David Lifodi: Ecuador e movimenti per l’acqua

Sono trascorsi ormai molti mesi dalla mobilitazione indigena che in Ecuador era riuscita a bloccare la controversa Ley de Aguas, su cui il presidente Correa aveva investito molto e sembrava voler condurre ad una rapida approvazione a qualunque costo. Da quel movimentato mese di maggio 2010 che vide sfilare per le strade di Quito enormi cortei promossi dalle organizzazioni indigene tutto tace. Il presidente Correa allora si affrettò a dichiarare che “non si trattava più di una priorità del suo governo”, mentre i popoli indigeni riuscirono a strappare una loro consultazione obbligatoria prima dell’approvazione di un referendum da convocare entro i successivi cinque mesi.

La protesta contro la Ley de Aguas ha segnato probabilmente il momento più alto delle lotte in America Latina per fermare la privatizzazione dell’oro blu dopo le due ormai note guerre dell’acqua in Bolivia (a Cochabamba) che nei primi anni del 2000 scossero il continente e dettero un primo segnale forte e chiaro: le risorse naturali non sono in vendita e il diritto alla consultazione dei popoli ancestrali sul loro utilizzo è ineludibile. Per il movimento indigeno dell’Ecuador la sospensione della Ley de Aguas ha rappresentato una vittoria storica, ma adesso ci si chiede se la marcia indietro del presidente Correa sia stata definitiva o solo momentanea. Nel frattempo nel paese andino c’è stato un tentativo di golpe (lo scorso Ottobre), a cui sono state differenti letture ed interpretazioni, che sembra aver rafforzato la posizione del presidente al Palacio de Carondelet (la sede del governo). In seguito al repentino passo indietro di Correa in merito alla Ley de Aguas gli indigeni avevano rilanciato. Rappresentiamo un terzo dei quindici milioni del paese, dissero, e quindi vogliamo una consultazione pre-legislativa sulla legge stessa. Dal canto suo l’Assemblea Nazionale dell’Ecuador aveva modificato la Ley Orgánica de la Función Legislativa affinché il processo di consultazione pre-legislativa avesse inizio, anche se il presidente Correa a più riprese ha sostenuto che avrebbe rifiutato di approvare il testo di legge nel caso in cui fosse sottoposto a numerose modifiche. E’ per questo forse che l’esecutivo dell’Ecuador ha scelto per il momento il basso profilo preferendo non impelagarsi in sabbie mobili da cui potrebbe essere difficile uscire. Lo stesso Correa infatti, nelle sue dichiarazioni rivolte al movimento indigeno, aveva finito involontariamente per dar ragione alla protesta in corso: “L’acqua non è della Conaie, ma di tutti”, disse. Pronta la risposta indigena: “La battaglia per il diritto all’acqua non è una vertenza che interessa solamente noi, ma tutti gli abitanti del paese”. La controversia tra presidente e movimenti per l’acqua (indigeni, ma anche urbani) è esemplificativa del tentativo (spesso riuscito) di penetrazione sul territorio ad opera di imprese private e multinazionali nelle gestione delle risorse naturali latinoamericane. Le aperture dello stesso Correa alla Ley Minera, che permette l’estrazione mineraria in territori incontaminati ed il conseguente inquinamento ed avvelenamento di fiumi, laghi, foreste, oltre a conseguenze facilmente immaginabili per la salute di persone e animali, ne è un esempio. Il contrasto maggiore sulla Ley de Aguas è sorto in merito alla Autoridad Única del Agua, il principale organo di gestione. Il governo intendeva che fosse gestito da un suo rappresentante che avesse diritto di decisione irrevocabile nel consesso, la Conaie, al contrario, proponeva una gestione allargata in un consiglio in cui fosse presente anche una rappresentanza governativa in posizione minoritaria. Tutto ciò per evitare i soliti meccanismi di alterazione del ciclo vitale acqua-natura nel caso in cui il governo decida di affidare la gestione del servizio ad uno dei tanti cartelli economico produttivi che in America Latina e altrove hanno causato disastri sia a livello economico (si pensi alle bollette astronomiche nel Lazio meridionale o in Toscana, solo per rimanere in Italia) sia per quanto riguarda la qualità dell’erogazione. Inoltre, un altro tema assai dibattuto e strettamente connesso al precedente riguardava l’inserimento nella Ley de Aguas di una clausola che revocasse la gestione dell’acqua  nel caso in cui le società erogatrici creassero appunto il duplice fenomeno di concentración o acaparamiento. Il paradosso del conflitto per la gestione dell’acqua riflette le contraddizioni del presidente Correa e più un generale quello del rapporto tra movimenti sociali e governi amici. Grazie alla revolución ciudadana di Correa è stata approvata una delle Costituzioni più avanzate del continente latinoamericano, che sancisce, tra le altre cose, la plurinazionalità dello stato, il riconoscimento del Sumak Kawsay (i princípi del buen vivir indigeno) e soprattutto il diritto delle comunità indigene ad essere consultate nel caso in cui il Parlamento e il governo votino una qualsiasi misura che le possa danneggiare, ma è altrettanto vero che alcune di queste intenzioni sono rimaste solo sulla carta e non solo per le responsabilità di Alianza País, la coalizione governativa, sulle cui pratiche politiche pure si nutrono dei dubbi.

In attesa degli eventi futuri, che potrebbero decretare sia l’eventuale ripresa dell’iter relativo alla Ley de Aguas sia la sua definitiva cancellazione, l’Ecuador si appresta a diventare, dopo la Bolivia, un nuovo laboratorio dei movimenti per l’acqua.

Due brevi note: 1) La Conaie sta per Confederazione delle nazionalità Indigene dell’Ecuador 2) Sul tentato golpe in Ecuador sono stati espressi pareri assai contrastanti, si legga l’articolo di Pablo Davalos: “Alianza Pais: dalla teoria della cospirazione alla real politik” su http://antoniomoscato.altervista.org/

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