Daniele Atzeni: «I morti di Alos»

di Daniela Pia  

Forse una notte Antoni Gairo, voce narrante del documentario «I morti di Alos», ha bussato alla consapevolezza creativa di Daniele Atzeni per supplicarlo di raccontare. Così mi piace immaginare questa comunanza di intenti fra un’anima sarda e il sardo regista. Sarebbe molto piaciuta a Ciccittu Masala questa narrazione fatta di silenzi avvolgenti, dove si intuisce il suono delle campane a morto. Morti che parlano dai vecchi muri dove granito e scisto si uniscono con il fango, presenti nelle strade lastricate, in un saliscendi di muschio e licheni. “Monckumentary” – cioè finto documentario – così vero e avvincente da convincere lo spettatore che la tragedia narrata sia quella realmente accaduta. Un paese fantasma, abbandonato da donne e uomini vittime del dramma. Assenza che è denuncia di ciò che ha rappresentato la rinuncia alla propria identità. Tocca ad Antoni, unico sopravvissuto, e custode del tempo dei morti, ricordare ciò che è stato: il prezzo pagato per la trasformazione economica di una società agropastorale fattasi incantare dall’idea di un benessere industriale. Cattedrali della chimica, mistificatrici di un benessere ingannevole, che si portano via la vita lasciando solo silenzio. Alos è, nella finzione cinematografica, la vecchia Gairo, abbandonata dai suoi abitanti a causa degli smottamenti originati dal disboscamento selvaggio di cui fu vittima tutta l’isola sotto i Savoia. Le alluvioni che si susseguirono dal 1880 al 1951, resero il villaggio così precario da dover essere abbandonato. Nella narrazione le due storie si fondono al punto che pare di sentire il dottor Fileno di pirandelliana memoria dire ad Atzeni «nessuno può sapere meglio di lei che noi (personaggi) siamo esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni; forse meno reali ma più veri! Si nasce alla vita in tanti modi […] e chi nasce mercé quest’ attività creatrice che ha sede nello spirito dell’uomo, è ordinato da natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d’una donna». Così la storia di questi abitanti, emerge da atmosfere rarefatte per divenire reale e racconta ciò che spesso la storia dimentica quasi nuvole che «vanno vengono, a volte si fermano» e quando si fermano vivono di vita propria.

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Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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