure professionali) dei suoi cinque protagonisti principali a Monteverde (quartiere del quale scopriamo con simpatia spazi e cose, più o meno buone). L’ambientazione è curata, lo stile efficace, il ritmo avvincente, i dialoghi accorti, non proprio sempre riuscite le scene d’azione. William s’invaghisce di Esthella sorseggiando prima piña colada poi un coctail a base di rum bianco, ananas e cocco. Il questore cita Guccini per dileggiare Ansaldi; l’introversa Eugénie preferisce Metallica e Nirvana, ça va sans dire.

 

 

Capolinea Malaussène. Il caso Malaussène 2 – Daniel Pennac

Traduzione di Yasmina Melaouah

Feltrinelli 2023 (orig. Terminus Malaussène. Le cas Malaussène 2, 2023)

Pag. 397, euro 22

 

Dalle parti di Parigi, dentro e ai lati del cuore XX arrondissement. Verso il settembre 2021 (a otto mesi dalle elezioni presidenziali del 2022). Il seguito pratico del Signor Malaussène: in scena il rapimento interrotto e ripreso del ricco sgargiante Georges Lapietà (che ha l’elenco dei potenti corrotti) e la rischiosa rifinitura (lontano dal Vercors) del secondo romanzo-verità (terribile) del brasiliano Alceste Fontana, insieme a ogni anfratto e risvolto di tutte le vecchie storie dell’intera tribù allargata del capro espiatorio più famoso al mondo, Benjamin Malaussène. L’uomo d’affari era stato rapito dallo stesso figlio Iuc con gli amici Mara, Nange e Sigma, per fare una spettacolare opera d’arte. Solo che alcuni veri malviventi avevano compiuto la stessa scelta e ne era venuto fuori un gran casino. Il capo dei cattivi è Nonnino, età vetusta e voce dolce, amante di gratin dauphinois, violento e implacabile, ha un esercito colto e fedele di delinquenti ai suoi ordini, li ha educati alla verità cash e formati professionalmente, li guida con risolutezza nera. Ispettori e magistrati, bravi e somari, cercano di essere all’altezza. Ben soprassiede a Julius il Cane, al dormitorio familiare e all’orfanatrofio annesso; nella banda dei ragazzi c’erano il figlio e i cugini, Mara (incinta) sta con Iuc; come sempre lui si fa carico di tutto, ogni suo parente ha spesso sfiorato la morte, si vede scorrere davanti agli occhi il catalogo di esplosioni, massacri, violenze. Da dipendente tuttofare delle Edizioni del Taglione della Regina Zabo ha avuto ora l’incarico di procrastinare l’uscita del libro (“La loro grandissima colpa”), in cui Fontana racconta senza metafore non solo i pessimi comportamenti della propria stessa famiglia, otto fratelli (tre femmine e altri quattro maschi) e due genitori che li hanno adottati, ma anche i traffici sui piccoli calciatori rapiti in Brasile. La bella mamma, mentre accudisce il marito Paul (innamorato, un poco rimbambito agli Aliossi, residenza per anziani), fa le solite cazzate. Fuochi pirotecnici. E bombe.

Daniel Pennac (Casablanca, 1944) chiude il cerchio (da cui il titolo) e narra meravigliosamente un’altra gustosa avventura contemporanea di realismo magico. All’inizio il riassunto del volume precedente (2016) e la figura genealogica, in fondo la semplificante ripetizione del repertorio delle denominazioni e definizioni dei mitici personaggi seriali “inventati” (ben oltre il centinaio), citati o evocati, di qualche luogo e archetipo. Con la travolgente lettura manteniamo così memoria di amorevoli storie noir (l’autore termina ringraziando chi lo accolse 40 anni fa nella cantina della Série Noire), di fiabe ironiche e horror, di avventure mirabolanti intorno al mondo, di empatiche figure inevolvibili, di significati multisenso e impatti multisensoriali, di dialoghi scoppiettanti e colpi di teatro, di scene orride o poetiche in luoghi metropolitani e naturali, oltre che degli innumerevoli sfaccettati battiti dei silenzi (saturi, logorroici, cinematografici, invasori, lunghi, pensosi, divertiti). La narrazione s’avvia in terza persona su Nonnino; segue poi Ben in prima (come sempre); si occupa degli altri amici e sodali in terza; continuando ad alternarsi punti focali, scene e sequenze in quaranta capitoli e otto parti, l’ultima inevitabilmente intitolata alla “mamma” (che ha finora trascorso con figli e nipoti meno di mille giorni, non più di trenta mesi con la sua progenie), ogni parte con una frase del relativo testo in esergo. Ognuno dei precedenti romanzi della serie (1985, 1987, 1989, 1995, 2017; all’inizio anni diversi in Italia, ma sempre con la stessa straordinaria traduttrice) trova riferimenti e agganci, pur se Ben non è più il giovanotto versatile che può cambiare lavoro come cambia umore; da qualche decennio si smazza autori celebri; è un essere sociale, un capofamiglia, un uomo con dei doveri, ligio alle sue responsabilità. Ancora una volta è cruciale Verdun, la giudice Talvern, incaricata del caso Lapietà, minuscola saggia sorella urlante di Ben, moglie di un enorme professore panettiere. Aveva detto che “vivere significa passare il tempo a riempire i due piatti della bilancia”, arrivata a fine carriera e costretta a cambiare ancora vita, in meglio e con altre bilance. Segnalo il Père-Lachaise che plana più volte di notte sulle vie di Belleville, suscitando forse un qualche ulteriore stupore. Il calvados viaggia sugli 80 gradi. Il colonnello Nonnino gestisce anche i cori, Vivaldi e Vedrò con mio diletto sono utili a farsi reclutare. Oddio, addio?!

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *