David Lifodi: l’Honduras dimenticato

Le violazioni dei diritti umani in Honduras giacciono in fondo agli ultimi cassetti delle redazioni di tv e giornali: un piccolo Paese del Centroamerica non interessa e non è mediaticamente appetibile. Qualche informazione, di carattere perlopiù folkloristico, mista a disinformazione o forse più semplicemente alla vera e propria ignoranza dei curatori dei servizi l’abbiamo avuta alla fine di giugno, quando si è consumato il golpe che ha spodestato il presidente legittimo Zelaya e ha imposto quello de facto Micheletti. Solo cronaca e nessuna audacia di analisi allora da parte dei media mainstream; peggio aveva fatto Studio Aperto, il tg di Italia1, che si compiaceva dell’arrivo alla presidenza di un nostro concittadino: Roberto Micheletti infatti è di origine bergamasca, addirittura tifoso dell’Atalanta, tanto è bastato per augurargli buon lavoro mentre iniziavano sequestri e sparizioni ordinate da Gorilletti o Pinochetti, questi i nomignoli affibbiati dagli honduregni al loro nuovo autoproclamato mandatario.

I mesi successivi sono noti: repressione contro la resistenza, Zelaya confinato per mesi nell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa tenuto sotto tiro dai cecchini e costretto all’esilio nella Repubblica Dominicana, infine le elezioni farsa che hanno permesso l’insediamento di Porfirio Lobo il 27 febbraio. La strada maestra verso la normalizzazione è stata percorsa con il nuovo avvio delle relazioni diplomatiche dei Paesi europei, Italia compresa: gli affari sono affari, alla faccia del rispetto dei diritti umani. Per fortuna l’Associazione Italia-Nicaragua e il Collettivo Italia-Centroamerica hanno tenuto alta l’attenzione su quanto sta avvenendo in Honduras. La presidenza di Porfirio Lobo, informano, non è diversa da quella di Micheletti. Il 24 febbraio è stata uccisa Claudia Brizuela, sindacalista e figlia di un dirigente del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare. Nei primi quindici giorni di febbraio è stato assassinato un altro sindacalista appartenente al Sitrasanaays (il Sindacato dei Lavoratori del Servizio Nazionale di Acquedotti e Fognature), mentre non si contano più le intimidazioni contro la più forte organizzazione sindacale del paese, Stybis, il Sindacato dei Lavoratori dell’Industria delle Bevande. Infine, la Polizia Preventiva imperversa per le strade, fermando tutti coloro che simpatizzano con la resistenza popolare. E ancora: minacce telefoniche ai dirigenti dei comitati locali del Fronte Nazionale, pallottole di gomma contro abitazioni e sedi ritenute “sovversive”, e la lista potrebbe continuare. Lo scopo è quello di intimorire la popolazione locale, del resto lo stesso ministro per la sicurezza di Porfirio Lobo ha dichiarato che la resistenza non ha più ragione di esistere. La Commissione istituita secondo il piano studiato dal presidente del Costarica Árias (quello che ha imposto al suo Paese il trattato di libero commercio dopo un referendum dalla dubbia regolarità) ha una credibilità pari allo zero tra gli honduregni: la sola presidenza dell’ex presidente messicano Fox (che al suo insediamento dichiarò di poter risolvere il conflitto del Chiapas in cinque minuti) basta e avanza per capire che non indagherà mai sulle ormai quotidiane violazioni dei diritti umani. L’appello del Cofadeh, il Comitato dei familiari desaparecidos, ha chiesto alla comunità internazionale di non scegliere la strada della riabilitazione del governo honduregno, ma l’insaziabile volontà di guadagni, privatizzazioni e accordi economici viene prima dei diritti civili e sociali della popolazione.

Nel frattempo, l’Honduras continuerà a essere ignorato dall’opinione pubblica, o forse utilizzato come riempitivo per la colonnina delle brevi della sezione esteri dei quotidiani, ma la mobilitazione dei movimenti popolari riuniti sotto le insegne del Fronte nazionale è ben lontana dall’essere cancellata.

Su questo blog è già uscito un articolo di David Lifodi, «Madres de la plaza, el pueblo las abraza»

Redazione
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