David Lifodi: I medici cubani in Brasile fra…
…. razzismo e solidarietà
Il meglio del blog-bottega /254…. andando a ritroso nel tempo (*)
Alla fine del 2013 in Brasile saranno almeno quattromila i medici cubani. I primi quattrocento sono arrivati alla fine di agosto: è stato il Planalto a chiamarli per supplire alle carenze del Sistema Único de Saúde nell’ambito dell’accordo tra il Ministerio da Saúde brasiliano e l’Organizzazione Panamericana della Sanità (Opas). Un esempio di cooperazione sud-sud che i medici brasiliani hanno percepito come un attacco alla loro corporazione, da cui sono derivati numerosi episodi di vero e proprio razzismo ai danni dei colleghi cubani.
In realtà non è la prima volta che i medici cubani si trovano ad operare in Brasile: nel 1998 un centinaio di loro lavorò per qualche tempo nello stato del Tocantins, nel centro del paese. Nel gigante dell’America Latina è presente poco più di un medico per ogni mille abitanti e la maggior parte dei municipi, soprattutto quelli situati nel pieno della foresta amazzonica, sono completamente abbandonati a loro stessi. È per questo motivo che 701 comuni dell’entroterra hanno aderito al programma “Mais Médicos”, quello che condurrà da loro i medici cubani poiché gli omologhi brasiliani non intendono recarsi lì a lavorare: pare che i bandi di concorso per queste zone siano andati deserti. Al tempo stesso, i medici brasiliani più conservatori, riuniti nel sindacato giallo Conselho Federal de Medicina (Cfm), si sono caratterizzati per una violenta campagna di diffamazione contro i loro colleghi cubani, caratterizzata non solo dal razzismo, ma anche dall’avversione ideologica nei confronti di Cuba per ciò che continua a rappresentare oggi in America Latina: solidarietà, dignità e diritti. Eppure un recente sondaggio della Confederação Nacional dos Transportes dimostra che la maggioranza dei brasiliani vede con favore la presenza dei medici cubani nel loro paese: il 73% si dichiara d’accordo con il programma “Mais Médicos” e quasi il 50% ritiene che i cubani siano in grado di risolvere anche i problemi più gravi. Abituati a lavorare in zone di guerra o in paesi con un basso indice di sviluppo umano, da Haiti all’Africa, passando per il Pakistan, i cubani sono tuttora oggetto di una virulenta campagna d’odio a cui ha contribuito non poco la maggioranza della stampa mainstream. Chi abita nelle grandi metropoli urbane minimizza la grave situazione sanitaria dell’entroterra: soprattutto nel Nordest i medici scarseggiano e proliferano malattie che a Cuba sono state sgominate da tempo, dalla malaria alla leishmaniosi. Un altro dato di fatto è che in Brasile le attese per essere ricoverati negli ospedali pubblici sono così lunghe che spesso i pazienti muoiono prima che sia trovato per loro un posto letto. È per questo che la preparazione e la professionalità dei cubani può risultare molto utile in un contesto come quello brasiliano, dove, tra le altre cose, i medici verdeoro dovrebbero essere affiancati e coadiuvati dai primi nell’interesse della salute dei pazienti. Al contrario, l’accusa più frequente rivolta ai cubani è quella di rubare il lavoro e il salario ai colleghi brasiliani. Secondo Felipe Henrique Gonçalves, docente presso la Pontifícia Universidade Católica di San Paolo (Puc), l’antipatia nei confronti dei cubani è dovuta al sistema politico vigente sull’isola e di cui loro sono identificati come alfieri e rappresentanti. Inoltre, prosegue Gonçalves, i preconcetti verso i medici provenienti da Cuba sembrano essere ad un primo impatto razziali, ma sono in realtà di carattere corporativo. Quelli che adesso si oppongono all’arrivo dei medici dall’isla rebelde fingono di non ricordare che nel 1986 il Brasile, appena uscito dalla dittatura militare, non sapeva come fare per bloccare un’epidemia di meningite, finché fu proprio il vaccino cubano a salvare la vita di centinaia di persone. Se i settori più reazionari dei medici brasiliani pensano esclusivamente al mantenimento dei loro privilegi, i cubani giunti in Brasile ritengono necessario che siano i medici stessi ad avere l’obbligo morale di recarsi nelle periferie del paese, in quelle favelas o campagne dove un medico ricco brasiliano non andrebbe mai: l’importante, per loro, è la salute della popolazione. Il caso dei medici cubani si è ben presto trasformato in una questione nazionale: da una parte manifestanti che protestano sotto le sedi del Conselho Regional de Medicina contro le resistenze dei medici brasiliani (come avvenuto a San Paolo), dall’altra vere e proprie dimostrazioni razziste e discriminatorie, come quelle avvenute a Fortaleza (capitale del Ceará), dove i cubani sono stati insultati con l’appellativo di “schiavi”. L’insulto non è casuale: l’accordo a tre tra Opas, Brasile e Cuba prevede che buona parte dello stipendio vada al governo cubano, mentre una parte più ridotta al medico stesso. Il lavoro dei medici cubani, scrive il giornalista Gennaro Carotenuto sul suo blog, “coniuga la solidarietà, la diplomazia, l’interesse di far entrare valuta pregiata nel paese e la possibilità di occupare sanitari per un paese con i più alti indici al mondo”. Sono gli stessi medici cubani a ribadire il concetto in un’intervista al quotidiano Brasil de Fato: “Non veniamo in Brasile per soldi, quanto per migliorare le condizioni di salute dei brasiliani che ne hanno maggiormente bisogno, ma questo non viene percepito”. Chi sembra aver compreso bene le motivazioni e il pensiero dei cubani sono i movimenti sociali, che hanno dato vita ad una serie di iniziative di solidarietà all’insegna dello slogan mais médicos e menos racismo: per la prima, in numerose zone del paese, i poveri hanno visto un medico e sono stati trattati come esseri umani, questo grazie alla presenza dei cubani. Nelle periferie i medici ricchi rifiutano di andare e in ogni caso la popolazione non potrebbe permettersi di pagare loro la visita. Tra le altre cose va sottolineato che i medici cubani non sono gli unici ad aver ricevuto l’invito dal Planalto: il Brasile si è rivolto anche a quelli spagnoli, portoghesi e, più in generale, ai latinoamericani. La maggior parte dei medici cubani opererà nel Parà, lo stato con il peggior indice di sviluppo umano nel paese: tutti avranno garantito vitto e alloggio dai municipi che hanno aderito al programma “Mais Médicos”.
In generale il lavoro dei cubani, la loro professionalità ed efficienza stanno dando uno schiaffo a quella parte di medici brasiliani politicamente conservatori, così come l’opposizione golpista venezuelana non ha potuto far altro che tacere di fronte all’impegno e alle capacità dimostrate dagli stessi cubani nell’ambito delle misiones lanciate dallo scomparso presidente Hugo Chávez nei ranchitos di Caracas.
Sui medici cubani in “bottega” cfr Cuba, Covid-19 e Che Guevara e Cuba: dopo l’intervento in Italia di due brigate mediche ma anche Cuba: medicina, scienza e rivoluzione, 1959-2014 (a proposito del libro di Angelo Baracca e Rosella Franconi)
(*) Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché oltre 17mila e 700 articoli (avete letto bene: 17 mila e 700) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]